Fake news e programmatic advertising: la campagna degli Sleeping Giants

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“Trump ha vinto anche grazie a Breitbart”, dichiarava a fine novembre 2016 il giornalista di Vanity Fair Ken Stern in un articolo su quello che ha definito il “vortice dei media di destra“.

Durante le elezioni americane, Breitbart News, un sito di notizie conservatore, ha attirato un nuovo livello di attenzione e scrutinio nazionale soprattutto quando il suo capo, Steve Bannon, è diventato parte integrante del team delle campagna elettorale del neo-eletto presidente. Con titoli come “La soluzione alle molestie sessuali è facile: le donne dovrebbero disconnettersi” o “Non ci sono pregiudizi nei confronti delle donne e del loro rapporto con la tecnologia. Fanno semplicemente schifo ai colloqui”, il sito pubblica spesso contenuti controversi, “spregevoli” e spesso confutabili.
Ma questo non sembra essere un problema per i suoi milioni di visitatori, come documentato da Alexa – la società che monitora il traffico sul web, che posiziona il sito tra i primi 250 indirizzi più consultati del mondo. Un mix di notizie false, di stampo islamofobo, omofobo, razzista e misogino, affiancato da pubblicità di grande aziende che molto spesso sostengono libertà e diritti civili. Una contraddizione etica dunque scatenata il più delle volte dal ‘programmatic advertising’, il mercato di pubblicità digitale automatizzato.

Il programmatic advertising

Si parla di grandi aziende, come Visa, Nespresso, Alitalia, aziende che con ogni  probabilità non avevano e non hanno idea che la loro  pubblicità appaia in questo genere di siti, perché il ‘programmatic advertising’ è un sistema complesso che sceglie e mostra agli individui  pubblicità di loro interesse, piuttosto che legata al sito specifico. Un sistema economico ma comunque incontrollato: gli utenti vengono tracciati sulla base dei siti che hanno già cliccato ma le aziende non sanno su quale sito il potenziale cliente vedrà la loro pubblicità. Se in passato le ditte potevano impedire alle proprie pubblicità di apparire su alcune categorie di siti – quelli pornografici o con contenuti violenti – oggigiorno non esiste un sistema che ne impedisca l’apparizione di fianco a notizie false o provocatorie. I siti di pseudo informazione online possono quindi scrivere ciò che vogliono ed essere comunque pagati perché qualcuno li visita. Pare dunque lecito pensare che il sistema automatico di posizionamento della pubblicità ha stimolato la proliferazione di questi siti, oltre ad averne arricchito i proprietari.

Sleeping Giants

Molte aziende continuerebbero a ignorare l’esistenza dei loro spot su Breitbart News se non fosse per l’attività degli Sleeping Giants, una community nata su Twitter per informare chi fa pubblicità della loro presenza sul sito di estrema destra.

“Stiamo tentando di fermare i siti xenofobi, misogini, razzisti togliendo i soldi delle pubblicità. Molte ditte non sanno di apparire lì. È ora di informarli” si legge sul profilo ufficiale del gruppo. E per informare le ditte della loro pubblicità su Breitbart News la community chiede il supporto dei followers e dà precise indicazioni: 1) Andate su Breitbart e fate una foto alla schermata di una pubblicità vicino a un contenuto o al logo del sito;  2) Twittate lo screenshot alla compagnia in modo gentile ed educato, informandoli dove hai trovato la loro pubblicità; 3) tagga @sleeping_giants per informare la community.

La campagna nata negli USA si è poi allargata oltreoceano. Coscienti del piano di espansione di Breitbart in Europa, è stata creato un account europeo degli Sleeping Giants, poi ramificatosi in sottogruppi nazionali, come quello italiano. Ad oggi, grazie alle attività di notifica dell’intera community, 2175 compagnie hanno deciso di rimuovere la loro pubblicità da Breitbart News, centinaia delle quali sono europee.

 L’intervista ai “giganti” italiani

La community Sleeping Giants è partita da una campagna negli USA ma si è poi velocemente allargata oltreoceano e voi ne siete l’esempio vivente. Esiste un legame con gli altri membri internazionali della Community e qual è il vostro rapporto?

