Così l’Egitto discrimina noi copti

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Patrick Zaki, dopo oltre un anno e mezzo di carcere preventivo, andrà a processo. Come scrive il nostro primo presidente Patrizio Gonnella, nel suo blog su l’Espresso, il giovane studente è un prigiorniero di coscienza e rischierà una condanna a diversi anni, solo per aver scritto un articolo sui Cristiani Copti d’Egitto.

Continuiamo a chiedere al Governo italiano di mobilitarsi per Patrick Zaki, concedendogli la cittadinanza italiana e riportandolo a Bologna, città nella quale studiava e da dove è partito per andare a trovare i genitori nel suo paese, che lo ha messo in galera. L’Egitto è il paese dove è stato ucciso Giulio Regeni da parte delle forze governative. Non si può rimanere inermi dinanzi a questa nuova, grave, violazione di uno dei più elementari diritti, quello alla libertà di pensiero e opinione.

Chiediamo ai giornali di ripubblicare l’articolo. Lo facciamo per primi noi. Quello che leggerete è stato pubblicato ieri da la Repubblica tradotto da Fabio Galimberti, con un testo editato per renderlo più chiaro.

 

Non passa un mese senza che vi siano episodi contro i copti egiziani, da tentativi di spostarli in Alto Egitto a rapimenti, chiusure di chiese o attentati dinamitardi. Questo articolo è un semplice tentativo di monitorare gli eventi di una settimana nella vita quotidiana dei cristiani egiziani…

Non passa un mese per i cristiani in Egitto senza 8 o 10 incidenti dolorosi, da tentativi di spostarli in Alto Egitto a rapimenti, la chiusura di una chiesa, o attentati dinamitardi e l’uccisione di un cristiano, e alla fine è viene sempre definito una persona “mentalmente disturbata”.

Questo articolo è un semplice tentativo di monitorare gli eventi di una settimana dai diari dei cristiani di Egitto; una settimana è sufficiente per rendersi conto delle prove terribili a cui sono sottoposti…

Il martire cristiano

Nel primo giorno dell’ultimo Id al-Fitr (festività musulmana ndr.) l’Egitto è stato testimone di un attentato terroristico su larga scala, che è costato la vita a quattordici membri delle forze di sicurezza egiziane, con vari gradi nella polizia e nell’esercito. Visto che quando è stato fatto l’elenco delle vittime non c’era il nome di nessun soldato cristiano, siamo rimasti sorpresi quando abbiamo saputo di un funerale militare nella città natale di uno dei militari: Abanoub Marzuk del villaggio di Bani Qurra, nei pressi di Qusiya, governatorato di Assiut.

Ho scritto un post sul blog per chiedere le ragioni di questo blackout sul nome di Abanoub. Ho ricevuto una serie di attacchi da utenti dei social network, oltre che da giornalisti egiziani, che hanno confermato che queste cose sono “normali”, perché le forze armate non pubblicano i nomi dei martiri che cadono negli attentati terroristici in Sinai, per ragioni di sicurezza e per non intaccare il morale delle truppe dislocate lì. Tutte queste pressioni mi hanno indotto a cancellare il post. Ho detto che forse mi ero sbagliato e non era un atto di discriminazione, e mi sono scusato con i colleghi.

Qualche ora dopo, hanno cominciato a circolare notizie su proteste nella città natale della recluta, a cui le forze armate avevano deciso di intitolare una scuola: la popolazione di quella città aveva fatto pressioni decise per impedirlo perché Abanoub era un “cristiano”. I mezzi di informazione egiziani non hanno fatto abbastanza luce sulla questione, ma diversi giornalisti e attivisti cristiani hanno espresso le loro obiezioni.

Nader Shukri, un giornalista che segue le questioni della comunità cristiana in Egitto, ha scritto: “Un governatore dice al fratello del martire che ‘se io venissi a un matrimonio e regalassi agli sposi 10 sterline tu non diresti che avrei dovuto regalargli 100 sterline’. È la risposta al rifiuto del fratello di un martire di accettare che gli venisse intitolato un ponte che è soltanto un passaggio sopra un canale”, sottolineando che quella dedica non è commisurata all’importanza di rendere omaggio a un soldato caduto in un attentato terroristico.

