Il valore della diversità al Diversity Brand Summit 2018

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Al giorno d’oggi essere smart e social sono requisiti indispensabili nel mondo del lavoro. E se lo fosse anche l’essere inclusivi? La diversità può essere un valore non solo dal punto di vista etico ma anche del business. È stato questo il messaggio lanciato all’interno del Diversity Brand Summit 2018 tenutosi lo scorso 8 febbraio a Milano.

Un evento, quello organizzato da DiversityLab, in cui l’associazione guidata da Francesca Vecchioni ha presentato i risultati del Diversity Brand Index, una ricerca volta a sensibilizzare le aziende sull’importanza etica ed economica di una formula ben precisa: Diversità + Inclusione = Valore. Ma facciamo un passo indietro. Leggendo il glossario accessibile online sul sito dell’evento (uno degli strumenti del Diversity Toolkit) si scopre che

“in ambito lavorativo, con diversity & inclusion si definisce una strategia di management finalizzata a una cultura aziendale inclusiva, basata sulla valorizzazione delle differenze individuali quali fattori di innovazione e di miglioramento delle performance personali e organizzative”.

La ricerca, condotta da Focus MGMT e DiversityLab, ha permesso di creare un indice per misurare il livello effettivo di inclusione di un brand rispetto ai consumatori. In che modo? Al fine di essere quanto più esauriente, lo studio ha misurato sia la percezione di consumatrici e consumatori sul livello di inclusione dei brand che il loro impegno reale in ambito di D&I. Sette le forme di diversità prese in considerazione: religione, disabilità, età, etnia, genere, orientamento sessuale e status socio-economico.


La prima fase della ricerca ha visto un totale di 1.068 persone rispondere ad un web survey attraverso cui ad essere misurata è stata la percezione del livello di inclusione dei brand da parte del consumatore. Una volta identificati i brand percepiti come maggiormente inclusivi, un comitato scientifico ha valutato le singole iniziative delle aziende. Solo in questa fase è stato possibile combinare i risultati delle due fasi identificando i brand percepiti come maggiormente inclusivi dai consumatori che, sul piano pratico, si impegnano realmente per l’inclusione.

All’interno del Diversity Brand Summit è stata svelata la top 5, ossia le aziende valutate come maggiormente inclusive: American Express, Vodafone, Google, Tim e Coca Cola. E sono state proprio queste a correre per la vittoria del Diversity Brand Awards assegnato a Coca Cola (di cui qui potete guardare una delle ultime pubblicità diventata presto virale sul web).

Al di là del premio, i risultati della ricerca sono stati forti e chiari: essere inclusivi paga (anche dal punto di vista del business). Le persone coinvolte direttamente dalla diversità (o gli alleati) rappresentano una fetta importante del mercato finale. Dati alla mano, ben l’80% della popolazione sceglie con convinzione o si orienta su brand inclusivi. Emerge poi come solo 1 consumatore su 5 si è dichiarato insensibile ai messaggi sull’inclusione. Un impegno concreto sulla diversity & inclusion dà risultati concreti in termini di guadagno:

“il gap in termini di crescita dei ricavi tra un brand inclusivo ed un marchio non inclusivo […] può arrivare fino ad un massimo del 16,7%, naturalmente a favore dell’azienda più inclusiva”.

Insomma, non ci sono più scuse. Se prima le aziende potevano anche solo avere il dubbio che comunicare all’esterno la propria attività inclusiva potesse causare una perdita importante della clientela, tale pensiero è stato smentito dal Diversity Brand Index. Piccola nota: dati alla mano, spostando l’attenzione dall’azienda al consumatore si nota come la popolazione italiana sia frammentata nella percezione e nel rapporto con la diversity.


Insomma, quello dell’inclusione è un percorso ancora lungo sia per i consumatori che per le aziende. Un percorso in cui il Diversity Brand Summit ha però ben individuato la via da percorrere.