La guerra dei droni in Europa, tra asimmetria strategica e diritti umani

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Nel 2018 da Sigonella si alzeranno droni armati USA a fini offensivi ma non c’è trasparenza del governo italiano: quale sarà l’effettivo coinvolgimento del nostro Paese?

Lo scorso 25 settembre si è tenuta all’Università Statale di Milano la conferenza internazionale “Droni armati in Italia e in Europa: problemi e prospettive”. Si è parlato del loro ruolo militare all’interno della lotta al terrorismo, delle implicazioni economiche relative al loro utilizzo e del costo in termini di vite umane.

Nonostante gli aeromobili a pilotaggio remoto (APR) siano ormai ampiamente utilizzati in ambito civile – pensiamo alle riprese aeree nei film oppure al monitoraggio ambientale – l’aspetto che la conferenza ha indagato è la loro applicazione in campo militare, e in particolare alle operazioni di attacco diretto, oltre che per operazioni di sorveglianza e raccolta di informazioni, cosa che l’intelligence italiana già fa.

Ma i cambiamenti avvengono in fretta. Nella quasi totale oscurità dell’opinione pubblica, nel 2015 l’Italia sigla un accordo di 129,6 milioni di dollari con gli USA per la vendita dei kit di armamento per droni Predator e Reaper, venduti dalla General Atomics e in servizio all’Aeronautica Militare nel 2018. Lo scopo è quello di contrastare operazioni di terrorismo in Iraq, Afghanistan, Libia. Come afferma il professor Battistelli (Archivio Disarmo) vi sono alcune motivazioni cruciali per cui questi dispositivi vengono utilizzati sempre di più dalle forze militari: “il primo aspetto vantaggioso è il binomio tattica-strategia, grazie al quale i droni creano quell’asimmetria strategica che è paragonabile all’oppressione del forte sul più debole”.

Questo porta inevitabilmente all’incapacità di comprendere in quale punto l’attacco avrà luogo e, soprattutto, che cosa costituisca un obiettivo. Gli ormai noti targeted killing spiegano efficacemente in cosa consista l’asimmetria: se da una parte (quella offensiva) le perdite umane sono ridotte a zero, dall’altra vi è un bombardamento remoto al bersaglio senza possibilità di replica, che rende il combattimento unilaterale – e che invece provoca numerose vittime civili.
Una delle problematiche più importanti su questo punto è la sicurezza dell’obiettivo: le missioni con droni vengono avviate anche solo dopo aver acquisito la posizione del bersaglio attraverso il GPS del suo telefono. Srdjan Cvijic – senior policy analyst presso Open Society Foundations – la chiama “guerra senza confine” posta in essere dall’incessante presenza di operazioni militari svolte o meno in tempo di guerra:

“I droni e le motivazioni per cui sono utilizzati sono paradossali come l’utilizzo della tortura dopo l’11 settembre: non bastava denunciare, perché quest’ultima è identificata come male necessario in risposta ad una violenza subita”

“Il secondo aspetto” continua Battistelli, “è di tipo economico: la spesa militare riveste una funzione di volano soprattutto nella situazione economica odierna”.

Negli Stati Uniti come in Europa, flagellati entrambi dalla crisi fiscale, i droni sollevano non indifferentemente i bilanci: un MQ-9 Reaper ha un costo unitario di 10,5 milioni di dollari statunitensi, un Joint strike Fighter-F35 di 94,1 milioni di dollari statunitensi (per la versione base).

