11 Settembre 2001: uno spartiacque per il rispetto dei diritti umani
C’è un tema che l’11 settembre del 2001 interessa direttamente gli attivisti dei diritti umani e i cultori dello stato di diritto, ossia la reazione sproporzionata e illegittima all’attentato, negli Usa e non solo. “Mai più niente sarà come prima”. Dopo l’attentato alle torri Gemelle abbiamo sentito per anni ripetere questa frase come un mantra. E così dopo l’11 settembre del 2001 i diritti umani sono stati rapidamente degradati a mera retorica. C’è chi nel nostro mondo, democratico e libero, ha pensato che dopo un tragico e vile atto terroristico si potessero avere le mani libere, guerreggiando di là e rompendo lo Stato di diritto di qua. Così a Guantanamo è stata codificata la detenzione arbitraria e non comunicata, da illustri ex opinionisti del mondo liberal è stata ritenuta legittima la tortura purché debole, è stata creata dal nulla la categoria del nemico combattente per sottrarsi alle regole del diritto penale interno (che li avrebbe definiti criminali) e del diritto internazionale umanitario (che li avrebbe definiti prigionieri di guerra).
L’11 settembre 2001 ha costituito uno spartiacque rispetto alle regole dello Stato di diritto, codificando il principio dell’eccezionalità. Il Patriot Act, voluto dal Congresso americano, ha nel titolo la sua finalità. È una legge infatti che ha ridotto i diritti e le garanzie nel nome della Patria. La lotta al terrorismo è il campo dove è più facile, e senza troppe resistenze, lasciare spazio all’eccezionalità. È l’ambito dove il diritto può perdere la faccia. Di fronte a rischi elevati per la sicurezza nazionale si formalizza lo scontro nel diritto tra chi difende la tesi razionale dell’universalità dei diritti umani e chi ha bisogno di una cornice giuridica al proprio sostanzialismo politico. Di fronte ad Al Qaeda o all’Isis una parte degli stessi operatori della giustizia e degli studiosi ha condiviso l’idea che non si potesse far finta di nulla e lasciare inalterato il sistema delle norme. E questo è un errore tragico. La democrazia si sarebbe rafforzata nel non stracciare le proprie regole.
È stata così avallata la proposta politica di natura emotiva che propone un doppio binario, o meglio un doppio diritto penale: uno per i terroristi (o i nemici del tempo) e uno (con le garanzie dello Stato democratico) per tutti gli altri. Il Patriot Act si è affidato a teorizzazioni ben poco fondate dal punto di vista concettuale. Il diritto penale del nemico teorizzato da Günther Jacobs è lo sfondo teoricamente fragile e insostenibile all’interno del quale si sono mossi i cultori del doppio binario giuridico e dell’eccezionalità. Il diritto penale in questo caso non sarebbe più uguale per tutti. La legalità penale varrebbe solo per alcuni. Per tutti gli altri, secondo Günther Jacobs e secondo chi ha tradotto in norme le sue teorie, si può arrivare a legittimare la pressione fisica, la detenzione non comunicata, la prigionia indeterminata, l’assenza di controllo giurisdizionale, la negazione del diritto alla difesa. Non è quella del diritto penale del nemico una teoria nobile e capace di giustificazioni che reggono a contro-argomentazioni di tipo logico. È una teoria artificiosamente costruita per dare giustificazione all’azione illegale del potere, così sancendo che non tutti gli esseri umani sono uguali davanti alla legge e di conseguenza non tutti hanno gli stessi diritti fondamentali. È la teoria che formalizza la disuguaglianza giuridica, al pari delle legge razziali. Come si può nel diritto penale interno affermare che un diritto, come ad esempio quello al giusto processo, sancito all’interno di tutte le Carte internazionali e Costituzioni interne, valga un po’ meno o addirittura niente per alcuni cittadini (o non cittadini) rispetto ad altri? Come si può affermare che una norma come ad esempio quella prevista all’articolo 27 della nostra Costituzione valga solo per una parte dei detenuti e non per tutti?
Questo è il secondo livello, il più sofisticato e potenzialmente pericoloso, dello scontro tra i cultori della real-politik e gli attivisti dei diritti umani e delle libertà civili. I primi hanno cercato, dopo l’11 settembre 2001, di usare il diritto per violare i diritti umani così mettendo a rischio la sopravvivenza della machinery internazionale sui diritti umani. I secondi si sono messi nelle mani delle Corti supreme, per salvare il diritto dalla sua perdita totale di senso e credibilità. Ecco, a vent’anni da quell’attentato, possiamo dire che la scelta di avallare tortura e detenzione arbitraria, nonché negare i principi di giusto processo e di presunzione di innocenza, non solo ha fatto venire meno la fiducia nella giustizia ma non ha neanche prodotto risultati in termini di lotta al terrore. La real politik non è mai una buona giustificazione per violare i diritti umani.
In copertina: World Trade Center, New York, United States foto di Jesse Mills via Unsplash.