Poi Ishaq Ibrahim, un ricercatore dell’Egyptian Initiative for Personal Rights (l’ong con cui collaborava prima dell’aresto Patrick ndr.) , ha commentato su Facebook. “Quelli che hanno rifiutato di intitolare ad Abanoub una scuola non sono esponenti dei Fratelli musulmani, non sono salafiti, non sono estremisti o così via. Abbiate il coraggio di dire che è stato un pubblico funzionario che ha preso questa decisione lasciandosi influenzare dai suoi pregiudizi. Qualsiasi tentativo di addossare la colpa a gruppi religiosi è un tentativo di annacquare le proprie responsabilità”.

Poi ha aggiunto: “Il governatorato di Assiut, dopo aver criticato il suo comportamento nel decidere di non intitolare al martire Abanoub una scuola, ha messo il suo nome accanto a un piccolo ponte sopra uno dei canali nel suo villaggio, nonostante l’opposizione dei familiari del morto! Con questo atteggiamento, il governatorato ha cercato di accontentare tutti, intitolandogli formalmente ‘qualcosa’ ma al tempo stesso cercando di tirarsi fuori dalle polemiche che erano nate dopo la decisione di dedicargli una scuola. Peraltro, i nomi dei ponti e delle strade nei villaggi non sono importanti, perché non sono registrati nei documenti ufficiali e spesso non vengono utilizzati dalla gente comune”.

Ibrahim ha evidenziato nel suo post l’assenza del ruolo dello Stato e l’avallo del razzismo sistematico della gente del villaggio, che le autorità hanno deciso di non affrontare di petto, cedendo alle pressioni e rinunciando all’idea di intitolare la scuola ad Abanoub.

Il governo egiziano ha adottato un atteggiamento assolutamente passivo sulla questione e non ha preso nessuna misura decisa per impedire la dedica ad Abanoub Marzouk: per questo è intervenuto il governatore per risolvere il problema scegliendo di intitolargli il ponte. Insomma, il problema, come tutti i problemi dei cristiani in Egitto, è stato risolto con un “ponte”!

Facendo qualche ricerca sulle forme utilizzate per rendere omaggio ad altri ufficiali e reclute morti nello stesso attentato o in altri attentati, abbiamo scoperto che il governo in generale ha dedicato un buon numero di strade, scuole e piazze frequentate a molti dei soldati che sono caduti in Sinai dall’inizio del 2013 a oggi: e questo ci spinge a porre domande sulle ragioni per cui il governo ha gestito in questo modo il caso di Abanoub Marzouk, il soldato cristiano. Sono stati i suoi compaesani hanno rifiutato di intitolare la scuola del villaggio, e il governatore ha accondisceso, temendo l’ira dei militanti.

La questione dell’eredità

Nelle eredità, un maschio riceve una quantità pari a quella che ricevono due femmine, anche nel caso dei cristiani! “Non c’è nel diritto egiziano questa cosa che un uomo deve ricevere una quota di eredità pari a quella di due donne”. Così ha stabilito un giudice dopo la presa di posizione sull’eredità dell’avvocata per i diritti umani Huda Nasrallah (oggi avvocata dello stesso Patrick Zaky ndr). Dopo la morte del padre, Huda ha deciso di combattere la sua battaglia da sola, ma non solo in nome suo, bensì in nome di tutte le donne cristiane.

Il terzo articolo della Costituzione del 2014 afferma che “i principi delle scritture dei cristiani e degli ebrei egiziani sono la principale forte legislativa per tutte le questioni che regolano il loro statuto personale, gli affari religiosi e la selezione delle loro guide spirituali”.

L’articolo 245 del Regolamento della Chiesta ortodossa copta, pubblicato nel 1938, afferma nel terzo capitolo, riguardo agli eredi e al diritto di ciascuno di loro all’eredità, che “i discendenti dell’erede hanno la priorità sugli altri parenti e ricevono tutta l’eredità o quello che ne resta dopo che il marito o la moglie hanno ricevuto la loro parte. Nel caso ci siano eredi multipli, e abbiano tutti lo stesso grado di parentela con il defunto, le proprietà verranno divise fra di essi in parti eguali, senza differenza alcuna fra maschi e femmine”.

