La storia di Wissem Ben Abdel Latif: legato e sedato fino alla morte

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di Eleonora Costa

A distanza di quasi due anni, sono ancora tanti – troppi – gli interrogativi che aleggiano attorno alla tragica storia di Wissem Ben Abdel Latif, migrante tunisino di 26 anni morto nel reparto psichiatrico dell’ospedale San Camillo di Roma il 28 novembre 2021, dopo essere stato legato ad un letto di contenzione e sottoposto a sedazione per cinque giorni consecutivi, senza cura né assistenza.  

Partito con la speranza di trovare un futuro migliore per sé e per la propria famiglia, Wissem attraversa il Mediterraneo e sbarca a Lampedusa, a bordo di un gommone con altri 80 migranti, il 2 ottobre 2021.

Il giorno successivo – non essendo stato accertato alcun disturbo psichico durante la visita effettuata dalla Croce Rossa – viene condotto insieme ad altri migranti sulla nave quarantena Atlas, ad Augusta, come previsto dalle allora vigenti disposizioni per il contenimento del contagio da coronavirus.

Qui, insieme ad altri quattro amici, manifesta fin da subito la volontà di chiedere protezione internazionale. La sua meta, infatti, è l’Oltralpe, dove spera di raggiungere lo zio per iniziare a lavorare insieme a quest’ultimo in una pizzeria.  

Ma Wissem non arriverà in Francia, né riuscirà mai ad esercitare formalmente i propri diritti di richiedente asilo.

Al contrario, il 13 ottobre 2021, su provvedimento del questore di Siracusa, viene trasferito al Centro di permanenza per il rimpatrio (CPR) di Ponte Galeria. Qui, costretto alle condizioni inumane della detenzione amministrativa, inizierebbe a manifestare i primi segni di sofferenza psichica.

Così, dopo una superficiale consulenza psichiatrica, Wissem riceve la diagnosi di schizofrenia psicoaffettiva e – senza che ne fosse disposta l’osservazione – viene trattenuto nel CPR, dove inizia ad essere sottoposto a terapia farmacologica. Solo dopo quasi un mese, il 23 novembre 2021, Wissem viene inviato al pronto soccorso dell’ospedale Grassi di Ostia dove – come racconta l’avvocato Francesco Romeo – “rimase in una situazione di «costrizione meccanica», cioè con braccia e gambe legate al letto, per 37 ore e 30 minuti”. In tale quadro, Wissem non viene neppure informato della sospensione dell’esecutività del provvedimento di respingimento e di trattenimento presso il CPR di Ponte Galeria emesso dal Giudice di Pace di Siracusa il 24 novembre 2021, a seguito del quale avrebbe dovuto essere rimesso immediatamente in libertà.

Due giorni dopo, per questioni di competenza territoriale sui pazienti del CPR di Ponte Galeria, Wissem viene slegato giusto il tempo necessario per il trasferimento al reparto psichiatrico del San Camillo di Roma, dove – pur in assenza di un’approfondita rivalutazione delle sue condizioni di salute – gli viene confermata la diagnosi di ingresso al pronto soccorso ed è, pertanto, nuovamente legato per altre 63 ore a motivo di un asserito “stato di necessità”.

Parallelamente a tale contenzione fisica, Wissem è sempre stato sottoposto ad una pesante terapia farmacologica. In particolare, gli esami autoptici eseguiti dal medico legale incaricato dalla procura testimoniano la presenza nel corpo del giovane di tre farmaci sedativi, di cui solo due (Talofen e Serenase) regolarmente annotati nella cartella clinica. Del terzo farmaco somministrato, invece, non si conosce neppure il nome, non essendo stato oggetto di alcuna annotazione. Ciò, purtroppo, non sorprende: a Wissem non è mai stato garantito il diritto ad un mediatore culturale, né a prestare consenso informato al trattamento impostogli, e la sua cartella clinica è estremamente scarsa e lacunosa.

Peraltro, sebbene gli esami clinici avessero evidenziato valori alterati e fuori dal normale, Wissem non è mai stato sottoposto ad alcun esame, rimanendo così rimasto legato e sedato fino alla morte, sopravvenuta per arresto cardiocircolatorio il 28 novembre 2021.

I familiari di Wissem, informati dall’Ambasciata a Kebili della morte di quest’ultimo solo cinque giorni dopo, non hanno mai smesso di cercare la verità.

Wissem era un giovane in perfetta forma che non aveva mai avuto problemi di salute in Tunisia, ha dichiarato il padre Kamel. In un’intervista a Repubblica, la sorella Rania ha precisato: «Mio fratello era in buona salute, in piena capacità mentale. La prova è che Wissem, quando è arrivato al confine con l’Italia, è stato portato su una nave quarantena e non in un ospedale. Poi ha fatto delle foto quando era in prigione, al CPR, e c’è un video in cui parla del posto brutto in cui si trovava e chiedeva aiuto. Lui stava bene, protestava». Ne è una conferma anche l’audio che Wissem ha inviato alla sorella dal CPR di Ponte Galeria, poco prima di essere ricoverato nel reparto psichiatrico del San Camillo: «Ciao Rania, come stai? Non mi hanno liberato, mi hanno portato in carcere a Roma. Chiama lo zio Anouer e capisci se può nominare un avvocato. Mi vogliono rimpatriare. Io non voglio tornare, dì a papà e a mamma di non preoccuparsi. Ora l’importante è avere un avvocato, non voglio essere lasciato solo».

Per la morte di Wissem, la Procura di Roma sta indagando due medici e due infermieri del servizio psichiatrico dell’Asl Roma 3 per omicidio colposo e falso in atto pubblico.

Ma le domande della madre Henda, per ora, rimangono ancora senza risposta: «Dov’è l’umanità? Dove sono le leggi? Non hanno sentimenti? Dove sono le autorità italiane? Devono sentire questo dolore. Anche se mio figlio è morto bisogna sapere la verità e devono essere garantiti i suoi diritti. Se la Tunisia non glieli ha dati, lo deve fare lo Stato italiano».

Per tutti questi motivi, nel mese di marzo 2022 si è costituito in giudizio il “Comitato verità e giustizia per Wissem Ben Abdel Latif”, di cui sono promotori la famiglia di Wissem, la Campagna LasciateCientrare, nonché la Fondazione Franco e Franca Basaglia.

Per affrontare le spese processuali e dare la possibilità alla famiglia e agli altri testimoni di partecipare al processo, il Comitato verità e giustizia per Wissem Ben Abdel Latif ha dato vita ad una campagna di crowdfunding che è possibile trovare su buonacausa.org.

Ciò nella speranza che si possa finalmente trovare giustizia per la morte di Wissem e di tanti altri stranieri a cui viene negato il diritto all’accoglienza e alla libertà.