La detenzione amministrativa degli stranieri e la Cedu: un caso studio

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di Daria Sartori

Introduzione

In Italia, la detenzione amministrativa degli stranieri in vista dell’espulsione è disciplinata dal Decreto Legislativo n. 286/1998 (c.d. “Testo Unico dell’Immigrazione”) e dal DPR n. 394/99. Gli stranieri sono trattenuti in centri dedicati denominati Centri di Permanenza per il Rimpatrio (“CPR”), il cui regolamento è stato adottato con Decreto del Ministero dell’Interno n. 12700 del 20 ottobre 2014 (“Reg. CPR”).

Il rapporto di CILD “Buchi neri. La detenzione senza reato nei CPR” (Black Holes. Detention without criminal offence in CPRs) documenta ampiamente i vari aspetti critici di questo sistema, come l’insufficiente protezione dei diritti legati alla salute dei detenuti e la mancanza di fatto di garanzie giudiziarie per i diritti dei detenuti che – non essendo richiedenti asilo – rientrano nella giurisdizione del Giudice di Pace.

Da febbraio a marzo 2022,“The Rule 39 Initiative” ha fornito supporto legale a CILD in relazione a due richieste di misure provvisorie presentate dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo (“CEDU” o “Tribunale di Strasburgo”) a tutela dei diritti legati alla salute di un detenuto in un CPR (che, per motivi di privacy, sarà indicato come X.).

Il caso di X. è emblematico delle carenze più gravi del sistema dei CPR; e – sfortunatamente – dell’atteggiamento preoccupante della Corte EDU a favore della rinuncia al suo ruolo di supervisore superiore del rispetto dei diritti umani da parte degli Stati quando si tratta dei diritti umani dei migranti privi di documenti.

Dopo aver fornito una panoramica della protezione (teoricamente) offerta dalla Convenzione europea sui diritti dell’uomo ai detenuti nei CPR, il contributo descrive sinteticamente i fatti del caso e fornisce un’analisi critica della posizione della Corte EDU che emerge da tali fatti.

La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e i detenuti nei CPR

La Convenzione europea dei diritti dell’uomo (“CEDU”, o “Convenzione”)[1] consente espressamente la detenzione degli stranieri: l’articolo 5§1, lett. f) consente la restrizione del diritto alla libertà “nei modi previsti dalla legge”, se si tratta “dell’arresto o della detenzione regolari di una persona per impedirle di entrare illegalmente nel territorio, oppure di una persona contro la quale è in corso un procedimento d’espulsione o d’estradizione”.

Tuttavia, il potere dello Stato di trattenere gli stranieri in vista dell’espulsione non è senza limiti. La citata disposizione richiede la legalità e il rispetto dei “modi previsti dalla legge”. Inoltre, il trattamento di qualsiasi persona che rientri nella giurisdizione dello Stato deve rispettare gli standard di tutela dei diritti umani stabiliti dalla CEDU: pertanto, uno straniero che è trattenuto in vista dell’espulsione ha diritto a una serie di diritti rilevanti, quali i diritti relativi alla salute derivanti dalla giurisprudenza della Corte EDU ai sensi dell’articolo 3 della CEDU (divieto di tortura).

Ciò significa che la legittimità della detenzione amministrativa degli stranieri in vista dell’espulsione non può essere messa in discussione di per sé invocando la Convenzione europea dei diritti dell’uomo; tuttavia, tale forma di trattenimento deve essere attuata nel rispetto degli altri obblighi internazionali dello Stato, come quelli di cui all’art. 3 della CEDU.

Strumenti di tutela: misure provvisorie

Due strumenti sono a disposizione delle persone che si ritengono vittime di una violazione dei diritti e delle libertà tutelati dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Il primo e il più ovvio strumento è il ricorso individuale ai sensi dell’articolo 34 della CEDU. Si tratta di uno strumento molto potente, che consente ai singoli di coinvolgere la responsabilità internazionale dello Stato ed eventualmente ottenere un risarcimento (“giusta soddisfazione” ai sensi dell’art. 41 della CEDU) o restitutio in integrum della situazione anteriore alla violazione. Tuttavia, i ricorsi individuali sono piuttosto lunghi: se la causa non è dichiarata manifestamente inammissibile o comunque rigettata dalla Corte, per ottenere una decisione o delle sentenze possono trascorrere diversi anni.

