I pregiudizi etnici nell’affrontare la questione rifugiati
di Oiza Queens Day Obasuyi
Gran parte della copertura mediatica occidentale su chi fugge dalla guerra in Ucraina è stata altamente criticata – soprattutto da giornalisti e giornaliste di varie origini, e non è un caso – per via dei gravi pregiudizi razziali che hanno visto come protagoniste tutte le altre persone che fuggono da guerre e conflitti “lontani”.
Come spiega la giornalista afro-britannica Nadine White sull’Independent, in cui decostruisce l’etnocentrismo del giornalismo di questi giorni, “è come se lo spargimento di sangue e l’invasione dovessero essere solo imposti ai paesi abitati da persone non bianche. Alcuni non si sono fatti scrupoli a condividere il loro senso di allarme riguardo a questa svolta degli eventi, il che fa riflettere. Forse si è ignari di come ciò alimenti un’ideologia della supremazia bianca che rende la vita degli altri priva di valore”.
Infatti, una delle reazioni alle immagini della fuga di centinaia di migliaia di persone ucraine dalle proprie città è stata quella di sottolineare quanto queste persone fossero simili agli europei (bianchi): “Somigliano così tanto a noi. Questo è ciò che lo rende così scioccante. La guerra non è più una cosa da popolazioni povere e remote. Può succedere a chiunque”. ha scritto Daniel Hannan sul Telegraph. E benché c’è chi dice che questa reazione sia “normale” perché si tratta di popoli vicini, è impossibile non sottolineare l’evidente doppio standard. Le persone del resto del mondo, non solo sono percepite come come “diverse” – nel senso negativo del termine – ma anche come “non civilizzate”, contrapposte invece a quelle civilized, ossia civilizzate ed europee, come ha affermato il giornalista Charlie D’Aagata, in diretta a CBS News.
2. CBS News
"This isn't Iraq or Afghanistan…This is a relatively civilized, relatively European city" – CBS foreign correspondent Charlie D’Agata pic.twitter.com/s7sxZrMzM9
— Alan MacLeod (@AlanRMacLeod) 27 febbraio 2022
Ma la carrellata di affermazioni simili continua e sono state raccolte da Alan: in un’intervista alla BBC, David Sakvarelidze, ex vice procuratore generale dell’Ucraina, riferendosi alla tragica situazione attuale, ha affermato: “È molto emozionante per me perché vedo persone europee con occhi azzurri e capelli biondi che vengono uccise ogni giorno”. E, anziché contestare un commento simile, il conduttore in studio della BBC ha risposto: “Capisco e rispetto l’emozione”.
[Thread] The most racist Ukraine coverage on TV News.
1. The BBC – “It’s very emotional for me because I see European people with blue eyes and blonde hair being killed” – Ukraine’s Deputy Chief Prosecutor, David Sakvarelidze pic.twitter.com/m0LB0m00Wg
— Alan MacLeod (@AlanRMacLeod) 27 febbraio 2022
Trevor Noah, conduttore di origine sudafricana del Daily Show, criticando la copertura mediatica su rifugiati ucraini e non ucraini, così come questo costante paragone tra Paesi “non civilizzati, in cui la guerra è normale” e l’Europa “civilizzata”, ha affermato che non solo trova scioccante il non rendersi conto che “war was Europe’s thing”, ossia che la guerra ha sempre fatto parte della storia europea. Ma ha anche criticato come la percezione nel vedere persone bianche ed europee che fuggono sia considerato in qualche modo più tragico rispetto a tutte le altre persone che fuggono da altri Paesi – come se, come ha detto ironicamente Noah, imitando il pensiero suprematista, “it was built on them”, fosse qualcosa di congenito, che fa parte del Dna.
Reporters expressed shock over war happening in a "relatively civil" country like Ukraine… pic.twitter.com/ePEDZ1GKAd
— The Daily Show (@TheDailyShow) 1 marzo 2022
Questi paragoni tra l’Europa “civilizzata” e il resto del mondo non sono semplicemente degli “scivoloni”: prendere come metro di giudizio gli altri Paesi per sottolineare la presunta superiorità dell’Europa ha radici storiche antiche.
Il fumettista e giornalista keniano Patrick Gathara, criticando questo tipo di copertura mediatica, in un articolo per Al Jazeera, citando lo scrittore Chinua Achebe, una delle pietre miliari della letteratura post-coloniale, afferma: “Tutto si riconduce a Chinua Achebe che, nella sua recensione del 1977 del romanzo Heart of Darkness dello scrittore britannico Joseph Conrad, notò che «[…] l’Occidente sembra soffrire di profonde ansie per la precarietà della sua civiltà” e necessita di continue rassicurazioni rispetto all’Africa. All’Africa, possiamo aggiungere l’Iraq, l’Afghanistan e gran parte del Sud del mondo. In sostanza, i giornalisti stanno cercando di affermare l’eccezionalismo e la virtù dell’Europa bianca esternalizzando i suoi mali al mondo “in via di sviluppo”. E ancora: “Ciò che Achebe ha scritto sull’Africa è vero per gran parte del mondo non bianco che «è per l’Europa come l’immagine è per Dorian Gray – un portatore su cui il padrone scarica le sue deformità fisiche e morali in modo che possa andare avanti, eretto e immacolato”.
Tuttavia si è visto come, spiega Gathara, tali “deformità morali” si siano concretizzate: basti pensare alla differenza di trattamento tra le persone non bianche che fuggono dall’Ucraina e quelle bianche: pur condividendo la medesima condizione di massima vulnerabilità, a quelle non bianche è stato spesso impedito di essere tutelate per via del colore della pelle, ai valichi di frontiera ucraini.
A questo proposito, una coalizione internazionale di avvocati e attivisti per i diritti umani, che comprende anche gli avvocati della famiglia di George Floyd, ha presentato un appello alle Nazioni Unite – che hanno già riconosciuto le violazioni avvenute alle frontiere – per la protezione delle persone rifugiate non bianche che fuggono dall’Ucraina; mentre la Foreign Press Association Africa (FPAA) ha pubblicato un comunicato in cui si è detta amareggiata per il comportamento dei colleghi, condannando i vari doppi standard fin qui menzionati e supportando invece un “fair coverage”, quindi una copertura mediatica giusta e rispettosa.
Infine, come ha spiegato il giornalista Daniel Howden di Lighthouse Reports, ben venga questa “riscoperta” della compassione e della solidarietà europea per chi fugge da guerre, ma non dovrebbe essere qualcosa che rimane confinato in questo contesto.
In un momento così drammatico, oltre a riflettere sulla tragicità della guerra che come sempre fa pagare ai civili il prezzo più alto, bisognerebbe riflettere anche sull’approccio etnocentrico ed eurocentrico con cui guardiamo alle migrazioni forzate. Solo così potremmo finalmente abbandonare il doppio standard con cui rispondiamo alle emergenze.