La società aperta e le sfide del presente: intervista a Cécile Kyenge
L’Italia è un paese che tradizionalmente ha avuto esperienze di forte emigrazione. Lo dimostrano i dati sulle comunità italiane nel mondo: dalla Germania al Belgio, dalla Svizzera alla Francia passando per la Gran Bretagna. Ma anche oltre oceano, si pensi all’Argentina e al Brasile, o all’Australia e gli USA. Per questo, forse, ci siamo trovati impreparati davanti ai flussi di migranti degli ultimi anni, poiché non eravamo abituati a vederci come paese d’accoglienza: “moltissimi dei paesi della vecchia Europa dell’Ovest, sono paesi che avevano colonie e conoscono quindi un’immigrazione che è basata su persone che provengono da quei paesi. Hanno cominciato da tempo quindi un percorso di integrazione. Posso parlare della Francia, dell’Inghilterra. Questi paesi fanno un percorso già da tantissimi anni. L’Italia, a parte le comunità che vengono da Etiopia, Eritrea e Somalia, non conosceva altro tipo di migrazione. Perché non aveva queste grandi colonie. Ma ha cominciato ad avere un tipo di immigrazione negli ultimi anni un po’ più diversificata, che veniva dal medio-oriente, dal sud Asia, dall’Africa Sub Sahariana. Qualche cosa di completamente diverso.”
Così Cécile Kyenge Kashetu, eurodeputata PD, la prima donna nera ad essere eletta come membro del Parlamento italiano e la prima a ricoprire l’incarico di Ministro in un Governo. Nella sua attività da ministra dell’integrazione ha seguito da vicino le vicende degli arrivi a Lampedusa, dei problemi sorti con le retoriche sempre più virulente e aggressive di movimenti e partiti nazionalistici e xenofobi. Con lei cerchiamo di andare oltre le retoriche facili per capire i motivi di questa impreparazione: “molte volte è frutto di ignoranza, di non conoscenza del fenomeno. Di notizie che si prendono senza informarsi e guardare cosa c’è dietro. Quindi i grossi titoli: uno si ferma al titolo e non va oltre. Tutto questo ha un impatto negativo, come il comportamento di alcuni leader politici, su una popolazione che non ha ancora avuto la possibilità di esprimere quelle che sono le sue capacità e potenzialità nell’accoglienza. Eppure l’Italia ha tutto questo. L’Italia non ha ancora trovato una via giusta per far fronte alle difficoltà di questa ondata di nuova migrazione che sta arrivando.”
C’è poi un discorso più generale da fare, sul retrocedere della Sinistra rispetto ai temi dell’accoglienza, dell’integrazione. E da Kyenge arriva una critica a quella sinistra che non ha saputo cogliere l’importanza, per esempio, della riforma sulla cittadinanza: “anche all’interno della sinistra stessa abbiamo incontrato delle difficoltà a capire che quella, la battaglia per la riforma della cittadinanza, era l’applicazione dei valori contenuti dentro di noi: della persona, dei diritti della persona. Il fatto di poter guardare alla persona per l’inclusione. Era tutto dentro quella riforma! Non l’abbiamo vista. Abbiamo iniziato a guardare e inseguire la destra. Mancando in questo anche in quello che doveva essere il modello dei nostri valori progressisti.”
C’è amarezza nelle parole di Kynge per l’opportunità persa, per il “mancato coraggio della sinistra” malgrado il forte impegno che proprio lei, in qualità di ministra dell’integrazione, aveva dimostrato presentando appena eletta un disegno di legge sullo Ius Soli. Questo le è costato molto anche sul piano personale. La vicenda dello scontro con la Lega Nord e gli insulti razzisti indirizzati a lei dall’allora vice presidente del Senato, Roberto Calderoli, hanno fatto il giro del mondo.
La battaglia persa per affermare la superiorità dei diritti umani rispetto a qualsiasi altra cosa, secondo Kynge, si è persa in quell’occasione, quando a una persona, in virtù della sua posizione, fu consentito di esprimersi nel luogo delle istituzioni nel modo che sappiamo, senza alcuna vera conseguenza: “ogni volta che noi abbassiamo la testa e apriamo le porte all’interno delle istituzioni a fenomeni che sono già rinnegati dalla nostra costituzione è quello il pericolo. Posso parlare di Calderoli, che si era espresso con un linguaggio e attacchi razzisti che era da condannare. Perché la nostra costituzione rifiuta discriminazione e razzismo. Come abbiamo anche la legge Mancino che doveva essere applicata. Calderoli arriva al tribunale e il tribunale non può procedere perché ci vuole un’autorizzazione, perché il senatore ha l’immunità parlamentare. Il senato nega l’autorizzazione a, procedere”.
Ed è questo che rappresenta un pericolo per la comunità, per le istituzioni e dunque per la società, per come è stata immaginate e vissuta fino ad oggi: “mi sono alzata. E ho detto: attenzione a questa apertura, è un precedente, perché è come se le istituzioni aprissero le porte al razzismo. Chiunque si può alzare e dire quello che ha detto Calderoli perché ha comunque un precedente dove un rappresentante dello Stato può alsarsi e dire quel che ha detto e gli viene consentito di pronunciarsi in un certo modo perché il suo titolo lo protegge. Non esiste nessun titolo che può proteggere difronte alla violazione di diritti che spettano a tutti noi.”
La società non è messa a rischio dall’arrivo di nuove persone, per altro in numeri contenuti, e nemmeno dal pluralismo e dalla diversità, che anzi sono elementi che definiscono una società aperta. Ciò che mette a rischio le conquiste sui diritti fatte nei decenni, con grande fatica, è l’abbassare lo sguardo davanti a queste vicende. Il venire meno ai propri principi come forze politiche, ma anche, o soprattutto, come cittadine e cittadini. La limitazione di un diritto, per un gruppo, significa aprire alla limitazione di quel diritto, e di altri diritti, per tutte e per tutti. Il pericolo è questo. Ma ciò significa anche che la soluzione è in ciò che già abbiamo: la Costituzione per esempio e i suoi principi.