Per questo motivo, talvolta è necessario ricorrere a misure provvisorie. Le misure provvisorie nel sistema CEDU sono provvedimenti urgenti con effetti temporanei, adottati dalla Corte EDU ai sensi dell’articolo 39 del Regolamento della Corte, con l’obiettivo di tutelare gli interessi delle parti e/o il corretto svolgimento del procedimento durante l’esame di un ricorso individuale. Sono adottati dalla Corte EDU quando sussista: a) un rischio imminente; b) di un danno irreparabile; c) a un “diritto fondamentale” previsto dalla Convenzione (Mamatkulov e Askarov c. Turchia [GC], nn. 46827/99 e 46951/99, CEDU 2005‑I; Paladi c. Moldavia [GC] n. 39806/05, § 86, 10 marzo 2009).

Particolarmente interessante è il riferimento a un “diritto fondamentale”. I diritti e le libertà ai sensi della CEDU non hanno un “grado”; tuttavia, la Corte generalmente ritiene che le misure provvisorie possano essere applicate quando è in gioco la vita o l’integrità fisica di una persona (articolo 2 della CEDU), o quando vi è il rischio di trattamenti che costituiscono tortura o trattamento inumano e degradante (articolo 3 della CEDU).

Il caso di X.

Il caso di X. è un tipico esempio di rischio imminente di danno irreparabile a un diritto fondamentale ai sensi della Convenzione che potrebbe verificarsi a uno straniero nei CPR.

X. è uno straniero privo di documenti che, poco prima di essere sottoposto alla detenzione amministrativa, ha subito un politrauma che ha interessato più parti del suo corpo, lasciandolo con intensi dolori cronici e gravi difficoltà a camminare e ad usare una mano. Al momento del suo arresto ai fini dell’espulsione, erano ancora in programma le visite mediche per valutare l’esatta entità dei danni ai suoi organi interni e per stabilire le corrette terapie da mettere in atto.

X. è entrato nel CPR a inizio febbraio. All’epoca non è stata effettuata alcuna visita medica attestante la compatibilità del suo stato di salute con la detenzione. Per tutto il mese di febbraio, X. ha chiamato più volte il suo medico di fiducia, lamentandosi del fatto che nel CPR: (i) non gli venivano somministrati antidolorifici, necessari per contenere i suoi dolori cronici; (ii)  non riusciva a dormire la notte a causa del dolore e del freddo (gli è stata anche rifiutata la richiesta di una coperta aggiuntiva); (iii) gli è stato somministrato un forte farmaco ansiogeno senza prescrizione psichiatrica, i cui effetti collaterali avrebbero potuto peggiorare alcune delle sue condizioni mediche.

X. dormiva in una stanza di 25 mq in cui potevano essere detenute fino a 8 persone, dalla quale spesso non riusciva ad uscire a causa delle difficoltà di deambulazione.

L’avvocato di X. ha chiesto ripetutamente, ma senza successo, alle autorità del CPR di ricevere informazioni sulla situazione medica del suo cliente e sulle condizioni della sua detenzione.

Verso la fine di febbraio, X. riferì sintomi preoccupanti di un peggioramento delle sue condizioni mediche. Il suo avvocato ha presentato un ricorso d’urgenza al Giudice di Pace, chiedendo l’immediato ricovero di X. e l’immediata rivalutazione della legittimità della sua detenzione. Dopo dieci giorni senza risposta, l’avvocato ha presentato una richiesta di misure provvisorie dinanzi alla Corte Edu (“la prima richiesta ai sensi dell’articolo 39”).

