La Chiesa e l’impegno per la società aperta: dialogo con Don Biancalani

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Le nostre società democratiche occidentali si fondano su una concezione di società aperta, che fa dell’inclusione, della pluralità e della tolleranza, i suoi caratteri distintivi.

In questa serie di dialoghi, che abbiamo inaugurato con una intervista a Liliana Segre (anche in video), cercheremo di indagare queste dinamiche attraverso riflessioni e dialoghi con testimoni privilegiati, per provare a dare qualche risposta e avanzare qualche proposta per salvaguardare la società aperta e i suoi valori.

Oggi parliamo con Don Massimo Biancalani di Chiesa, tolleranza e impegno per la società aperta.

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C’è un paesino nel pistoiese che è diventato famoso negli ultimi anni per uno scontro politico molto forte tra un prete e un leader politico molto conosciuto. Si tratta di Don Massimo Biancalani e di Matteo Salvini. La scorsa estate, il prete pistoiese, pubblicò una foto dei “suoi ragazzi” in piscina con un commento: “i razzisti e i fascisti i miei nemici”.
I movimenti di estrema destra hanno sfruttato subito l’occasione per accusare il prete di non rispettare il Vangelo, di offendere l’Italia e gli italiani, di non fare, in sostanza, il prete. Il motivo vero del contendere era altro, non certo una divergenza di vedute su qualche passaggio del Vangelo: i ragazzi in questione erano di pelle nera. Ragazzi ospiti della parrocchia di Don Massimo. Il motivo di quella reazione scomposta da parte di leader politici come Salvini, e non solo, ha un nome: intolleranza.

Don Massimo Biancalani è un parroco che semplicemente segue la parola del Vangelo, l’insegnamento di Cristo nella sua radicalità, dice durante il nostro colloquio. Citando Matteo (25, 35-26): “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e me avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi“. Ma non solo. C’è anche l’insegnamento di Papa Francesco, il senso stesso del suo pontificato, iniziato, se ben ricordiamo, con la visita a Lampedusa. Di seguito alcuni passaggi dell’intervista svolta con don Massimo.

“Con il Pontificato di Francesco abbiamo assistito a un chiaro impegno a sostegno dei rifugiati, dei migranti, dell’accoglienza. Abbiamo accolto l’invito del Papa ad aprire le porte della parrocchia, ospitando ragazze e ragazzi. E questo lavoro lo portiamo avanti ogni giorno.”

Così dice don Massimo. Ma proprio questo impegno a sostegno di richiedenti asilo, dei migranti fuggiti dalla povertà assoluta, dalle violenze e dalle persecuzioni, è stato oggetto di attacchi e minacce. Questa scia di rabbia e odio è sfociata pochi giorni fa in qualche cosa di più grave, un’aggressione con pistola a uno dei ragazzi ospiti del centro.

Abbiamo ascoltato anche le parole di Liliana Segre sul passato che tende a ripetersi, sul riproporsi di esperienze che pensava fossero state bocciate dalla storia e che invece, purtroppo, è costretta a rivivere seppur in forme e modalità diverse. Numerosi atti di violenza e aggressione si sono verificati di recente a danno di minoranza etniche o religiose. Il fondamento della società aperta è oggi a rischio. L’intolleranza sta tornando oggetto di propaganda politica e come osserva Don Massimo:

“Un tempo gli obiettivi della rabbia e della marginalità in Europa erano gli ebrei. Oggi sono i migranti.  Le persone si sono chiuse a riccio.  E questo vale per qualsiasi classe sociale. Anche la borghesia si è chiusa. Si vede nella scuola: i figli della borghesia in crisi non dimostrano interesse per conoscere l’altro. Esprimono posizioni di chiusura.”

