Uguaglianza vs lotta al gender – La nostra guida al voto sui diritti LGBTI
Con le elezioni politiche del 4 marzo alle porte abbiamo deciso di fare il punto su alcuni temi che interessano da vicino i diritti umani e le libertà civili. Piccole guide al voto per far luce sulle #PoliticheDeiDiritti per orientarvi tra il dibattito, quanto fatto finora, le nostre proposte e i contenuti dei programmi elettorali dei principali partiti e coalizioni. Dopo le prime due guide sulla cannabis terapeutica e sul diritto alla cittadinanza, ci concentreremo sui diritti LGBTI, ossia i diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali.
Valutando i programmi elettorali e le varie dichiarazioni rilasciate dai candidati e da esponenti politici di spicco è evidente come i grandi assenti di questa campagna elettorale siano i diritti civili. Tra questi, spicca una quasi totale mancanza di discussione sui diritti LGBTI. Come evidenziato da una recente ricerca di ILGA Europe, rispetto al contesto europeo l’Italia è fortemente indietro nella tutela dei diritti LGBTI. Ed è così che su 49 stati europei presi in considerazione il nostro Paese si posiziona solo ad un preoccupante 32° posto. Questo, malgrado gli sviluppi positivi registrati nell’ultima legislatura.
Cosa è successo nell’ultima legislatura?
Negli ultimi 14 anni molteplici legislature hanno tentato a più riprese di regolamentare le unioni fra le coppie dello stesso sesso. Dopo il fallimento di quattro proposte presentate tra il 2002 e il 2008 (Pacs, Dico, CUS e DidoRé), all’inizio dell’ultima legislatura (marzo 2013) è stato depositato il disegno di legge sulle unioni civili con relatrice la senatrice Monica Cirinnà (Partito Democratico).
Mentre il testo era fermo in Commissione Giustizia, il 21 luglio 2015 la Corte Europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per la mancata previsione da parte del legislatore di un istituto giuridico – diverso dal matrimonio – che riconoscesse le coppie dello stesso sesso. In particolare, il caso Oliari e a. contro Italia ha evidenziato una violazione dell’articolo 8 della Convenzione Europea relativo al diritto al rispetto per la vita privata e familiare. Alla Corte europea ha fatto seguito nell’ottobre 2015 il Parlamento Europeo, sollecitando i Paesi dell’UE che ancora non lo avessero fatto a garantire l’accesso a istituti giuridici quali coabitazione, unione registrata o matrimonio.
L’iter parlamentare del ddl Cirinnà non è stato semplice ma è arrivato a compimento. Approvata l’11 maggio 2016 con 372 sì, 51 no e 99 astenuti, la legge n. 76/2016 sulle unioni civili – conosciuta dai più come legge Cirinnà – è entrata in vigore il 5 giugno 2016. Le coppie dello stesso sesso, qualificate come “specifiche formazioni sociali”, possono ora unirsi in una unione civile che garantisce loro diritti e doveri simili al matrimonio ma non identici. Le maggiori distinzioni riguardano l’obbligo di fedeltà e la stepchild adoption (entrambi presenti nel testo originale, poi stralciati dopo il voto in Senato). Il ddl infatti prevedeva la possibilità che il genitore non biologico adottasse il figlio – naturale o adottivo – del partner (possibilità invece prevista per coppie eterosessuali entro parametri precisi). Su questo punto risulta però fondamentale il comma che non vieta che i giudici si possano pronunciare sui casi di adozioni per le coppie gay (spesso positivamente).
La legge Cirinnà ha poi affrontato la questione del divorzio imposto. La L. 164/1982 e il D.lgs. 150/2011 prevedevano che qualora uno dei coniugi avesse richiesto la rettificazione anagrafica del sesso, se concessa questa avrebbe visto come conseguenza automatica lo scioglimento degli effetti del matrimonio. È stata la stessa corte costituzionale a bocciare il divorzio imposto, non essendo prevista nell’ordinamento italiano una forma alternativa di convivenza tutelata. La legge Cirinnà ha risolto la questione stabilendo che qualora un coniuge voglia procedere con la rettificazione anagrafica del sesso e in assenza dell’intenzione di sciogliere il matrimonio, la relazione si trasforma automaticamente in unione civile tra persone dello stesso sesso.
Dove bisognerebbe intervenire?
