Che cos’è e come funziona la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

Share on FacebookTweet about this on TwitterShare on LinkedInEmail to someone
Print Friendly

Che cosa è la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo?

La Corte europea dei diritti dell’Uomo viene istituita nel 1959 con l’elezione dei primi giudici da parte dell’Assemblea Consultativa del Consiglio d’Europa e dopo l’entrata in vigore della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) avvenuta nel 1953.
Organo permanente del Consiglio d’Europa dal 1998, ha sede a Strasburgo.

Si pronuncia sui ricorsi circa la presunta violazione dei diritti indicati nella CEDU (vedi sotto) che possono essere presentati tanto dagli Stati membri della Convenzione quanto, a partire dall’Undicesimo Protocollo del 1988, da singoli individui.

La Corte europea dei diritti dell’uomo non deve essere confusa con la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che si occupa del rispetto del diritto comunitario e dell’interpretazione e applicazione dei trattati istitutivi dell’UE, né con la Corte Internazionale di Giustizia (che è un organo delle Nazioni Unite).

La CEDU e i diritti che la Corte deve salvaguardare

La Corte ha competenza su tutto quanto attiene alla CEDU.
Che cosa significa? Nella CEDU sono stati definiti i diritti fondamentali che i singoli stati membri dell’UE devono non solo rispettare ma assicurare a tutte le persone che si trovano sul loro territorio – e quindi a prescindere dalla cittadinanza: del resto, si chiamano diritti umani proprio perché appartengono a tutti!

La CEDU sancisce e dunque protegge il diritto alla vita, all’equo processo, al rispetto della libertà d’espressione, al pensiero e alla libertà di culto, alla proprietà e alla sfera privata. Proibisce espressamente il ricorso alla tortura o a trattamenti degradanti, la schiavitù e il lavoro forzato, la pena di morte, la detenzione arbitraria e il trattamento discriminatorio nell’accesso e godimento dei diritti previsti dalla Carta stessa.

Un'aula della Corte. PH: Latvian Foreign Ministry / Flickr Creative Commons.
Un’aula della Corte. PH: Latvian Foreign Ministry / Flickr Creative Commons.

Come è composta la Corte?

La Corte è formata da tanti giudici quanti sono gli Stati membri della CEDU – e cioè 47 – che sono eletti dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa sulla base di liste di tre candidati proposte dai singoli Stati membri. I giudici restano in carica per nove anni e il loro mandato non è rinnovabile

I componenti della Corte eleggono al proprio interno un Presidente e due Vice-Presidenti per un periodo di tre anni, rinnovabile.
Attualmente, il Presidente della Corte è l’italiano Guido Raimondi.

Come funziona ed opera la Corte?

La Corte ha cinque Sezioni, che sono entità amministrative composte ciascuna da un Presidente, un Vice Presidente e da alcuni giudici come membri ordinari.

All’interno di ciascuna sezione sono poi organizzate delle Camere di giudici che risolvono in via ordinaria i casi presentati alla Corte. Le Camere sono composte dal Presidente della Sezione competente per il caso in questione, dal giudice nazionale (ossia colui eletto in rappresentanza dello Stato interessato) e da altri giudici selezionati dal Presidente di Sezione a rotazione. Questo meccanismo implica che ci sia una variazione nella composizione dell’organo giudiziario in base al caso trattato.

Vi è poi una Gran Camera – composta dal Presidente della Corte con i Vice Presidenti, il Presidente di Sezione, il giudice nazionale e altri giudici estratti a sorte – competente ad esaminare i casi più complessi e le (eccezionali) impugnazioni delle sentenze della Corte.

Un giudice eletto è anche indipendente?

Quella sull’indipendenza e imparzialità dei giudici è una domanda frequente.
I giudici eletti non rispondono agli Stati che li hanno proposti né al Consiglio d’Europa: sono totalmente indipendenti nell’esercizio delle loro funzioni, poiché ciò che devono fare è vigilare sul rispetto dei diritti fondamentali contenuti nella CEDU. Per questo, l’incarico è incompatibile con qualsiasi attività o ruolo che possa comprometterne l’autonomia.