Siamo una comunità unica, che si è espansa man mano tra un account e l’altro. Abbiamo un contatto costante, ci passiamo informazioni, trucchi e sciocchezze – ad esempio i “programmatic fail”, quando un ad (una pubblicità, NdR) è particolarmente grottesco rispetto al titolo accanto. Fa un po’ strano che siamo tutti anonimi anche tra di noi, siamo _fr, _ch, _br – anche se dietro a molte sigle nazionali c’è un team e quindi un nome solo ha più voci.

Nel rispetto della libertà di parola, la caduta di Breitbart non è esattamente l’obiettivo degli Sleeping Giants. Piuttosto, combattere contro il sistema del programmatic advertising che fa sì che le aziende pubblichino inconsapevolmente spot su siti controversi. La caduta di Breitbart non sarebbe però un auspicabile effetto collaterale? Credete possa sopravvivere anche senza i guadagni derivanti dalla pubblicità?

Quando Breitbart ha presentato le credenziali per l’accesso stampa alla Casa Bianca, hanno dovuto rendere pubblico il sostegno determinante alla testata della famiglia Mercer. Si tratta di alta finanza, hedge fund, liberisti: hanno elargito milioni di dollari a Breitbart e ad altri. Quindi, possiamo al massimo puntare a rendere il giocattolo troppo costoso – ma prima di vedere Breitbart fallito ci sarà da lavorare parecchio.

In un certo senso, Breitbart è il cavallo di troia perfetto. Permette di ottenere delle risposte: il successo della comunità, delle migliaia che ci seguono, è che si vedono dei risultati. Le aziende rispondono, tolgono, dichiarano, promettono. C’è un feedback, non è protesta inutile. C’è tutta una dialettica sulla differenza tra le opinioni forti e l’hatespeech, cosa è fake news e cosa no. Un po’ seria, un po’ pretesto. Ora, ci sarà anche un’area grigia, ma quale che sia la scala di grigi, Breitbart è nero pece.

Pensate che la vostra Community possa in futuro portare a un allargamento di questi limiti, ovvero, alla creazione di un sistema che impedisca la pubblicazione di “ads” accanto a notizie provocatorie, forti o false?

Un “sistema che impedisca” lo potrebbe fare la legge. Affrontando tutti le questioni del caso, il limite tra censura e protezione.

L’iniziativa #bastabufale ha dei tavoli di lavoro sul tema, e non pare facile. La comunità degli Sleeping Giants, più semplicemente, informa le aziende. Attenzione: non è una maniera di svicolare, di scaricare la scelta su altri, di buttare il sasso e scappare. La maggior parte delle aziende non sa dove vanno gli ads: quando vengono informate, prendono coscienza e intervengono. La comunità stimola la coscienza etica delle aziende, che è certamente meglio che “impedire”.

A gennaio c’è stata una prima ondata di proteste delle aziende e delle agenzie di advertising nei confronti di Google: perché gli ads si possono bloccare per l’intera categoria del porno, del gambling, ma non c’è una crocetta da barrare per toglierli dall’hate speech come categoria? Il governo britannico ha convocato Google per farsi spiegare come mai gli ads governativi apparivano come prefazione a filmati Youtube di proselitismo islamista, ad esempio. La Royal Navy di Sua Maestà era estremamente seccata, per usare un understatement. Decine di ditte hanno semplicemente tolto gli ads da tutta la rete Google fino a soluzione dei problemi. Molti non son tornati. Si è arrivati alle scuse formali sul blog Google e a promesse (un po’ generiche) di migliorare, con nuovi filtri, nuovi algoritmi.

Facebook ha avuto trattamento simile. Le “Audience network setting” risultano essere un sistema incontrollabile e oscuro con cui facebook proietta sul web gli annunci, simili a quelli di AdSense.  Ecco che lo sviluppo di un’”etica della pubblicità” delle aziende porta, pian piano, ad una autoregolamentazione del settore. Che, torniamo sempre lì, è meglio che una legge che “proibisce”. E non colpisce solo Breitbart, ma l’intero settore dell’hate speech.