Possono bastare le unioni civili a garantire l’eguaglianza in materia di diritti LGBTI? La nostra risposta è secca: no. Ad oggi l’Italia è ancora un paese in cui l’orientamento sessuale, l’identità di genere, l’espressione di genere ed i caratteri sessuali incidono fortemente come fattori di disuguaglianza quotidiana. Come sottolineato da Flavio Romani (presidente di Arcigay nazionale e membro del direttivo di CILD) in questo video per le #PoliticheDeiDiritti, le unioni civili sono state solo il primo passo nella direzione giusta.
Al fine di ottenere la piena uguaglianza ed uscire da una situazione di profonda eteronormatività è necessario presentare, discutere ed approvare una riforma del diritto di famiglia. Ed è così che il passo successivo alle unioni civili sarebbe il riconoscimento del matrimonio egualitario, ossia l’estensione del matrimonio civile alle coppie dello stesso sesso. Una riforma del diritto di famiglia andrebbe poi a colmare il vuoto assoluto sulla tutela legale dei figli delle coppie dello stesso sesso. Di omogenitorialità si è parlato tanto durante l’iter parlamentare della legge Cirinnà ma in modo confuso e talvolta dannoso. Leggi alla mano, oggi questi bambini e adolescenti sono considerati dallo stato come figli di serie B. Ricordiamo che oltre al mancato riconoscimento della stepchild adoption, le coppie dello stesso sesso non hanno accesso alcuno alle adozioni (ad oggi riservate solo a coppie sposate).
Come Coalizione, nel corso degli anni abbiamo segnalato più volte la necessità di introdurre nell’ordinamento italiano una legge che introduca il reato di discriminazione e istigazione all’odio e alla violenza omo-transfobica. Nel corso della scorsa legislatura un disegno di legge di questo stampo – il cui primo firmatario è il Sottosegretario Scalfarotto – si è arenato al Senato (ve ne avevamo parlato qui). Al contrario, da allora non si sono fermati i casi di violenza a sfondo omo-transfobico.
Per quanto riguarda i diritti delle persone transgender, urgente è la riforma della legge che regola la transizione o cambiamento del sesso. La legge attualmente in vigore – la l.164/82 – non facilita il percorso di transizione, creando anzi ostacoli. Alla luce degli avanzamenti legislativi avvenuti nella maggior parte dei paesi europei e soprattutto della giurisprudenza prodotta dalle corti italiane – basti pensare all’opposizione verso la rigida interpretazione della legge che prevede la necessità dell’intervento chirurgico per adeguare i dati anagrafici – l’Italia dovrebbe adeguarsi e adottare buone pratiche.
Anche se la visibilità delle persone intersessuali è ancora di gran lunga inferiore rispetto al resto della comunità LGBTI, tale mancanza di visibilità non implica un’assenza di ostacoli. Come evidenziato in un articolo di Liberties, in Italia le persone intersessuali sono ancora discriminate. Nonostante le persone intersex in Italia siano protette dalla legge, spesso non sono in grado di far valere i loro diritti. È compito della politica dare visibilità a tali problematiche, tenendo in considerazione prima di tutto il diritto effettivo a non subire interventi di definizione del sesso senza consenso.
Queste e molte altre (una tra tutte: il diritto di asilo) le questioni legate alle persone LGBTI. Vediamo ora come si posizionano su queste tematiche le coalizioni ed i partiti politici che corrono per le elezioni politiche del 2018. Una piccola nota introduttiva: la discriminazione di fatto si trova spesso nelle aree grigie, nel non detto. A volte la scelta di ignorare il bisogno di parlare di diritti civili, in questo caso LGBTI, risulta più rumorosa di una presa di posizione. Ed è così che molti partiti parlano di famiglie omettendo quelle omogenitoriali e nel parlare di violenza sulle donne non vengono incluse quelle transgender (vittime di violenza in Italia più che in qualsiasi altro paese europeo).
I diritti LGBTI nei programmi dei partiti: uguaglianza vs lotta al gender
Centro-destra: la coalizione di centro destra ha presentato un programma comune per le elezioni del 4 marzo in cui non viene fatto alcun riferimento ai diritti LGBTI, pur essendo il punto 7 interamente dedicato alla famiglia (declinata al singolare). Seguono le posizioni dei principali partiti della coalizione e dei loro leader sul tema.
- Forza Italia: ai microfoni di Radio Lombardia il leader di Forza Italia – Silvio Berlusconi – ha dichiarato di essere a favore dell’abolizione delle unioni civili. Dopo aver assicurato di avere “massimo rispetto per i diritti di tutti” Berlusconi ha aggiunto che tuttavia “la famiglia è una cosa diversa: è l’unione tra un uomo e una donna orientata a fare figli”. Ricordiamo che poco prima dell’approvazione del ddl Cirinnà (per cui parte di Forza Italia si espresse a favore) diversi esponenti del partito hanno preso posizione contro le unioni civili. Lucio Malan, senatore, sostenne la pericolosità della proposta di legge intrecciandola con il tema dell’immigrazione: “con le unioni civili i migranti otterranno la cittadinanza”.