La richiesta era fondata sull’articolo 3 della CEDU ed era volta a ottenere l’immediato ricovero in ospedale del ricorrente o a garantire che gli venissero immediatamente fornite cure mediche adeguate durante la detenzione.

Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, l’articolo 3 CEDU prevede che le modalità e i metodi della detenzione non sottopongano l’interessato a disagi o difficoltà d’intensità superiore all’inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione stessa (E.g. Neshkov e altri c. Bulgaria, 2015, § 227 e Muršić c. Croazia [GC], 2016, § 99). Più precisamente, è necessario che ai detenuti malati o disabili siano fornite diagnosi e cure tempestive e accurate (Melnik c. Ucraina, n. 72286/01, Sentenza del 28 marzo 2006, §§ 104-106; Holomiov c. Moldavia, n. 30649/05, Sentenza del 7 novembre 2006, § 121.), e questo significa che deve essere tenuto un registro completo dello stato di salute del detenuto e del trattamento subito durante la detenzione (E.g. Khudobin c. Russia,n. 59696/00, Sentenza del 26 ottobre 2006, § 83). La supervisione deve essere regolare, sistematica e comportare una strategia terapeutica completa volta a curare le malattie del detenuto o a prevenirne l’aggravamento, piuttosto che affrontarle su base sintomatica (Sarban c. Moldavia, n. 3456/05, Sentenza del 4 ottobre 2005, § 79; e Popov c. Russia, n. 26853/04, Sentenza del 13 luglio 2006, § 211).

Al momento della presentazione della prima richiesta ai sensi dell’articolo 39 (cioè a quasi un mese dal suo ingresso nel CPR), non era nota una diagnosi esatta per le condizioni mediche di X.; quest’ultimo non stava nemmeno ricevendo i farmaci di base per evitare il dolore (per non parlare di curare la sua condizione) e i suoi sintomi stavano peggiorando.

La Corte EDU ha sospeso l’esame della richiesta del ricorrente, pur chiedendo informazioni al Governo italiano, che sono state poi trasmesse all’avvocato di X. per le osservazioni.

Con un’interessante coincidenza temporale, subito dopo il deposito della prima richiesta ai sensi dell’articolo 39, è stata effettuata una visita medica di X., nella quale sono state prescritte nove visite mediche. Con un’altra interessante coincidenza temporale, il Giudice di Pace ha finalmente fissato l’udienza per il riesame del caso di X., dove ha disposto che le nove visite mediche (prescritte ma non ancora eseguite) fossero completate entro 10 giorni.

Subito dopo essere stata informata della decisione del Giudice di Pace, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha rigettato la prima richiesta ai sensi dell’articolo 39. Come di consueto, il rigetto non aveva alcuna motivazione.

Un mese dopo, su nove visite mediche, solo due erano state effettuate, e una di queste aveva evidenziato la necessità di un ulteriore esame volto, tra l’altro, ad escludere una complicanza con conseguenze potenzialmente fatali per X. X. ha riferito che gli venivano somministrati 12 farmaci al giorno, di cui non conosceva lo scopo e che gli causavano dolore allo stomaco. I suoi dolori alla gamba, alla schiena e al braccio erano ancora forti e rendevano quasi impossibili i suoi movimenti. Le autorità del CPR non gli avevano fornito alcuna attrezzatura medica per aiutarlo a camminare e quindi trascorreva la maggior parte delle sue giornate nel suo piccolo dormitorio. Soffriva ancora il raffreddore e aveva sangue nelle urine.

Insomma, a 72 giorni dall’ingresso nel CPR, X. non aveva ancora una diagnosi tempestiva e accurata né cure tempestive e accurate, e le condizioni della sua detenzione continuavano ad essere manifestamente incompatibili con la dignità umana, essendo anche evidente un peggioramento delle sue condizioni.

È stata presentata una nuova richiesta ai sensi dell’articolo 39 (la “seconda richiesta ai sensi dell’articolo 39”). Quasi una settimana dopo, la Corte EDU ha adottato una decisione che ha sospeso per quindici giorni l’esame della richiesta e invitato il Governo a presentare la cartella clinica di X., comprensiva degli esiti delle nove visite mediche prescritte, oppure a fornire un “calendario dettagliato” per gli esami non ancora svolti.

