Quello che abbiamo visto nel processo agli indipendentisti catalani

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a cura di Patrizio Gonnella (presidente di Antigone e della Coalizione italiana libertà e diritti civili) e Susanna Marietti (coordinatrice nazionale di Antigone)

 

Breve premessa

Tutte le riflessioni che seguono attengono al solo processo e nulla hanno a che fare con la questione dell’indipendenza che esula totalmente dalla nostra attività di osservatori internazionali.

 

1. La sede del processo e la funzione degli osservatori internazionali

Nei giorni 26 e 27 febbraio abbiamo assistito in qualità di osservatori internazionali, su sollecitazione della piattaforma International Trial Watch, alle udienze tenute presso il Tribunale Supremo di Madrid contro dodici esponenti del mondo politico catalano e della società civile della Catalogna accusati dei crimini di ribellione, sedizione e malversazione.

Nella giornata del 26 febbraio ci sono stati gli interrogatori del responsabile dell’associazione Òmnium Cultural Jordi Cuixart e della ex presidente del Parlamento della Catalogna Carmen Forcadell; nella giornata del 27 febbraio sono stati ascoltati alcuni testimoni su richiesta dell’accusa popolare o della difesa.

Preliminarmente merita una riflessione la decisione del Tribunale Supremo che, su richiesta concorde della Fiscalia, ha negato uno spazio ad hoc nei locali della Corte agli osservatori internazionali che fanno parte della Piattaforma, nonostante un’apposita richiesta in tal senso. 

Il riconoscimento formale del ruolo di osservatori agli esperti internazionali membri della Piattaforma avrebbe costituito un segnale inequivoco di trasparenza e fiducia nella società civile. Segnale che è dunque mancato.

La negata assegnazione di autorizzazioni ad hoc e di uno spazio fisico dedicato agli osservatori internazionali ha reso oggettivamente più complesso il compito di monitoraggio alla luce delle condizioni materiali di organizzazione del processo e della logistica dello stesso. Il bassissimo numero di posti messo a disposizione del pubblico per ciascuna udienza, ossia soli quaranta, ha fatto sì che bisognasse mettersi in coda all’alba per entrare nei locali del Tribunale Supremo, così producendo un’anomale e non gradevole concorrenza tra gli osservatori e quelle persone interessate a partecipare al processo per motivi affettivi o di vicinanza personale agli  imputati. 

Dunque il non aver riservato un certo, seppur ristretto, numero di posti agli esperti internazionali, ha avuto sia un significato simbolico di chiusura nei confronti della società civile europea, sia un effetto materiale diretto a disincentivare  la partecipazione quotidiana al processo. 

Pur considerando in modo positivo la possibilità concessa dal Tribunale di seguire in streaming le udienze, va comunque rilevato che la partecipazione dal vivo consente di osservare dinamiche che altrimenti sfuggirebbero agli osservatori. Si pensi ai rapporti tra Polizia e imputati oppure tra Polizia e pubblico, oppure al ruolo del Presidente del Tribunale che, essendo stati fisicamente presenti alle udienze, abbiamo potuto verificare improntati ad assoluta correttezza. Circostanza che sarebbe a noi sicuramente sfuggita qualora ci fossimo affidati alla sola visione in streaming. E’ dunque anche nell’interesse della stessa Corte assicurare un’ampia partecipazione dal vivo al processo.

 

2. La custodia cautelare quale extrema ratio

La custodia cautelare in un qualunque processo deve necessariamente essere ancorata a motivazioni stringenti e rispondere in modo rigoroso alle condizioni previste dalla legge. In quasi tutti gli ordinamenti penali che si ispirano a modelli di diritto penale liberale la carcerazione preventiva è prevista che sia usata eccezionalmente, ossia solo quando sia concreto e non generico il rischio di reiterazione del reato, di fuga o di inquinamento probatorio. 

La custodia cautelare nella prassi di molti paesi, e non solo in Spagna, è però usata spesso aldilà dei fini normativi, così rischiando di trasformarsi in una pena anticipata o di fungere da strumento indebito di pressione nei confronti delle persone indagate o imputate.

Nel processo in questione alcuni degli imputati sono in carcere da oltre cinquecento giorni consecutivamente, nonostante, come nel caso di Jordi Cuixart, non fosse facile rinvenire un concreto rischio di fuga, viste le modalità incruente dell’arresto.