Giudici
PH: Maia Weinstock / Flickr Creative Commons.

In che modo si esprime la Corte europea dei diritti dell’Uomo?

La Corte prende in primo luogo decisioni sull’ammissibilità dei ricorsi: quando si tratta di ricorsi presentati dagli Stati, lo fa una delle Camere; in caso di ricorsi individuali, invece, vi è una procedura più snella presso uno dei Comitati o un giudice unico.
Quando un ricorso è ritenuto ammissibile, la Corte si esprime nel merito tramite sentenze vincolanti.

Il giudizio della Corte è inappellabile, ma le parti in causa hanno l’opzione di presentare un eccezionale ricorso alla Gran Camera entro i tre mesi successivi alla sua emanazione.

L’attività della Corte negli ultimi cinquant’anni

La Corte oggi ha giurisdizione su 47 paesi e protegge oltre 820 milioni di persone.
Sono quasi 20.000 le sentenze emanate dalla Corte dalla sua istituzione (per la precisione, 18.500 all’ultima rilevazione del 2015).

Importante notare, però, che la Corte è stata in realtà poco attiva sino alla fine degli anni ’80 : basti pensare che nel 1988, erano stati presentati in tutto soltanto 1009 ricorsi.
Da quando l’Undicesimo Protocollo ha introdotto i ricorsi individuali, vi è stato un vero e proprio boom nell’attività dei giudici di Strasburgo. La riforma dell’accesso alla Corte e la sua apertura ai singoli, oltre che agli (apparentemente disinteressati) Stati, è stata indubbiamente fondamentale nel determinare la capacità di impatto dell’attività dei giudici europei sulla situazione relativa alla tutela dei diritti in tutto il continente.

Le sentenze della Corte hanno ovviamente prodotto anche importanti effetti nei sistemi giuridici dei singoli Stati, che – nolenti o volenti – hanno dovuto adeguare le proprie normative al rispetto della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo, come interpretata dalla Corte.

Quale sono le violazioni riscontrate più spesso dalla Corte?

La violazione più frequentemente riscontrata dalla Corte è quella del diritto a un giusto processo, tutelato dall’art. 6 della Carta: tra il 1959 e il 2014 sono state riscontrate 9865 violazioni di tale diritto; nel 2015, le violazioni dell’art. 6 rappresentavano un quarto di quelle condannate dalla Corte.

Frequenti anche le violazioni degli art. 2 e 3 della Carta, relativi rispettivamente al diritto alla vita e alla proibizione assoluta del ricorso alla tortura o a trattamenti inumani: tra il 1959 e il 2014, ne sono state condannate rispettivamente 2237 e 2871.
Esemplare è qui il caso italiano. Nel 2013, il nostro paese fu duramente condannato con la famosa sentenza pilota Torreggiani per il sovraffollamento delle sue carceri, in risposta al quale il governo e il legislatore italiano hanno (infine) adottato importanti misure atte a ridurre la popolazione penitenziaria.

Limiti dell’azione della Corte

L’operato della Corte ha anche dei limiti.
Per iniziare, la Corte bon può agire di sua iniziativa: per potersi esprimere su un determinato caso, deve essere infatti interpellata o da un singolo individuo, o da uno Stato.
Inoltre, i suoi poteri nel garantire l’esecuzione delle sentenze sono comunque limitati, in quanto non può né annullare né modificare le leggi dei singoli Stati nazionali: a seguito di una eventuale condanna nei confronti di uno Stato, infatti, può fissare una tempistica per cui lo stesso deve adeguare la normativa vigente, ma non di più.

 

Approfondimento a cura di Federico Quadrelli (@FedericoQuadrel).
Immagine di copertina: nitachem / Flickr Creative Commons.