Diritti LGBT, alleanze trasversali e dialogo: intervista a Anthony Romero, direttore ACLU

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Lo scorso 26 giugno la Corte Suprema degli Stati Uniti ha dichiarato incostituzionale il divieto di sposarsi per le coppie dello stesso sesso, rendendo il matrimonio legale in tutti i 50 stati.
Si tratta di una vittoria storica che ha avuto risonanza in tutto il mondo, arrivata dopo molti anni di lotte per i diritti, ma che non è certamente la fine delle discriminazioni.

La causa che ha portato alla sentenza, Obergefell v. Hodges, è stata seguita dalla American Civil Liberties Union (ACLU). Per capire il percorso di questi diritti negli USA, le lezioni imparate e i passi futuri, abbiamo intervistato Anthony Romero*, direttore di ACLU, che è anche un amico e un punto di riferimento per CILD.

 

La ACLU ha raggiunto una vittoria storica pochi giorni fa, ma ha una lunga storia: la prima causa sui diritti LGBTI risale al 1970. I primi risultati significativi, però, sono arrivati solo negli ultimi 15 anni. Qual è stata la vostra strategia?  

Sì, si tratta di una battaglia che l’ACLU combatte da 45 anni: la nostra prima causa per ottenere una licenza matrimoniale per una coppia dello stesso sesso risale al 1970, in Minnesota.
I progressi, però, sono iniziati solo molto recentemente. Le prime vittorie, paradossalmente, hanno portato a un contraccolpo per i diritti LGBT: per questo ci siamo concentrati sugli stati su cui pensavamo di avere maggiori possibilità di vittoria e abbiamo investito lì la maggior parte delle risorse. Ci siamo anche resi conto che ottenevamo migliori risultati puntando sui concetti di amore e impegno reciproco: abbiamo quindi spostato la narrativa su questi temi, osservando che più gli stati legalizzavano il matrimonio egualitario, più il Paese era a suo agio con questo cambiamento.

Nel 2013, dopo aver vinto il caso Windsor, abbiamo visto un effetto “valanga”: uno dopo l’altro, diversi stati hanno approvato il matrimonio egualitario. Abbiamo compreso che se potevamo fare questo, potevamo anche tornare dalla Corte Suprema e vincere a livello nazionale. Avevamo però bisogno di vittorie anche nella parte più conservatrice del Paese: così, per guidare la nostra advocacy su quel fronte, abbiamo assunto un importante lobbista repubblicano, Steve Schmidt.

Ogni anno solo pochissimi casi arrivano alla Corte Suprema: perché avete scelto quelli di Jim Obergefell e Edie Windsor, che nel 2013 portò all’altra sentenza storica? Qual è la strategia dietro queste decisioni?

Edie Windsor era ideale per mettere in discussione la cosiddetta “difesa del Marriage Act”. Gli elementi erano chiari, la sua storia forte e lei incredibilmente intelligente e carismatica.
La relazione con la sua compagna, Thea, è durata decenni, Edie le è stata accanto fino alla sua morte, avvenuta per sclerosi multipla. Si erano sposate in Canada e il loro matrimonio era riconosciuto dallo stato di New York, ma non dagli Stati Uniti: così, alla morte di Thea, il governo federale ha imposto a Edie il pagamento di una ingente tassa di successione, non considerandola membro della famiglia.

Come sostenere che questa coppia non meritava di essere trattata come le altre? E così abbiamo portato il caso fino alla Corte Suprema e abbiamo vinto.

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Jim Obergefell, davanti alla Corte Suprema, lo scorso 26 giugno

Jim Obergefell si è fatto avanti in una fase in cui le cose stavano finalmente cambiando. Il primo contatto è avvenuto attraverso il nostro ufficio in Ohio: al tempo, però, nessuno poteva prevedere che questo sarebbe stato il caso che avrebbe portato il tema del matrimonio egualitario alla corte suprema.
Anche la sua è una storia dolorosa: Jim ha sposato il suo compagno John dopo 22 anni insieme, poco prima che questi morisse di sclerosi amiotrofica laterale. Il suo caso è uno di quelli dove le azioni di un individuo determinato riescono a far compiere un vero salto in avanti a un intero movimento.

Quali sono le prossime sfide per il movimento LGBT negli USA? Su cosa si concentrerà l’ACLU nel futuro prossimo?

Stiamo continuando il nostro impegno su scala nazionale contro la discriminazione a causa di orientamento sessuale e identità di genere, con una particolare attenzione affinché le cosiddette “eccezioni su base religiosa”, le obiezioni di coscienza, non intacchino il principio di uguaglianza.

Avere leggi che garantiscono pari diritti non è la stessa cosa che godere di quei diritti nella vita di tutti i giorni: per questo ci concentriamo sugli aspetti quotidiani, con particolare attenzione a elementi di ulteriore marginalizzazione come razza, reddito e provenienza.