Huda ha rifiutato la proposta dei suoi due fratelli. Aveva un obbiettivo più ambizioso, che andava ben oltre il suo caso personale, ed era arrivare a provvedimenti che possano essere applicati anche a casi successivi, per colmare le ingiustizie a cui devono far fronte le donne egiziane riguardo al diritto della persona, dalle questioni legate alle separazioni all’eredità. Molti maschi cristiani approfittano del fatto che i tribunali non riconoscono la religione cristiana nelle sue norme sull’eredità e si prendono più di quello a cui avrebbero diritto secondo la loro religione, perché lo ha ordinato il tribunale; la legge, quindi, è diventata un ostacolo per l’ottenimento dei propri diritti da parte delle donne, in particolare le donne cristiane.

Questa battaglia dimostra una forma di persecuzione contro le donne cristiane in base al diritto islamico, anche se la religione cristiana non afferma questi concetti e non li ha affrontati, né da vicino né da lontano: ma le storture della società patriarcale sono sostanzialmente supportate e giustificate dalla legge.

“Non accettiamo la tua testimonianza perché sei un cristiano!”

Questo post ha avuto larga diffusione su Facebook qualche settimana fa e racconta che cosa è successo al padre del dottore Mark Estefanos e gli insulti che ha ricevuto in tribunale. Il padre, un ingegnere che ha lavorato in un’istituzione pubblica per 35 anni, doveva presentarsi in tribunale per testimoniare di fronte al giudice su un caso che riguardava uno dei suoi colleghi, ma il giudice ha rifiutato la deposizione dell’ingegner Makarios perché è un cristiano. “Non c’è tutela legale per un copto nei confronti di un musulmano”. Il padre e suo figlio, che è medico, sono rimasti estremamente turbati e quest’ultimo ha pubblicato il post sottolineando che episodi come questo lo spingono a pensare di lasciare l’Egitto, perché qui non gode degli stessi diritti degli altri.

Il problema è stato sollevato per la prima volta nel 2008, quando Ahmed Shafiq, un cittadino musulmano, richiese la testimonianza del suo vicino cristiano, Sami Farag, nel caso di dichiarazione d’eredità 1824/2008, ma il tribunale di Shubra el-Kheima rigettò la testimonianza adducendo il motivo che la deposizione di un cristiano contro un musulmano non era legalmente/religiosamente consentita. Il tribunale obbligò Shafiq a portare un testimone musulmano.

La Costituzione

C’è una chiara incoerenza sul diritto a testimoniare e la sua applicazione: il secondo articolo dichiara che “l’islam è la religione dello Stato, l’arabo è la lingua ufficiale dello Stato e i principi della shari’a sono la principale fonte legislativa”, mentre l’articolo 53 afferma che i “cittadini sono uguali di fronte alla legge e hanno gli stessi diritti, libertà e doveri pubblici e non dev’esserci discriminazione fra di essi sulla base della religione, delle convinzioni, del genere, dell’origine, della razza, del colore, della lingua, della disabilità, della condizione sociale, dell’affiliazione politica o geografica o di qualsiasi altra ragione. La discriminazione e l’incitamento all’odio costituiscono un reato perseguibile dalla legge. Lo Stato è obbligato a prendere le misure necessarie per eliminare tutte le forme di discriminazione e la legge regola l’istituzione di una commissione indipendente a tale scopo”.

 

Dall’altra parte, la shari’a in più di un testo non accetta la testimonianza di un non musulmano. “Non c’è nulla nel diritto procedurale che distingua fra cristiani e musulmani e impedisca di accettare la testimonianza di un qualsiasi cittadino”, dice l’avvocato Reda Bakir dell’Egyptian Initiative for Personal Rights. Citando il diritto procedurale, è già evidente che non esiste nessuna disposizione di legge che impedisca di accettare la testimonianza di un non musulmano. Muhammad Hassan, ex avvocato per i diritti umani e ricercatore giuridico, ha confermato: “Sono incline a utilizzare il diritto islamico nelle questioni relative a temi religiosi. Non ha a che fare con la legge o cose del genere”.

Questa era una semplice osservazione di quello che può sopportare la comunità cristiana in Egitto solo in una settimana!