- Lega: nell’ultima legislatura il gruppo parlamentare della Lega si è opposto in modo compatto al disegno di legge Cirinnà, esprimendosi con voto contrario. Il programma elettorale della Lega non contiene alcun riferimento ai diritti LGBTI, chiarendo che “la famiglia è la società naturale fondata sull’unione tra uomo e donna, come recepito dalla Costituzione Italiana” anche se questa – all’articolo 9, nel quale si parla di famiglia – non contiene nulla a favore, ma neanche contro i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Ostile alla famiglia omogenitoriale è il punto del programma in cui si sostiene che “lo Stato tutela l’identità dei genitori anche attraverso la salvaguardia dei nomi specifici: in tutti gli atti ufficiali, nella modulistica degli enti e in ogni documento che abbia valenza pubblica gli unici riferimenti ammessi saranno quelli a “madre”, “padre”, “marito e “moglie”. Non saranno ritenuti validi né in alcun modo ammessi termini generici come “genitore 1” o “genitore 2”.
- Fratelli d’Italia: nell’ultima legislatura il gruppo parlamentare di FdI si è opposto in modo compatto al disegno di legge Cirinnà, esprimendosi con voto contrario. Il programma elettorale ha tra le sue priorità “il più imponente piano di sostegno alle famiglie e alla natalità̀ della storia d’Italia”, da portare avanti tramite la “difesa della famiglia naturale, lotta all’ideologia gender e sostegno alla vita (l’Associazione Italiana Psicologia ha evidenziato in questo documento come la teoria del gender non abbia alcuna consistenza scientifica). Nessuna tutela è quindi prevista per le persone (e le famiglie) LGBTI.
Centro-sinistra: la coalizione di centro-sinistra ha al suo interno posizioni e proposte diverse in materia di diritti LGBTI, pur facendo tutti i partiti riferimento diretto ed esplicito alla comunità LGBTI.
- Partito Democratico: le unioni civili sono elencate tra le varie vittorie ottenute nella scorsa legislatura (ricordiamo che Monica Cirinnà, relatrice della legge sulle unioni civili, è Senatrice del PD). Nel programma non vi è alcuna traccia del matrimonio egualitario, nonostante nel merito la Sen. Cirinnà abbia dichiarato “spero che nel prossimo parlamento il PD sia promotore e propulsore del matrimonio egualitario”. Nella sezione cultura è stato incluso l’impegno per la lotta all’omofobia. Nella stessa sezione si fa riferimento alla pluralità delle famiglie: “il riconoscimento dei diritti dei bambini e la relativa riforma delle adozioni: tutti i bambini sono uguali, hanno pari diritti dinanzi alla legge a prescindere dalle famiglie nelle quali sono nati. Occorre modificare la legge sulle adozioni ferma al 1983, in quanto non tiene conto delle evoluzioni sociali e del diritto di famiglia”.
- +Europa: il partito dedica in modo esplicito parte del suo programma ai diritti LGBTI. Alla voce “diritti” del programma si legge: “È […] importante che il parlamento discuta una riforma del diritto di famiglia nella prospettiva di superare le discriminazioni in materia di matrimonio, unione civile, adozione, riconoscimento automatico dei figli alla nascita e opportunità dei figli di genitori separati”. Tocca i diritti LGBTI anche la “battaglia per l’istituzione di un’agenzia nazionale autonoma e indipendente per la tutela dei diritti umani che favorisca la prevenzione delle discriminazioni e la difesa delle libertà fondamentali in ottemperanza alle risoluzioni ONU ratificate dall’Italia”.
Movimento 5 stelle: il movimento ha pubblicato il programma tramite la piattaforma partecipativa Rousseau. I diritti LGBTI non trovano alcuno spazio esplicito. Nella sezione scuola si legge “l’ambizione più grande è proprio questa: formare cittadini consapevoli del proprio valore e delle proprie risorse capaci di superare i conflitti, che rispettino e valorizzino le diversità, che includano le minoranze, che promuovano la cultura della tolleranza, contrastando il bullismo e il cyberbullismo, la violenza di genere ed ogni forma di discriminazione. Per questo motivo è importante investire su nuovi percorsi interdisciplinari di educazione alle emozioni, all’affettività e alla parità di genere.” Per quanto riguarda la formazione dei docenti, si legge l’intenzione di “incentrare la formazione iniziale dei docenti sugli aspetti didattici e metodologici della professione, sull’utilizzo delle nuove tecnologie e sulle importanti sfide a cui saranno chiamati i cittadini di domani e per cui saranno fondamentali l’educazione civica, ambientale, alimentare e l’educazione alle emozioni, all’affettività, alla parità di genere e alla sessualità consapevole”. Ricordiamo che nell’ultima legislatura il M5S si è astenuto nella votazione sul ddl Cirinnà sulle unioni civili.
