Quando essere gay equivale a pena di morte
Yemen, 8 ottobre 2017. Iran, 9 ottobre 2017. Sudan, 10 ottobre 2017. Immaginate di svegliarvi ogni giorno in questi paesi con la paura che sia l’ultimo. Immaginate che questa paura sia legata solo al vostro amare una persona dello stesso sesso.
Secondo i dati presentati da ILGA (International Lesbian & Gay association) nel maggio 2017, gli atti sessuali tra adulti consenzienti consumati in privato sono puniti con la pena di morte in diversi paesi. Sei gli stati in cui la pena di morte viene applicata attivamente, quattro a livello nazionale (Iran, Arabia Saudita, Yemen e Sudan) e due in determinate province (Somalia e Nigeria). Numero che sale ad otto se si considerano anche alcune zone dell’Iraq e della Siria occupate da Daesh – ISIS. Vi sono poi altri cinque stati (Afganistan, Pakistan, Qatar, Emirati Arabi e Mauritania) dove la pena di morte è prevista per legge ma dove tuttavia non viene utilizzata e dove operano codici civili indicanti pene inferiori.
Ad oggi sono 196 gli stati riconosciuti sovrani a livello internazionale. Un numero che potrebbe indurre a pensare che essere gay possa portare alla morte solo in poche circostanze. Ed è qui che bisogna soffermarsi sul numero di stati che ad oggi criminalizzano l’omosessualità: 72. Paesi in cui il solo orientamento sessuale può portare a condanne detentive (Uganda – ergastolo), somministrazione di ormoni e altri trattamenti chimici (Emirati Arabi). Per non parlare della totale assenza di protezione nazionale che incrementa e alimenta spesso una situazione di emarginazione sociale che può portare fino a stupri correttivi e pestaggi. Una morte diversa, una morte interiore, ma pur sempre morte.
Ed è in questo contesto che diventa fondamentale la prima condanna ufficiale delle Nazioni Unite verso la pena di morte applicata a discapito di coppie dello stesso sesso. L’occasione? La risoluzione approvata a settembre dallo Human Rights Council, corpo intergovernativo responsabile della promozione e protezione dei diritti umani nel mondo. Un evento storico che segna il primo passo verso la presa di consapevolezza della comunità internazionale circa l’esistenza di leggi deplorevoli contro la comunità LGBT.
Essere gay, lesbiche, bisessuali e transgender in paesi che criminalizzano l’omosessualità fino ad applicare la pena di morte significa vivere in una paura costante di morte e di conseguenza equivale ad essere condannati a nascondere la propria identità. “È incredibile pensare che ci siano centinaia di milioni di persone che vivono in paesi dove qualcuno può essere ucciso semplicemente in base a chi ama”. Queste le parole del direttore esecutivo di ILGA Renato Sabbatini. Oggi 10 ottobre, giornata mondiale contro la pena di morte, CILD vuole ricordare che la strada per garantire il rispetto dei diritti umani di tutte le persone LGBT nel mondo è ancora lunga ma necessaria da percorrere.