Discriminazione razziale. Una realtà ancora radicata in Italia
Il 21 marzo ricorre ogni anno la Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale. La data scelta non è casuale. Il 21 marzo 1960, infatti, nella città di Sharpeville, in Sud Africa, la polizia aveva aperto il fuoco e ucciso 69 persone durante una manifestazione pacifica contro le leggi segregazioniste e, più particolarmente, l’Urban Areas Act. Questa legge obbligava i neri di più di 16 anni ad avere con loro un ‘lasciapassare’ che concedeva loro il diritto di entrare in certi quartieri ‘bianchi’ al di là dei loro orari di lavoro.
Anche se questi eventi tragici sono accaduti più di mezzo secolo fa, quello della discriminazione razziale è un aspetto ancora oggi attuale in tutti i settori della vita quotidiana in ogni parte del mondo. In occasione di questa giornata abbiamo voluto dunque analizzare la situazione in cui si trovano oggi Europa e Italia per quanto riguarda le discriminazioni.
La situazione europea
La Seconda indagine sulle minoranze e sulle discriminazioni nell’Unione Europea, realizzata dall’Agenzia Europea dei diritti fondamentali tra ottobre 2015 e luglio 2016, ci dimostra quanto siano ancora presenti episodi di discriminazioni nel nostro continente, anche se spesso questi passano sotto silenzio.
Cosi l’indagine ci rivela che il 38% delle persone intervistate si sono sentite discriminate in almeno uno dei settori della vita quotidiana, nei cinque anni precedenti l’indagine, a causa della loro origine etnica o del loro background migratorio e, il 24% di loro, ha vissuto queste discriminazioni nell’anno precedente l’indagine.
Tra le persone intervistate che hanno dichiarato di essere state vittime di discriminazioni, ad averne subite maggiormente sono le persone di origine Nord africana, coloro che appartengono alla comunità Rom o con origini Subsahariane (rispettivamente con nel 45%, 41% e 39% dei casi durante i 5 anni precedenti l’indagine, e nel 31%, 26% e 24% durante l’anno precedente l’indagine). Mentre i rispondenti che fanno parte della comunità Rom o che hanno origini subsahariane sono piuttosto vittime di discriminazioni basate sull’apparenza fisica, l’indagine ci rivela che gli immigrati o discendenti provenienti dall’Africa del Nord e della Turchia sono più spesso vittime di discriminazioni basate sul loro nome.
I livelli i più alti di discriminazione basata sul colore della pelle o sul background migratorio sono osservati nell’area dell’impiego e nell’accesso ai servizi pubblici e privati. Il 29% dei rispondenti che hanno cercato un lavoro nei 5 anni precedenti all’indagine si sono sentiti discriminati (percentuale che si fissa al 12% durante l’anno precedente).
Anche se questi dati ci mostrano che gli eventi di discriminazioni sono ancora molto diffusi, sono ancora troppo rare le segnalazioni presso le autorità pubbliche. In realtà, solo 12% dei rispondenti ha segnalato e presentato una denuncia a proposito degli incidenti più recenti di discriminazione che hanno vissuto a causa della loro origine etnica o del loro background migratorio. Ma come si spiega questa bassa percentuale di segnalazioni? Da una parte con una sfiducia generale verso le istituzioni. Le vittime di discriminazioni infatti ritengono che niente accadrebbe in caso di denuncia. La maggior parte dei rispondenti (71%) tuttavia, non segnala la cosa perché non conosce tutte le organizzazioni che offrono supporto ed assistenza alle vittime di tali atti discriminatori e il 62% non conosce nessun organismo che si occupa di uguaglianza.
Quella italiana è una delle società più razziste
I dati su come gli italiani percepiscono le minoranze, pubblicati nell’ultimo sondaggio del Pew Research Center, non ci rivelano una situazione migliore per quanto riguarda le discriminazioni in Italia. Al contrario il nostro paese risulta essere, tra i sei presi in considerazione dall’inchiesta, la società più razzista.
Così, il 21% dei rispondenti, ha dichiarato un forte sentimento anti ebraico, il 61% di osteggiare i musulmani e l’86% un’avversione nei confronti della comunità Rom, Sinti e Camminanti (ne avevamo già parlato qui).
Un risultato confermato anche dalla stessa Seconda indagine sulle minoranze e sulle discriminazioni nell’Unione Europea. Sempre prendendo come riferimento i cinque anni precedenti l’indagine, il 37% dei rispondenti di origine Sudafricana e il 20% di quelli provenienti dall’Africa del Nord si sono sentiti vittime di discriminazioni a causa del colore della pelle e il 32% di coloro che provengono dell’Asia del Sud si sono sentiti vittime di discriminazioni a causa della loro appartenenza etnica.
