Droghe: IX Libro Bianco mostra il fallimento della war on drugs in Italia
Se l’Italia non adottasse la linea proibizionista sulle droghe e se la detenzione non interessasse in misura così significativa i tossicodipendenti, non solo non servirebbe costruire nuove carceri, ma quelle che già abbiamo risulterebbero in eccedenza.
Questo è quanto emerge dalla pubblicazione del IX Libro Bianco sulle droghe, che anche quest’anno esamina le politiche sanzionatorie messe in atto dall’Italia sulle tossicodipendenze e i loro effetti sul sistema penitenziario.
Il volume è stato presentato nella sala Caduti di Nassiriya del Senato lo scorso 26 giugno, in occasione della Giornata internazionale contro l’abuso e il traffico illecito di droghe. Da dieci anni, il Libro Bianco si caratterizza come un’analisi indipendente sugli effetti della legislazione sulle droghe sul sistema penale, sui servizi e sulla società italiana. Giunto alla sua nona edizione, questo rapporto è stato pubblicato al termine di un lungo ciclo che ha visto alternarsi protagonisti e vicende assai contrastanti: dall’approvazione della legge Iervolino-Vassalli (che regolamenta l’utilizzo degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope) e l’inizio della guerra alla droga in Italia, alla dichiarazione di incostituzionalità di una legge proibizionista e punitiva – la Fini Giovanardi – fino alle recenti timide modifiche legislative.
Il documento, scaricabile qui, è stato promosso da la Società della Ragione insieme a Forum Droghe, Antigone, CGIL, CNCA e Associazione Luca Coscioni con l’adesione di altre associazioni, tra cui A Buon Diritto e Arci.
Torna la repressione sulle droghe
A 28 anni dalla sua approvazione, il Testo Unico sulle sostanze stupefacenti, con le sue disposizioni repressive e sanzionatorie, continua a essere il principale motivo di ingresso in carcere.
I dati inclusi nel rapporto rendono l’idea della situazione italiana. Una delle notizie più interessanti è che quasi il 30% dei detenuti entrati in carcere nel 2017 (14.139 su 48.144) lo ha fatto per aver violato un solo articolo di una legge: l’articolo 73 del Testo unico sulle sostanze stupefacenti, che sostanzialmente punisce la detenzione per piccolo spaccio. Questo dato, in aumento rispetto allo scorso anno, rappresenta un’inversione di tendenza rispetto al trend discendente seguito all’intervento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel 2012. Con la sentenza Torreggiani, la CEDU aveva infatti condannato l’Italia perché il generale sovraffollamento degli istituti penitenziari italiani aveva impedito ad alcuni detenuti di scontare la pena in condizioni dignitose: in seguito a questa condanna, il nostro Paese aveva deciso di fare ricorso alla detenzione in maniera meno diffusa.
Se i detenuti in carcere aumentano in termini generali, percentualmente aumentano ancora di più quelli per reati di droga: il 34,5% dei detenuti è infatti in carcere per la legge sulle droghe. Un’altra notizia emerge però se si paragonano i numeri relativi all’art. 73 con quelli relativi all’art. 74 del Testo Unico – che riguarda un una condotta criminosa più grave, quella di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope: dei detenuti presenti in carcere al 31 dicembre 2017, infatti, quasi 14.000 lo erano per violazione del solo art. 73, poco meno di 5000 per la violazione dell’art. 73 in associazione con l’art. 74, mentre solo meno di 1000 erano detenuti esclusivamente per l’art. 74. Questo
conferma la tendenza del nostro sistema repressivo sulle droghe a concentrarsi sui “pesci piccoli”, mentre i consorzi criminali non solo restano fuori dai radar della repressione penale, ma ne traggono anche vantaggio, trovandosi ad operare in un mercato ripulito dai competitor meno esperti.
Viene poi messo in evidenza che più di un quarto di coloro che erano detenuti al 31 dicembre 2017 sono tossicodipendenti: questo è quanto segnalano gli autori del rapporto, preoccupati per l’impennata (in controtendenza dopo anni) degli ingressi in carcere di persone con uso problematico di sostanze. Questi hanno infatti toccato un nuovo record: il 34,05% dei soggetti entrati in cella nel 2017 era tossicodipendente.
Come già detto, il IX Libro Bianco sulle droghe esamina inoltre il ruolo che la legislazione proibizionista in materia di droghe gioca nel ritorno dell’affollamento penitenziario. Analizzando le conseguenze penali e sanzionatorie della legislazione vigente in materia di droghe, il rapporto prova a ipotizzare come sarebbe il carcere se non esistesse l’attuale normativa proibizionista sulle droghe. Il risultato di questa analisi è che in assenza dei detenuti per spaccio (art. 73) o dei detenuti dichiarati tossicodipendenti, non si avrebbe il problema del sovraffollamento carcerario.