Tra le nostre priorità:

  • Tutela dei diritti civili per persone LGBT.  Le discriminazioni sono ancora in atto per quanto riguarda casa, lavoro, scuola, accesso al credito e molto altro. Vogliamo ottenere una tutela più ampia con una legge nazionale sui diritti civili LGBT, aggiungendo orientamento sessuale e identità di genere come diritti umani alle leggi di ogni stato. Inoltre, continueremo ad agire nei tribunali dei singoli stati.
  • Lotta contro l’obiezione di coscienza che danneggia le persone LGBT. . I nostri avversari sanno che stanno perdendo la battaglia, quindi cercano di ritagliarsi eccezioni su base religiosa: cercano così di creare uno scontro tra libertà religiosa da una parte e diritti LGBT dall’altra. Ma tutto questo non ha niente a che vedere con la libertà religiosa: l’ACLU lotta anche per garantire a tutti il diritto di praticare la propria religione. Ma le convinzioni di una persona o di un gruppo di persone su cosa sia moralmente giusto o sbagliato non devono essere estese alla sfera pubblica. Non possiamo consentire agli impiegati comunali, pubblici ufficiali, di rifiutare la licenza matrimoniale a coppie dello stesso sesso, per via delle loro convinzioni religiose. Si tratta di una battaglia che portiamo avanti a vari livelli: legislature statali (questa estate in Indiana), Congresso e tribunali.
  • Allargare i diritti delle persone transgender.   Ci stiamo concentrando in modo specifico anche sulla tutela di diritti delle persone transgender: tra le nostre priorità ci sono la possibilità di ottenere documenti d’identità adatti, senza dover sottostare a requisiti medici o chirurgici, l’accesso al trattamento sanitario per la transizione e l’utilizzo di spazi pubblici secondo la propria identità.
  • Garantire pari diritti genitoriali. Vogliamo eliminare le rimanenti leggi che vietano a gay e lesbiche di adottare o avere bambini in affido e garantire la tutela del rapporto genitore-figlio per tutti. Vi sono particolari difficoltà per genitori transgender, che spesso perdono la custodia dei propri figli solo per questo motivo.
  • Mettere fine agli abusi della polizia. Nell’ambito della riforma delle carceri che ACLU propone, lavoriamo anche su misure indirizzate in modo specifico alle persone LGBT. Specie transgender e di colore, vengono fermate dalla polizia in percentuali molto maggiori rispetto ad altre; se arrestate, vengono incarcerate senza tutela della loro dignità o sicurezza, spesso con grandi difficoltà nell’accesso all’assistenza sanitaria in carcere.
  • Giovani. I giovani LGBT sono tra i gruppi più marginalizzati, ancora di più se transgender e di colore.Ci occupiamo di difendere i loro diritti, in particolare nelle scuole del Sud e del Midwest dove i casi sono più frequenti, e in contesti come carceri minorili e rifugi per senzatetto.

 

In una battaglia lunga e difficile gli alleati sono importanti: come avete coinvolto i cosiddetti “straight allies”, le persone eterosessuali, nel movimento per l’eguaglianza LGBT?

La nostra esperienza con l’obiezione di coscienza per quanto riguarda i diritti riproduttivi ci ha aiutato a identificare sfide e opportunità proprio riguardo al coinvolgimento di alleati, che ci sono state utili su questi temi.

Siamo riusciti a stabilire alleanze senza precedenti in tutto lo spettro politico e abbiamo coinvolto nuovi attori: le grandi aziende e le camere di commercio hanno una enorme influenza sulle leggi territoriali, ad esempio, così abbiamo instaurato un dialogo, con il messaggio che le leggi anti-LGBT non fanno bene agli affari!

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Nelle scorse settimane in Italia moltissime persone sono scese in piazza a celebrare i Pride con in mente la storica sentenza della Corte Suprema. Come sai, il nostro paese è l’unico dell’Europa occidentale a non avere alcuna regolamentazione per coppie dello stesso sesso, inclusi paesi di tradizione cattolica come Spagna e Irlanda. Una controversa legge sulle unioni civili è in discussione in Parlamento. La società è più avanti della legge, si dice, eppure è difficile trovare voci forti al di fuori del movimento LGBT. Qual è il tuo consiglio ad attivisti e organizzazioni?

Quando sono arrivato all’American Civil Liberties Union, 14 anni fa, non potevo immaginare che avrei avuto l’onore di guidare questa organizzazione nel giorno in cui avremmo vinto la lotta per il matrimonio egualitario.
I passi in avanti sono stati lenti e non sono mancate le battute d’arresto. Sono passati pochi anni dall’ondata di stati che hanno inserito emendamenti costituzionali che proibivano i matrimoni tra persone dello stesso sesso: i nostri sforzi per fermarli non sono quasi mai andati a buon fine.
Successivamente, l’evoluzione dell’opinione pubblica e politica in America su questi temi si è spostata rapidamente a nostro favore, ma solo dopo decenni di battaglie e sconfitte.

Non sarà facile ottenere questo diritto in Italia, ma accadrà se concentrate le vostre energie e risorse su obiettivi raggiungibili nel breve e medio periodo.
Trovate alleati nelle aziende e nelle comunità religiose. Iniziate in luoghi che sono più favorevoli al dialogo.
Create un movimento, costruite sulle piccole vittorie e ci arriverete più in fretta di quanto pensate.

 

*Anthony D. Romero è diventato direttore della American Civil Liberties Union (ACLU) nel 2001, solo sette giorni prima degli attacchi dell’11 settembre.
Avvocato con una storia di attivismo per il pubblico interesse, ha presieduto la crescita associativa di maggior successo nella storia dell’organizzazione.
Romero è il sesto direttore dell’ACLU, il primo ispanico e dichiaratamente omosessuale a ricoprire questo ruolo.
Nato a New York da genitori portoricani, ha una laurea in giurisprudenza della Stanford University e una in Public Policy e Relazioni Internazionali dell’Università di Princeton.