Una discriminazione non solo sociale ma, in qualche modo, anche istituzionale. La ricerca dell’Agenzia Europea dei diritti fondamentali prende in considerazione infatti anche i controlli di polizia. Tra i rispondenti di origine subsahariana e quelli del Nord Africa, rispettivamente il 28% e il 32% ha dichiarato di essere stato controllato dalle forze dell’ordine durante i 5 anni precedenti l’indagine. Di questi, il 60% e il 46%, ha vissuto il controllo come dovuto alle caratteristiche fisiche o l’origine etnica e non a fondati sospetti di reato.
Le ricerche condotte dall’Associazione Antigone nello stesso ambito ci confermano queste cifre. Secondo il progetto ‘Discrimination’, in cui Antigone è coinvolta, risulta che gli stranieri vengono fermati dalla polizia in misura maggiore degli italiani. Così, i dati sugli arresti ci mostrano che l’8,3% della popolazione residente in Italia non ha la cittadinanza italiana ma ben il 29,2% degli arrestati è straniero. Di più, secondo il parere degli avvocati intervistati dall’Associazione Antigone, nei processi per direttissima (che hanno luogo quando l’imputato è stato colto in flagranza di reato), le condanne sono più severe per gli stranieri che per gli italiani e i giudici tendono a convalidare gli arresti degli stranieri e a convertirli in custodia cautelare con maggiore facilità. L’azione penale è anche discriminante rispetto all’applicazione delle misure alternative alla detenzione, molto più facilmente precluse agli stranieri. Infine, uno dei maggiori motivi di discriminazioni deriva dalla mancata padronanza della lingua e da una minore conoscenza del funzionamento della macchina giudiziaria, cui la scarsa presenza di interpreti e mediatori non riesce a far fronte.
Ad alimentare la discriminazione e il conseguente razzismo che, secondo il “Quarto libro bianco’ di Lunaria, presentato nello scorso mese di ottobre 2017, sta trovando sempre nuovo terreno e cresce con un’intensità forte è anche il ruolo dei media, sia social che tradizionali.
Il rapporto ci mostra infatti come sui social media, le informazioni condivise sono sempre meno corrette e i comportamenti sempre più apertamente discriminanti, e come nei media tradizionali si è assistito a prime pagine che hanno invitato a ‘cacciare l’islam’ mentre la narrazione di violenze a sfondo razzista ha trovato sempre minore spazio.
Rom, Sinti e Caminanti. Quando la discriminazione è generalizzata
Un capitolo a parte meritano le discriminazioni contro Rom, Sinti e Caminanti di cui Associazione 21 Luglio si è occupata nel suo Rapporto annuale 2016. Questo documento rende bene l’immagine di “un contesto permeato da pregiudizi e stereotipi penalizzanti diffusi e radicati, caratterizzato da uno scarsissimo grado di conoscenza delle comunità Rom e Sinte e da un clima di generale ostilità”.
Nel corso di quell’anno l’Osservatorio 21 Luglio aveva registrato un totale di 175 episodi di discorsi di odio, nei confronti di Rom e Sinti, di cui 57 (il 32,6% del totale) sono stati classificati di una certa gravità.
Una discriminazione proveniente anche da chi si candida a guidare le istituzioni. Infatti, tra coloro che facevano ricorso ad una retorica anti-tzigana, c’erano anche rappresentanti politici – in particolare esponenti dei partiti del centrodestra con quelli della Lega Nord a distinguersi, seguiti da quelli di Fratelli d’Italia e Forza Italia.
Per quanto riguarda la ripartizione geografica degli episodi di discriminazione, la concentrazione più importante di questi episodi si ritrovava nel Lazio (il 24,5% degli episodi), nel Veneto (il 15%), nell’Emilia Romagna (il 12%) e in Campania (l’11%).
A suffragare questi dati è stato recentemente l’indagine ‘Resistenza dell antiziganismo in Italia’ condotta da Nawart Press in collaborazione con il think thank Political Capital Institute e l’Istituto di sondaggi IXE. Le ricerche condotte mostrano che il 22,1% degli intervistati possono essere considerati come intolleranti nei confronti di queste minoranze, escludendo per esempio la possibilità di averli come vicini, mentre il 23,4% è criticalmente indulgente, accetta ad esempio di averli come colleghi ma meno come vicini e in pochi casi come partner.
Tuttavia la ricerca mette in evidenza come nel nostro paese esiste anche una grande fetta di popolazione (17% – 8,7 milioni di italiani) che rifiuta gli stereotipi negativi nei confronti di queste comunità.
Una buona notizia a cui appellarsi per superare in Italia le discriminazioni razziali ed etniche.