Liberi e Uguali: uno dei punti programmatici presenti nel piano politico è quello sull’uguaglianza nei diritti, fortemente incentrato sui diritti LGBTI. Qui si prevede una declinazione al plurale del termine famiglia (e la necessità di parlare quindi di famiglie); di riformare l’istituto dell’adozione e dello del matrimonio che deve essere un “istituto unico, accessibile a tutte e tutti con il pieno ed eguale riconoscimento di tutti” comprese le coppie LGBTI; una parità dei diritti anche sul piano della genitorialità. Vengono poi definiti necessari “progetti formativi anche scolastici, efficaci sull’educazione affettiva, sessuale e alle differenze, con un approccio critico alle relazioni di potere fra i generi”. È poi prevista l’introduzione di “misure efficaci dal punto di vista normativo per inasprire le pene e renderle efficaci per chi commette violenze con l’aggravante della discriminazione.” Il programma di LeU cita poi apertamente le persone trans, “per troppo tempo dimenticate dalla politica”, sottolineando l’intenzione di percorrere la strada della depatologizzazione “per affermare il pieno diritto di autodeterminazione della persona.”
Potere al Popolo: il programma di Potere al Popolo dedica molto spazio ai diritti LGBTQI (dove Q = queer). Alla voce “autodeterminazione e lotta alla violenza contro le donne e le persone LGBTQI” si ricorda come le discriminazioni sul lavoro e nella società e la violenza riguardino anche le persone LGBTQI. Secondo Potere al Popolo, “il non riconoscimento pieno delle relazioni e delle famiglie delle persone LGBTQI significa ridurre le loro vite a esistenze individuali e isolate”, e di conseguenza pone come necessario battersi per i diritti e le aspirazioni delle persone LGBT, “sia come individui che nella loro vita di coppia, con l’introduzione del matrimonio egualitario, del riconoscimento pieno dell’omogenitorialità a tutela dei genitori, dei figli e delle famiglie e con la ridefinizione dei criteri relativi all’adozione, consentendola anche a single e persone omosessuali, per riconoscere il desiderio di maternità e paternità di tutte e tutti”. Il programma poi fa riferimento alla “ libertà di scelta sulle proprie vite e i propri corpi, il pieno diritto alla salute sessuale e riproduttiva, negata in tante strutture pubbliche dalla presenza di medici obiettori”. Potere al Popolo sostiene poi la necessità di garantire l’accesso alla fecondazione assistita, anche eterologa, a prescindere dallo stato di famiglia” e di lottare contro “la diffusione dell’HIV attraverso la promozione della contraccezione rendendo disponibili a tutte e tutti le nuove tecniche di prevenzione.” Ed è qui che nel programma si ha un riferimento esplicito (l’unico tra i diversi schieramenti) ai diritti delle persone intersessuali: “vanno vietate le mutilazioni genitali su* bambin* intersessuali prima che possano capire e sviluppare la loro identità di genere”. Trovano spazio anche le rivendicazioni per “soluzioni che inibiscano ogni forma di violenza (fisica, ma anche sociale, culturale, normativa) e discriminazione delle donne e delle persone LGBTI (attraverso una legge contro l’omotransfobia)”.
Casapound: nel programma non sono presenti riferimenti ai diritti civili, tantomeno LGBTI. In una intervista il leader Di Stefano, dopo aver annunciato la partecipazione di CasaPound al Family Day, ha dichiarato che “la bandiera arcobaleno (simbolo del movimento LGBTI) si sconfigge col tricolore”, schierandosi contro le “adozioni gay”. Nella stessa intervista Di Stefano ha affermato che la “battaglia è anche contro l’ideologia Gender, contro chi pensa che le identità possano essere generate dal nulla. Una follia che annulla uomo e donna, il cui contrasto non può che essere collegato ad una battaglia identitaria del popolo italiano. […] Chi vuole cancellare mamma e papà dal vocabolario vuole anche cancellare il tricolore dalla storia, l’unica bandiera da contrapporre alla bandiera arcobaleno.”