Gli imputati non erano in procinto di scappare e non si sono opposti all’arresto in alcun modo così escludendo ogni velleità di fuga o di resistenza violenta. 

Inoltre allo scopo di evitare ogni possibile reiterazione del delitto sarebbe stato sufficiente inibire le personalità politiche con incarichi istituzionali dalle funzioni pubbliche ricoperte.

Nel caso di esponenti della società civile neanche questa cautela era necessaria. La custodia cautelare nei confronti di Jordi Cuixart ha dunque un sapore ancora più amaro, costituendo una sorta di neutralizzazione forzata del suo legittimo diritto alla protesta e al dissenso. 

 

3. La non appellabilità della decisione

Senza entrare nel merito della competenza e delle funzioni del Tribunale Supremo di Madrid, e pur nella consapevolezza che trattasi di decisione assunta nel pieno rispetto della legislazione spagnola, di fronte ad accuse che possono portare a pene carcerarie molto lunghe sarebbe stato più rispettoso dei diritti e delle garanzie degli imputati assicurare agli stessi quanto meno due gradi pieni di processo, con possibilità di appellare nel merito le decisioni prese in primo grado. 

La strategia di difesa è negativamente condizionata dalla coscienza che non vi è adeguata possibilità di revisione della decisione giurisdizionale, tanto più se trattasi di accuse molto gravi le quali comportano a loro volta pene molto severe.

 

4. Il ruolo di accusa popolare affidato a Vox

Riteniamo che anche logisticamente appariva anomala la presenza nell’Aula, al fianco dell’avvocatura di Stato e della Fiscalia, di avvocati in rappresentanza di un partito politico (Vox), tanto più se questo partito è di giovane costituzione (meno di cinque anni di vita sono trascorsi dalla nascita del partito fino alla richiesta di essere parte del processo nella qualità di accusa popolare), tanto da non giustificare un interesse storicamente fondato alla partecipazione al processo nella qualità di parte giuridicamente riconosciuta.

Aldilà di ogni valutazione formale che potrebbe anche rendere legale la presenza nel processo degli avvocati di un partito politico, la loro presenza produce finanche visivamente l’effetto di trasformare il processo stesso in un processo politico, tanto piò che tra gli imputati vi sono esponenti di partiti politici appartenenti a schieramenti opposti e non messi fuori legge rispetto a quelli dell’accusa popolare. 

Non sempre ciò che è legale è anche opportuno. In tal caso è a nostro avviso palesemente inopportuna l’accusa popolare affidata a un partito così ideologicamente caratterizzato e così giovane.

 

5. Uno sguardo alle accuse nei confronti del leader di Òmnium Cultural Jordi Cuixart e l’assenza nel processo di prove a supporto delle accuse di violenza

Uno sguardo merita la condizione di imputato del leader di Òmnium Cultural Jordi Cuixarte. Le accuse nei suoi confronti appaiono fortemente lesive del legittimo diritto alla libertà di pensiero, di associazione, di riunione, di dissenso, di protesta.

L’accusa di ribellione (ex articolo 472 del codice penale spagnolo) appare non fondata alla luce degli stessi interrogatori a cui abbiamo assistito personalmente, posto che il presupposto normativo necessario per imputare la commissione di un delitto così grave è l’aver usato violenza.

A parte che lo stesso imputato in udienza ha dichiarato a più riprese di ispirarsi a logiche di non violenza e che non c’era traccia di istigazione alla violenza nei tweet con i quali lui avrebbe sollecitato i catalani a partecipare a una manifestazione di piazza e che i fatti più eclatanti attribuitegli durante gli interrogatori costituiscono un comizio effettuato su un’autovettura della guardia civile spagnola, appariva chiaro che le accuse nei suoi confronti prescindevano da prove minime intorno all’uso della violenza fisica o morale.

Al limite si sarebbe potuto imputargli il fatto di avere organizzato/partecipato una manifestazione non autorizzata, dunque un reato ben meno grave. Ogni accusa di fatti più gravi mette in discussione la libertà fondamentale di dissenso politico.

Pur dilatando al massimo la nozione di violenza non sembrava essercene traccia nei comportamenti sociali e processuali di Jordi Cuixart. 

Così facendo si assiste a una rischiosa sovrapposizione della nozione criminale di ribellione con quella politica di dissenso pacifico che non legittima una risposta di tipo penale. 

La soglia di anticipazione del pericolo è stata così enormemente anticipata.