Covid-19 e democrazia. La giustizia ai tempi del “virus”
di Gennaro Santoro
Il “Coronavirus” sta interessando tutti gli aspetti della nostra vita e, inevitabilmente, anche quello della giustizia, mettendo a dura prova l’art. 111 della Costituzione secondo cui “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo, regolato dalla legge…” e l’art. 27 della Costituzione secondo cui la pena deve, in primo luogo, essere rispettosa della dignità della persona, a partire dal rispetto del diritto fondamentale alla salute (oggi oggettivamente compromesso negli istituti penitenziari sovraffolati sia per i detenuti che per chi vi lavora).
In un contesto emergenziale quale quello che stiamo vivendo, il sistema giustizia può legittimamente subire limitazioni volte a contenere la diffusione del virus, come, a titolo esemplificativo, la restrizione dell’accesso del pubblico alle cancellerie dei tribunali e della partecipazione in aula alle udienze delle parti processuali. Vero è però che tali limitazioni dei diritti andrebbero circoscritte ad interventi che effettivamente contribuiscono alla prevenzione della diffusione del virus e non comportino effetti negativi per l’imputato, il diritto ad un equo processo da svolgersi nel pieno contraddittorio, il buon funzionamento della giustizia e, più in generale, per il cittadino che è alle prese con la giustizia, salvo limitazioni conformi al canone della proporzionalità e temporalmente circoscritte.
Da quando è esplosa l’emergenza coronavirus in Italia sono stati diversi gli interventi del governo anche nel campo della giustizia. Interventi su cui è utile sollecitare un’attenzione pubblica, focalizzandola sui pericoli sottesi alla decretazione d’urgenza e al proliferare torrenziale di ordini di servizio, circolari, protocolli determinatisi localmente che, nel tempo, potrebbero provocare un fenomeno invasivo ed esponenziale che limita il diritto di accesso alla giustizia e le garanzie costituzionali dell’imputato, del condannato e, più in generale, del cittadino che intende avvalersi del ricorso alla giustizia.
Gli effetti sulla giustizia dei decreti governativi
A disciplinare la materia nella fase di emergenza è intervenuto di recente (a seguito dei Decreti legge nn. 6, 9 e 11/2020 e dei DD.PP.CC.MM. del 4, 8 e 12 marzo 2020) il Decreto legge del 17 marzo 2020, n. 18, che all’art. 83 introduce nuove misure urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19 e contenere gli effetti in materia di giustizia civile, penale, tributaria e militare, alcune delle quali di dubbia costituzionalità.
In particolare, è previsto che dal 9 marzo al 15 aprile 2020 le udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari siano rinviate d’ufficio (salvo eccezioni tassative) a data successiva al 15 aprile 2020. Inoltre, nello stesso periodo è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto (compresi gli atti di impugnazione) dei procedimenti civili e penali. Di simile tenore l’art. 84 del decreto, relativo al rinvio delle udienze e alla sospensione dei termini in materia di giustizia amministrativa.
Aldilà di fondati dubbi di legittimità ed opportunità di alcune eccezioni relative al differimento delle udienze e alla sospensione dei termini, prima fra tutte la celebrazione delle udienze di convalida del trattenimento nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR), vista l’attuale impossibilità oggettiva di eseguire le espulsioni e il pericolo di contagio nei centri di detenzione amministrativa, ulteriori norme limitano la pubblicità delle udienze e la partecipazione alle stesse delle parti processuali, in potenziale violazione delle disposizioni di cui all’art. 111 della Costituzione e dell’art. 6 della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo.
Inoltre il decreto prevede la celebrazione a porte chiuse di tutte le udienze penali pubbliche o di singole udienze e delle udienze civili pubbliche. Si tratta una norma dettata dal buon senso e che non va ad incidere sulle garanzie costituzionali del cittadino a patto che non si stabilizzi nel tempo (al momento la norma è applicabile fino al 30 giugno). Così, come a prima vista non sembra essere illegittima la norma dove si prevede che la partecipazione a qualsiasi udienza delle persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare venga assicurata, laddove possibile, mediante videoconferenze o con collegamenti da remoto. Tuttavia, anche in questo caso, c’è da vigilare sul fatto che non si prolunghi oltre la scadenza attualmente fissata al 30 giugno.
Il timore infatti, secondo le Camere Penali, è che possano introdursi e “stabilizzarsi” prassi normative che smaterializzino la presenza delle parti nel processo, ed è pertanto necessario, in sede di conversione del decreto (o, nei protocolli attuativi) prevedere l’assoluta volontarietà e temporaneità della partecipazione a distanza, dovuta all’eccezionale emergenza del rischio epidemiologico limitatamente ai processi indifferibili. Nell’utilizzare queste misure, si dovrebbe valutare, caso per caso, attentamente se il collegamento video fornisce garanzie adeguate al diritto dell’imputato a un processo equo. Ad esempio, è assolutamente fondamentale garantire che gli imputati possano avere conversazioni riservate con il proprio difensore e ciò non sarà sempre possibile quando difensore e imputato si trovano in luoghi diversi durante la celebrazione dell’udienza.
Altri problemi concreti sul diritto all’equo processo si sono materializzati a seguito delle modifiche, previste sempre nel decreto, sul regime delle notifiche. E’ infatti previsto l’uso della telematica a senso unico, ovvero consentendo agli uffici giudiziari qualunque tipo di notifica “verso” il difensore, spesso domiciliatario “coatto”, e precludendone, invece, la fruizione al difensore. L’Osservatorio delle Camere penali ha già denunciato gli esempi verificatisi in tutt’Italia di depositi telematici rifiutati ai difensori, di ordinanze di custodia cautelare notificate via posta elettronica certificata limitatamente al verbale (e quindi senza ordinanza) con conseguente impossibilità per il difensore di accedere tempestivamente agli atti e necessità di doversi fisicamente recare negli Uffici (contro la logica ed in piena collisione con le finalità di prevenzione).
Un’ulteriore attenzione va posta al passaggio del decreto in cui si riferisce, in riferimento alle persone detenute, che tenendo conto delle evidenze rappresentate dall’autorità sanitaria, la magistratura di sorveglianza può sospendere, nel periodo compreso tra il 9 marzo 2020 ed il 31 maggio 2020, la concessione dei permessi premio e del regime di semilibertà. Anche questa disposizione appare non conforme ai principi costituzionali ed in particolare alla norma di cui all’art. 27 della costituzione, che implicitamente tutela la salute del recluso, cui deve consentirsi di effettuare anche, in caso di necessità, il periodo di quarantena che, per ovvi motivi, non può essere garantito in istituto.
Di dubbia legittimità costituzionale, infine, in quanto non sono dettate da motivazioni di ordine sanitario e incidono pesantemente sullo status dell’imputato, sono invece le norme che prevedendo una ingiustificata sospensione della prescrizione.
In definitiva, soprattutto per il processo penale, bisogna riconoscere che alcune di queste disposizioni hanno un impatto significativo sul diritto a un processo equo, quali la durata ragionevole del procedimento, l’accesso ad un avvocato, l’effettiva partecipazione al procedimento, la pubblicità dell’udienza, il diritto ad essere presenti all’udienza, la preparazione della difesa, il diritto ad una rapida decisione sulla legittimità della detenzione cautelare.