THE PREDATOR UNMANNED AERIAL VEHICLE (UAV) FLIES ABOVE USS CARL VINSON (CVN 70) ON A SIMULATED NAVY RECONNAISSANCE FLIGHT HEADED BY COMMAND CARRIER GROUP ONE ON DECEMBER 5, 1995, ABOUT 100 MILES OFF THE SAN DIEGO COASTLINE. THE FLIGHT IS THE PREDATOR'S FIRST MARITIME MISSION WITH A CARRIER BATTLE GROUP; PROVIDING "NEAR REAL-TIME" INFRARED AND COLOR VIDEO TO THE SHIP DURING ITS FLIGHT. THE PREDATOR, LAUNCHED FROM SAN NICHOLAS ISLAND 0FF THE SOUTHERN CALIFORNIA COASTLINE, IS CAPABLE OF OVER 50 HOURS OF NON-STOP FLIGHT AND IS OPERATED BY A JOINT ARMED SERVICES DETACHMENT. THE DETACHMENT CONSISTS OF A CREW OF MILITARY PILOTS, TECHNICIANS, OPERATORS AND ANALYSTS. THE NAVY'S PLANS FOR THE PREDATOR IN FUTURE EXERCISES AND OPERATIONS INCLUDE SHIP RECONNAISSANCE, BATTLE-DAMAGE ASSESSMENT, AND SEARCH AND RESCUE MISSIONS. PREDATOR HAS A WINGSPAN OF 48.4 FEET, A LENGTH OF 26.7 FEET AND WEIGHS APPROXIMATELY 1500 POUNDS WHEN FULLY FUELED. COST OF THE AIRCRAFT IS AROUND 3.2 MILLION DOLLARS. AVERAGE SPEED IS APPROXIMATELY 70 KNOTS.
Predator Unmanned Aerial Vehicle (UAV) – Foto: Petty Officer 3rd Class Jeffrey S. Viano, U.S. Navy/Department of Defense

Rompere il silenzio sugli attacchi drone

Alla conferenza era presente anche Cian Westmoreland, whistleblower ed ex tecnico dell’US Air Force che, nel 2015, ha deciso di rompere il silenzio in merito a quello che era ed è il programma americano sui droni armati denunciando l’illegittimità di più di 200 attacchi drone.

La sua testimonianza si ricollega al lavoro che parte della società civile sta compiendo per raggiungere un certo grado di trasparenza sull’argomento: difatti denunciare lo stato delle cose significa voler interessare l’opinione pubblica rispetto ai comportamenti illeciti da parte del governo, comportamenti che non possono essere giustificati nemmeno dallo stato di guerra poiché il diritto internazionale e nazionale è chiaro sul tema dei civili.

“È importante inoltre sottolineare come da una parte vi sia un’enorme ruolo dell’intelligenza artificiale e dall’altro lato una sensibile vulnerabilità della stessa applicata ai droni, essendo controllati da un semplice segnale GPS”

ci ricorda Westmoreland.

Di fondamentale importanza è anche l’impatto psicologico che subiscono i tecnici durante le missioni: può sembrare simile o persino minore rispetto a quello di qualsiasi militare impegnato in operazioni di guerra, ma essere chiusi in una stanza piena di schermi dai quali si vede l’obiettivo in Afghanistan e “affrontarlo” con due manopole simili a joystick porta ad avere livelli di stress che possono essere anche maggiori rispetto all’essere fisicamente sul campo di battaglia e le dirette conseguenze (come riportato da uno studio realizzato in collaborazione con il Dipartimento della Difesa americano).

Il costo dei droni in vite umane: la sfida per trasparenza e accountability

Un tema cruciale è quello delle vittime civili, un numero che varia molto tra i pochissimi numeri dati dai governi e quelli assai più alti dati da ONG e inchieste giornalistiche: la sfida per l’accountability è un nodo cruciale, una enorme macchia sull’utilizzo dei droni, “chirurgici e precisi”.

Il caso del cooperante italiano Giovanni Lo Porto è sicuramente un esempio che ha cercato e sta cercando di fare giurisprudenza in questo senso. Come ci racconta il Prof. Andrea Saccucci, difensore della famiglia, Lo Porto viene sequestrato in Pakistan insieme ad un collega tedesco, all’imprenditore americano Warren Weinstein e al comandante americano di Al Qaeda Ahmed Farouq, e rimane poi vittima di un attacco drone statunitense che colpisce il compound ove si trovava in ostaggio. Le perplessità che circondano l’accaduto sono molte e vanno dall’incredulità dei familiari e di Saccucci in merito all’operato del governo italiano; fino alla cospicua donazione (non risarcimento) che gli Stati Uniti hanno destinato ai parenti (1 milione di dollari) sintomo della poca volontà da parte dell’amministrazione Obama di riconoscersi responsabile.

Per l’indagine sul caso Lo Porto è stata richiesta dai PM l’archiviazione proprio nel luglio 2017. Le cose non sembrano migliori oltreoceano poiché Michael D’Andrea, ex capo dell’antiterrorismo della CIA che ha guidato numerosi attacchi drone durante la caccia a Osama Bin Laden, è stato riposizionato dal nuovo presidente americano Donald Trump in veste di capo delle operazioni CIA per l’Iran.