Il programmatic advertising è strettamente collegato al brand safety, ovvero la salvaguardia dell’identità di un brand che è anche collegata all’accuratezza del posizionamento in cui verranno mostrati gli annunci pubblicitari. Breitbart però vanta milioni di lettori al mese e si tratta dunque di un sito altamente redditizio anche per le aziende. Ci sono stati casi di aziende che hanno rifiutato di rimuovere le loro pubblicità da Breitbart e quali sono i più famosi?

A dirla tutta, un ad sul sito Breitbart “pre-crisi” era abbastanza caro e offriva molta visibilità ma pochi click, dicevano le statistiche. In questa fase la Kellogg’s, senza sollecitazioni, ha scelto di propria iniziativa di togliere gli ads da Breitbart  – e in risposta Breitbart ha lanciato la campagna #BoycottKelloggs (un vero flop, peraltro) Oggi, sulla blacklist di più di duemila aziende di cui abbiamo conferma (e potrebbero essere di più), il prezzo di un ad su Breitbart è dimezzato, dagli ultimi dati che ci sono stati passati. La redditività – inteso il rapporto tra pubblicità mostrate e quelle cliccate – è sempre stata relativamente bassa. Ora, le ditte che non appaiono più su Breitbart non pare abbiano avuto variazioni: è complicato avere dati di una ditta, ma togliere uno (o cento) siti su migliaia non sposta molto la media.

Non conosciamo aziende che si siano schierate apertamente a favore di Breitbart. Attorno a Natale 2016, la Nissan USA si era lanciata con una dichiarazione di neutralità, dicendo che non voleva escludere nessuno e che gli ads seguono il cliente e non la piattaforma. Il “ruggito” della rete che ne è seguito li ha fatti riflettere sul pessimo ritorno d’immagine: hanno mollato Breitbart e nessuno di loro ha più detto nulla che potesse essere anche solo vagamente interpretato a favore del sito.
La ditta più famosa che ancora resiste è Amazon. Nonostante gli innumerevoli appelli, una petizione di cinquecento dipendenti che minacciava di andarsene, nonostante le infinite segnalazioni rivolte alle ditte dei prodotti che Amazon pubblicizza su Breitbart – e alle ditte produttrici stesse che protestano con Amazon, non è successo nulla. Amazon, semplicemente, tace. Non commenta, non risponde, dall’assistenza clienti riceviamo risposte vaghe. E la sua pubblicità continua a comparire su Breitbart imperterrita. Non molliamo, noi Sleeping Giants: continuiamo a informare sia Amazon e le ditte. Altri siti si sono buttati in un aperto boicottaggio.

Ogni Sleeping Giants ‘nazionale’, poi, ha i suoi “indifferenti”. Ad esempio, qui come gruppo italiano abbiamo la Tessabit (azienda di alta moda, con sede a Como) e l’Erbario Toscano a cui mandiamo messaggi da mesi, aspettando risposta.

Le Fake News e fonti di notizie false sono sempre più in proliferazione anche in Italia, così come i siti dediti al clickbaiting. Avete mai preso in considerazione l’idea di lanciare un monitoraggio dei principali siti italiani di fake news?

Non per ora, in Italia. Stiamo seguendo con molta attenzione il lavoro locale di _fr, _nl e _ca, che hanno scelto il singolo peggior sito nazionale e stanno applicando lo stesso metodo di Breitbart – con l’appoggio di tutta la comunità. in Francia, BVoltaire.fr ha perso 160 inserzionisti in un mese. Nei Paesi Bassi, su Geenstijl.nl si sono espressi addirittura un paio di ministri, e la campagna procede. In Canada il contrattacco dei troll pro-#therebel.media pare massiccio, stiamo seguendo la situazione.
Quindi, vedremo. Se mai, ci sarà l’imbarazzo di trovare il peggiore, nella sterminata produzione di fakenews/hatespeech italica.