Il rapporto mostra quindi come la normativa antidroga sia il volano delle politiche repressive e carcerarie: quando la repressione penale raggiunge il suo apice, tende a concentrarsi sui reati relativi al traffico di sostanze stupefacenti.
Un dato positivo riguarda le misure alternative, il cui utilizzo è in crescita costante dal 2006. Allo stesso tempo, però, restano marginali le misure alternative per i detenuti che fanno uso di sostanze: solo il 21,4% del totale dei condannati per alcool e tossicodipendenti è infatti ammesso all’affidamento in prova speciale.
La repressione si abbatte sui consumatori
L’intensificarsi del controllo repressivo dell’uso di sostanze stupefacenti è confermato dai dati sulle segnalazioni relative all’articolo 75, che riguardano il possesso di sostanze stupefacenti per uso personale – una condotta che non è definita come reato, ma è soggetta a sanzioni di tipo amministrativo. Le persone segnalate al Prefetto per consumo di sostanze illecite sono infatti passate da 27.718 nel 2015 a 38.613 del 2017, aumentando di quasi il 40% (e del 18,13% rispetto al 2016). Si conferma inoltre l’impennata delle segnalazioni dei minori, che quadruplicano rispetto al 2015.
Cresce sensibilmente anche il numero delle sanzioni amministrative, che sono aumentate del 15% rispetto al 2015: la repressione colpisce principalmente i consumatori di cannabinoidi, che rappresentano l’80% dei sanzionati.
Le associazioni del “Cartello di Genova” – tra cui Associazione Luca Coscioni, Forum Droghe, Antigone, Cgil e Coordinamento nazionale comunità di accoglienza – che hanno partecipato alla presentazione del documento in Senato, hanno denunciato “politiche repressive non solo verso chi spaccia ma anche verso chi detiene droghe”. Dal 1990 a oggi, sono oltre un milione 214 mila le persone segnalate per possesso di sostanze stupefacenti a uso personale: di queste, 884 mila (il 73%) per derivati della cannabis. Numeri che “riportano al centro dell’attenzione pubblica la mancanza in Italia di politiche e risposte istituzionali in materia”, secondo Marco Perduca, coordinatore della campagna Legalizziamo! dell’Associazione Luca Coscioni.
Le proposte
Il Libro Bianco rappresenta anche un’occasione per fare il punto politico sugli stupefacenti. Le associazioni coinvolte riportano come la dichiarazione di incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi (legge n. 49 del 2006) da parte della Corte costituzionale non ha risolto ma, anzi, ha reso ancora più urgente la revisione della legislazione italiana sulle droghe e, specificamente, sulla parte sanzionatoria e penale. Per questo motivo, gli autori del rapporto hanno presentato tre proposte di legge, riguardanti la modifica del Testo Unico sulle sostanze stupefacenti, la tutela della salute nell’ambito del consumo e della produzione di cannabis, e la regolamentazione legale della produzione, consumo e commercio della cannabis e suoi derivati. Queste proposte riecheggiano quanto contenuto nella piattaforma di intervento sulle politiche sulle droghe che le associazioni che si occupano di queste tematiche avevano presentato lo scorso febbraio.
Per quel che concerne la proposta di revisione del Testo Unico vigente sulle sostanze stupefacenti, gli autori del rapporto richiedono in particolare la completa depenalizzazione del possesso e della cessione gratuita di piccoli quantitativi destinati all’uso personale. Viene infatti proposta la qualificazione in termini di liceità, penale e amministrativa, del mero consumo di stupefacenti (e, conseguentemente, delle condotte a esso strumentali). Allo stesso tempo, si propone una riduzione considerevole delle pene previste per le condotte qualificate come illecite, al fine di rendere il trattamento sanzionatorio proporzionale all’offesa, rispettando i princìpi costituzionali. CILD sostiene questa proposta, come spiega attraverso la campagna Non Me La Spacci Giusta.
“Tutti sul tappeto restano i problemi aperti o irrisolti: la riunione dell’Onu a Vienna nel 2019, la presentazione delle due proposte di legge sulla legalizzazione della canapa e di revisione radicale del Testo Unico sulle sostanze stupefacenti, la richiesta ultimativa per la convocazione della Conferenza nazionale sulla politica delle droghe, la ridefinizione della natura e dei compiti del Dipartimento antidroga, un confronto sulle soluzioni che emergono in tanti paesi in Europa e nel mondo”. Di fronte a questa situazione, esposta da Stefano Anastasia e Franco Corleone, gli autori del IX Libro Bianco sulle droghe auspicano che i parlamentari della XVIII legislatura abbandonino le “cattive abitudini” e discutano finalmente del tema delle droghe, un “tema che ha riflessi internazionali, culturali e sociali, assolutamente strategici”.
Foto di copertina via Legalizziamo.it