Il coinvolgimento dell’Italia nelle “drone wars”

Nel febbraio del 2016 il WSJ rende partecipe l’opinione pubblica italiana dell’utilizzo dei droni armati a Sigonella, in Sicilia, dove risiede la Naval Air Station americana. Su questo punto la conferenza ha voluto porre un particolare accento, in quanto si evince l’offuscata posizione italiana in merito: il governo Renzi ha accettato che Sigonella fungesse da base di partenza per i droni statunitensi ai fini unicamente difensivi. Ma le cose, come dicevamo, cambiano in fretta poiché nel 2018 Sigonella diventerà la seconda base globale (dopo Ramstein in Germania) a gestire le azioni USA nel mondo.

Ultimi controlli per un aereo in partenza da Sigonella. Foto: 1st Lt. Maida Kalic, U.S. Marine Corps/Released
Ultimi controlli per un aereo in partenza da Sigonella. Foto: 1st Lt. Maida Kalic, U.S. Marine Corps/Released

Per evitare che l’Italia si renda complice di uccisioni illegali, lo European Center for Constitutional and Human Rights (ECCHR) ha inoltrato istanza di accesso agli atti (FOIA, acronimo di Freedom of Information Act – normativa recente in Italia e ancora lacunosa) per richiedere alcune informazioni in merito alla presenza ed alla regolamentazione dei droni armati in Sicilia al Ministero della Difesa. La richiesta, ha sottolineato più volte Chantal Meloni – professoressa di diritto penale internazionale e consulente dell’ECCHR – è stata rigettata poiché si è ritenuta un’informazione coperta da segreto di Stato. Il diniego è stato impugnato ed a novembre sarà presentato davanti al TAR, primo ricorso italiano con l’uso del nuovo FOIA.

Il livello di trasparenza del governo americano riguardo ai droni è aumentato nell’ultima parte dell’amministrazione Obama attraverso la pubblicazione di informazioni sugli attacchi mirati. Resta da vedere se continuerà a migliorare con Donald Trump.
In Italia, l’introduzione del FOIA può sicuramente favorire maggiore trasparenza sia sulla base di Sigonella (maggiore chiarezza richiesta anche dai cittadini che temono ripercussioni nella zona) sia in merito alle prossime prese di posizione del Paese e del Parlamento in merito al quadro normativo degli accordi internazionali e alla definizione delle responsabilità di attacchi illegittimi. “L’assenza di trasparenza e di linee guida da parte del Parlamento che rimandino al funzionamento, all’utilizzo e alla formazione che i piloti italiani ricevono per le missioni mediante droni armati è dannosa per l’accountability”, ha dichiarato l’on. Massimo Artini, vicepresidente della Commissione Difesa alla Camera.

CILD, ECCHR, Rete Disarmo e numerose altre realtà impegnate nella lotta per i diritti umani e civili auspicano una crescita del dibattito dell’opinione pubblica, stimolando studi e ricerche che focalizzino l’attenzione dei cittadini sul fenomeno dei droni armati. L’obiettivo è quello di evitare di rimanere avulsi ad una tematica sempre più importante, che tocca sempre più aspetti della società: la politica estera, interna, il terrorismo e i diritti civili.

Per questo motivo il lavoro deve anche avere una dimensione più ampia di quella nazionale: a questo scopo le tre organizzazioni insieme a circa altre 20 Ong di tutta Europa hanno creato lo European Forum on Armed Drones (EFAD), una rete che si occupa di chiedere il rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto, facendo advocacy su disarmo e prevenzione dei conflitti. Il nuovo sito dell’associazione è stato presentato proprio durante la conferenza – un altro passo verso un dibattito ampio che ci coinvolge e ci coinvolgerà molto più da vicino di quanto pensiamo.

 

 

Laura Carrer ha una laurea in Sociologia e si sta specializzando in Comunicazione Pubblica. Nel frattempo collabora con Transparency International Italia dove supporta i whistleblowers che denunciano casi di corruzione sul lavoro. É interessata ai diritti civili, alla cyber security ed alla libertà di informazione.