Ci poniamo tutte e tutti una stessa, semplice, domanda: perché? Proviamo a capire cosa è andato storto, che cosa abbia permesso che si tornasse ad assistere a veri e propri atti di violenza su base razziale, con aggressioni fisiche e non solo verbali. Basti pensare al caso recente dell’atleta italiana colpita dal lancio di uova, alla donna incinta deruabata e picchiata per strada da due ventenni italiani, al venditore ambulante aggredito in spiaggia, al ragazzo che parlava la sua lingua su un autobus, al telefono, e che per questo è stato picchiato fino alla frattura del braccio.

Tutto questo avviene anche ad opera di chi si professa cristiano, ma che sembra ignorare sia gli insegnamenti della dottrina sia le parole del Papa. Anche la Chiesa sembra in difficoltà, smarrita, indebolita nella sua capacità di parlare al “popolo di Dio”, un popolo che non ascolta più:

“La Chiesa è stata troppo timida, molle, rispetto a tante questioni. Il Papa dice una cosa, ma non vedo prelati, vescovi o cardinali, fare altrettanto. Il popolo non ascolta più.”

C’è sicuramente un cambiamento in corso, anche nella Chiesa come istituzione. Nel suo ruolo, oggi, che guarda al mondo, e non più a un solo Paese o continente. Poiché la Chiesa è, per definizione, universale:

La Chiesa attraversa un momento di cambiamento profondo. Il cattolicesimo europeo è sparito. Ora abbiamo un cattolicesimo che guarda al mondo, al Sud America e all’Asia. La rappresentazione che viene fatta del cattolicesimo popolare, del parroco di campagna, del 700, come si vede ancora in certi film è ancora presente, ma sta scomparendo nella realtà. A questa immagine si contrappone quella di una radicalità evangelica, come sancito dal Concilio Vaticano II e dal magistero di Francesco. Ai tempi di Ruini si parlava di principi non negoziabili, oggi con Francesco si riflette e si dice, discutiamone. Il grande merito del Papa è di aver riportato al centro la dottrina sociale della chiesa. Spostando l’attenzione dalle questioni etiche, attraversate nel passato da un forte conservatorismo”.

E proprio questa apertura, anche, o soprattutto da parte del Papa, sembra scontentare le frange più conservatrici e reazionarie della società. E anche prelati, vescovi e il Papa stesso, probabilmente, sono consapevoli che nella Chiesa, nel “popolo di Dio”, almeno qua, a casa nostra, ci sono fasce di persone che non fanno corrispondere alle azioni i valori che professano. Da qui la definizione di Don Massimo di un bisogno di “radicalità”, una “radicalità evangelica”. Il rispettare veramente quello che è il messaggio del Vangelo. E questo deve essere compito, in primis, di chi si dichiara cristiano. E qua torniamo alla questione della tolleranza:

“Tocchi il centro di tutto, anche di quello che mi è accaduto. Nell’affermazione che avevo fatto e che i media e i partiti come Lega o i movimenti di estrema destra hanno strumentalizzato, dicevo che i fascisti erano miei nemici. Su questa cosa si è scatenato il mondo, anche il Vescovo, e i cattolici benpensanti: un prete deve tollerare, non può avere nemici.”

E qui si apre il dilemma di sempre. Il paradosso, per citare Popper, della necessità di non tollerare l’intolleranza. Ma è una questione cruciale: dove devono essere posti i limiti? E soprattutto, devono esserci dei limiti?

“Bisogna discutere della tolleranza. Essere tolleranti sì, ma non significa che io sia buonista. Se arriva un razzista in chiesa e dice che vuole essere razzista lo caccio a calci nel sedere: non c’è posto in Chiesa per il razzismo. Se un razzista viene in chiesa e vuole confrontarsi e discutere, va bene. Ma, come disse un Cardinale americano, in Chiesa non c’è spazio né per i razzisti né per i suprematisti. Tollerare sì, affinché vengano rispettati i principi e i valori umani, ma entro un limite. Un limite posto verso chi vuole opprimere, discriminare, offendere”.

 

Foto copertina: Profilo pubblico di don Biancalani su Facebook