Covid19, limitazione della libertà personale e Costituzione

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di Gennaro Santoro

Con l’emergenza Coronavirus stiamo imparando a conoscere la quarantena disposta in via precauzionale per chi rientra dall’estero e nei confronti di chi è stato in contatto con persone risultate positive al Covid-19. Una misura che limita fortemente la libertà di movimento della persona ma che mai può trasformarsi in una privazione della libertà personale, come invece avviene nei confronti di chi è risultato positivo al virus. Solo nei confronti di chi è risultato positivo viene infatti previsto il divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora

Se queste misure trovano la loro evidente giustificazione nella necessità di tutelare la salute pubblica ed individuale (art. 32 della Costituzione) onde evitare il diffondersi del virus, dubbi di legittimità costituzionale nascono relativamente alla mancata previsione di un ordine individuale scritto e consegnato all’interessato per informarlo dei vincoli che derivano da queste due forme di privazione della libertà personale: attualmente basta infatti una telefonata o una comunicazione orale di un operatore sanitario. 

Non conoscere in maniera chiara gli obblighi di una misura limitativa della libertà personale, paragonabile agli arresti domiciliari, per di più comunicata non da un’autorità di pubblica sicurezza ma da un’autorità medica, rischia in primo luogo di rendere inefficace la misura. Inoltre non è previsto l’obbligo di comunicare le conseguenze cui si va incontro in caso di violazione delle imposizioni, né se e a quale giudice poter chiedere la revoca o la modifica della misura. Eppure, è prevista la pena fino a 5 anni di carcere se chi è sottoposto a quarantena precauzionale, o al divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione, viola le prescrizioni ed effettivamente crea un contagio. Così come, per la sola violazione dell’obbligo assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione (senza però creare contagi) è prevista una pena fino a 18 mesi di carcere, per aver messo in pericolo la salute pubblica.

Dunque, la sacrosanta esigenza di salvaguardare la salute pubblica dalla diffusione del contagio è attuata in modo non conforme alla Costituzione che prescrive all’art. 13 la riserva di legge per limitare (eccezionalmente e in modo chiaro) la libertà della persona. In questo caso la disciplina di queste forme di privazione della libertà personale disposta individualmente è invece, in gran parte, prevista da ordinanze e decreti ministeriali, trovando solo una esile base legale in una fonte primaria (il decreto legge 19/2020). Ancora, contrariamente a quanto previsto dall’art. 13 della Costituzione, non è prevista la convalida di un giudice. 

Per capire l’impatto negativo (e inefficace) che può avere una disciplina così poco fedele alle pre-regole che hanno disegnato i Costituenti basti pensare che misure del genere sono attuate nei confronti di chi è stato a contatto, anche a sua insaputa, con persone positive, come ad esempio nel caso in cui ci si è recati in visita ad un parente in una delle tante residenze per anziani oggetto di diffusione del virus. In questi casi è bastato un contatto telefonico con un operatore sanitario che ha comunicato l’applicazione della misura e il divieto di spostamenti e contatti sociali, per poter astrattamente rischiare la sanzione penale nell’ipotesi in cui si trasgredisca agli ordini e si contribuisca alla diffusione del virus. Se per caso non è vero che ci si è recati in visita, continuando l’esempio, presso quella residenza per anziani, non c’è un giudice della convalida della misura di fronte al quale far valere le proprie ragioni, potendo solo proporre una causa dinanzi al Tar. Analoghe preoccupazioni si hanno, ad esempio, quando queste limitazioni sono imposte ad un numero imponente di persone (come avvenuto ad esempio a Roma, nei confronti di circa 500 abitanti di un edificio occupato, il Selam Palace). Quale consapevolezza dell’obbligo di non allontanarsi dall’occupazione, per un tempo non definito, potrà avere l’occupante che non riceve un ordine scritto che lo informa delle conseguenze in caso di trasgressione e della possibilità di andare davanti ad un giudice per far valere le proprie ragioni?

Dunque, se non interverranno modifiche con legge ordinaria, come avvenuto ad esempio in Inghilterra, si ha il concreto rischio che, da una parte, le misure adottate non saranno efficaci perché il destinatario non avrà piena consapevolezza della obbligatorietà delle stesse; inoltre le successive sanzioni penali potrebbero non essere in concreto irrogabili perché, non essendoci un ordine individuale scritto e chiaro, il giudice penale potrà ritenere inesistente la violazione amministrativa che è presupposto della violazione della norma penale. D’altra parte, inoltre, questo può essere particolarmente vero dinanzi a misure che violano la libertà individuale costituzionalmente garantita ed assistita da specifiche garanzie.   

Il giudice Andrea Natale, su Questione Giustizia, scrive: “le misure di compressione della libertà personale non possono essere adottate solo per via amministrativa, ma devono – anche oggi – essere adottate in base alla legge e sotto il controllo della autorità giudiziaria. Ammettere oggi uno strappo all’art. 13 Cost., rischierebbe di introdurre nella memoria storica dell’ordinamento un pericoloso precedente. Oggi l’emergenza che giustifica la deroga all’art. 13 Cost. è il coronavirus. Domani, chissà… L’auspicio è che il legislatore – se proprio vuol indugiare nella metafora bellica – prosegua la battaglia contro l’epidemia con le armi che la Costituzione gli ha affidato.”