Cild scrive ai giudici di pace per fermare l’inutile detenzione nei CPR
È legittimo trattenere gli stranieri se non li si può espellere?
A causa dell’attuale emergenza sanitaria causata dal coronavirus, il distanziamento sociale è il mantra che quotidianamente ci viene ripetuto: divieti di assembramenti e riunioni, limitazioni agli spostamenti e – in ambito di amministrazione della giustizia – restrizioni degli accessi agli uffici giudiziari sono le ferree regole cui dobbiamo attenerci.
Ma se è vero che il virus COVID-19 non fa distinzioni sulla base della nazionalità, della razza, del colore della pelle o del possesso del passaporto, e nemmeno del permesso di soggiorno, alcuni soggetti, in mancanza di misure governative ad hoc, sono più a rischio di altri. Parliamo degli stranieri attualmente trattenuti nei Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr), il cui trattenimento è previsto dalla legge al fine esclusivo di garantire l’efficacia dell’esecuzione dei provvedimenti di rimpatrio adottati nei confronti di cittadini dei paesi non appartenenti all’Unione europea. È la Direttiva rimpatri a stabilire che gli Stati membri dell’Unione europea possono trattenere il cittadino di un paese terzo sottoposto a procedure di rimpatrio soltanto per preparare il rimpatrio e/o effettuare l’allontanamento. Al momento, però, è impossibile effettuare i rimpatri, perché molte frontiere sono chiuse e numerosi voli cancellati, mentre gli Stati extraeuropei non accolgono persone provenienti dal terzo paese al mondo per contagi. Nonostante questo, agli uffici dei Giudici di pace continuano ad arrivare richieste di convalidare le misure di trattenimento degli stranieri nei Cpr, o di prorogare quelle già in atto, con l’effetto di imporre concentrazioni di persone promiscue e pericolose per la salvaguardia del diritto alla salute e alla vita sia degli stranieri che del personale che, a vario titolo, lavora nei centri. Ma se in questo momento è impossibile effettuare i rimpatri, sorge spontanea una domanda: a cosa serve convalidare, prorogare, trattenere?
Il ruolo dei Giudici di pace è in questa fase più che mai fondamentale, perché sono quotidianamente chiamati a convalidare o prorogare la misura del trattenimento amministrativo degli stranieri, in attesa di espulsione o di respingimento differito, nei Cpr italiani. E in questo ruolo sono tenuti a verificare che sia prospettabile la possibilità concreta di esecuzione del rimpatrio dello straniero, e che vi sia una altrettanto concreta possibilità che lo Stato di destinazione lo riaccolga nel suo territorio. Solo all’esito positivo di queste verifiche il Giudice di pace potrà convalidare il trattenimento. Diversamente facendo, infatti, verrebbe meno al suo obbligo di garante della privazione della libertà personale cui è obbligato ai sensi dell’art. 13 della Costituzione, posto che è la stessa Direttiva rimpatri, insieme al Testo Unico Immigrazione (D. lgs. 286/1998) a prescrivere che “quando risulta che non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento (…) il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata è immediatamente rilasciata”.
Ma quello di trattenere illegittimamente non è l’unico rischio che si corre detenendo stranieri per cui non c’è una prospettiva di rimpatrio. Infatti, sebbene uno dei principali inviti per la prevenzione del contagio da coronavirus sia il distanziamento sociale, nei Cpr le condizioni non permettono di rispettare le misure di prevenzione che tutti stiamo adottando. Il governo non ha previsto nessuno stop agli ingressi in questi centri, non ha adottato nessun protocollo nazionale di sicurezza prestabilito (né per i trattenuti, né per gli operatori e i poliziotti che ci lavorano) e non sono state messe a punto misure per la cessazione del trattenimento degli stranieri.
Il protrarsi e la portata della crisi richiedono un immediato cambio di passo con l’assunzione di scelte lungimiranti che mettano al centro la tutela della salute delle persone trattenute e degli operatori. La libertà dello Stato di sottoporre alla misura coercitiva del trattenimento migranti in stato di irregolarità trova un limite invalicabile nel pieno rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini stranieri. Per cercare di prevenire i contagi in luoghi che come i Cpr sono strutturalmente “ideali” per il propagarsi del virus, e per far sì che il trattenimento degli stranieri sia posto in essere nel rispetto della normativa nazionale, europea e internazionale, già da settimane il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale ha avviato un’interlocuzione con il Ministero dell’interno sui Cpr, chiedendo di riconsiderare la sensatezza della privazione della libertà in funzione del rimpatrio di persone che al momento non possono essere rimpatriate e di valutare la necessità di una cessazione anticipata del trattenimento di coloro che, essendo in situazione di impossibile effettivo rimpatrio, vedono configurarsi la propria posizione come “illecito trattenimento” ai sensi della Direttiva Rimpatri del 2008.
Mentre in Italia ancora si attende una risposta sostanziale dal Ministero dell’interno sulla gestione dell’emergenza nei Cpr, nel resto d’Europa diversi paesi sono già intervenuti sulla questione. Belgio, Spagna, Paesi Bassi e Regno Unito hanno provveduto a rilasciare i migranti trattenuti, mentre il Portogallo ha regolarizzato tutti gli immigrati in attesa di permesso di soggiorno.
Le soluzioni adottate dagli stati europei sono state apprezzate anche dal Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, che lo scorso 26 marzo ha dichiarato che una delle misure che gli Stati possono adottare durante questa emergenza sanitaria per proteggere i diritti delle persone private della libertà personale è proprio il rilascio degli stranieri trattenuti nei centri di detenzione. Qualche giorno prima anche il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT) aveva suggerito agli Stati di evitare, per quanto possibile, la detenzione dei migranti.
Mentre in Italia ancora si attende una decisione a livello centrale – lo ribadiamo – la nostra associazione, insieme a Antigone, ASGI, Progetto Diritti, Legal Team Italia, la Clinica Legale di Roma Tre e LasciateCIEntrare ha quindi inviato una lettera ai Giudici di pace (a alle sezioni specializzate dei Tribunali, competenti per la convalida e le proroghe per richiedenti asilo) invitandoli a non convalidare né tanto meno prorogare il trattenimento degli stranieri nei Cpr, nella consapevolezza che – oggi più che mai – rivestono un ruolo primario e fondamentale nella tutela dei diritti umani.