Il Governo ha trasmesso alcune informazioni, senza però allegare tutti gli esami (alcuni non erano stati condotti, e uno – che evidenziava l’ulteriore peggioramento delle condizioni di salute di X. – è stato semplicemente omesso).

All’avvocato di X. è stato concesso un solo giorno per commentare le informazioni del Governo, e quando ha chiesto una proroga di tre ore, questa è stata rifiutata dalla Corte. La seconda richiesta ai sensi dell’articolo 39 è stata quindi rigettata, come di consueto senza motivazione.

Conclusioni: una protezione illusoria per i detenuti nei CPR?

La prima considerazione che si può fare è che tutte le decisioni adottate dalla Corte EDU nel caso X. appaiono incentrate su un (e unico) elemento: le visite mediche. La Corte di Strasburgo, infatti, ha sospeso la valutazione sia della prima sia della seconda richiesta ai sensi dell’articolo 39 con lo scopo (manifesto) di consentire alle autorità di procedere con la visita medica. In entrambi i casi, la Corte ha respinto le richieste una volta informata che era stato compiuto un qualche movimento in avanti. 

Una seconda considerazione è che la chiara intenzione alla base di tali decisioni era di consentire che la situazione si risolvesse da sola senza l’intervento della Corte. Il ragionamento si basava quindi palesemente non su considerazioni giuridiche, ma su considerazioni politiche.

Infatti, se la motivazione fosse stata fondata su considerazioni di diritto, la Corte EDU non avrebbe potuto dimenticare che, secondo la propria giurisprudenza, l’art. 3 CEDU è violato quando un detenuto malato non riceve una diagnosi e delle cure tempestive e accurate – quest’ultimo elemento nel senso di una strategia terapeutica completa volta a curare le sue malattie o a prevenirne l’aggravamento. Inoltre, la Corte non avrebbe potuto dimenticare che le misure provvisorie hanno lo scopo di garantire l’efficacia della protezione offerta dalla Convenzione.

Il fatto che le visite mediche prescritte per X. siano state completate non costituisce automaticamente una diagnosi, e ancor meno una “cura” tempestiva e accurata. X. ha trascorso più di due mesi in detenzione senza nemmeno ricevere il sostegno umanitario più elementare consistente nel curare i suoi gravi dolori – per non parlare di curare le sue malattie!

Spettava alla Corte adottare una decisione favorevole a X., accogliendo la richiesta alternativa chiaramente indicata in entrambi i ricorsi ai sensi dell’articolo 39, ovvero che gli fosse prestata adeguata assistenza durante la detenzione. Tuttavia, la Corte ha scelto un’altra via, meno lineare: quella di utilizzare uno stratagemma procedurale (la sospensione del procedimento) per consentire alla situazione di “risolversi” da sé. Il problema è che la situazione non si è risolta da sola: se alcune (non tutte) visite mediche sono state effettuate, ciò non garantisce che seguiranno diagnosi e cure “tempestive e accurate”. E nel frattempo, un detenuto continua a essere trattenuto in condizioni incompatibili con gli standard (teoricamente) previsti dall’articolo 3 della CEDU.

L’efficacia della tutela non è certo un’espressione che viene in mente guardando i fatti del caso X.. Si trattava solo di un lapsus della Corte, o era solo l’ennesima manifestazione della sua ben nota riluttanza a contraddire le scelte politiche dello Stato membro nei confronti degli stranieri, in particolare quelli privi di documenti?

Se quest’ultimo caso è vero, non si può non ricordare alla Corte EDU che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo non vuole essere uno strumento di protezione dei cittadini europei. È uno strumento di protezione di ogni uomo, donna, ragazza e ragazzo che è soggetto/a alla giurisdizione di uno Stato membro del Consiglio d’Europa.

 

Foto copertina via Wikipedia