Fase 2. Un appello al governo: “ripristinare il diritto a manifestare”
Questo articolo è stato pubblicato su il riformista del 12 maggio.
“I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. […] Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o incolumità pubblica”. Recita così l’articolo 17 della Costituzione. Uno dei tanti che, durante la prima fase di contrasto alla pandemia legata al diffondersi del Coronavirus, è stato di fatto sospeso. Una scelta che, nella fase 1, era probabilmente inevitabile affinché si potessero contenere i contagi e, di conseguenza, salvare le vite delle persone. Non abbiamo avuto mai, in questo periodo, la tentazione di fare ciò che è accaduto in alcuni stati americani dove persone, per giunta armate, sono scese in piazza – incitate dal presidente Trump – per protestare contro il lockdown deciso da alcuni governatori. Manifestazioni a carattere più che altro speculativo di chi ha dimostrato, nel tempo, di avere non grande considerazione per le libertà altrui.
Dal 4 maggio tuttavia siamo entrati in una seconda fase del contrasto al Covid-19. Numerose attività economiche hanno riaperto, è stata concessa la possibilità di spostamenti più ampi rispetto ai vincoli a cui siamo stati soggetti nei due mesi precedenti. Inoltre, dal 18 maggio, queste misure subiranno ulteriori allargamenti, altre attività economiche potranno riaprire e, giustamente anche i fedeli di tornare nei luoghi di culto.
Dunque ci chiediamo se abbia ancora senso che non si possa tornare a manifestare e, ancor di più, perché di questo non si stia parlando.
Negli ultimi giorni sono arrivate notizie terribili, per chiunque abbia a cuore i diritti umani, dalla Turchia e dall’Egitto, due paesi dove negli ultimi anni lo stato della democrazia è risultato fortemente compromesso. Tre artisti sono morti dopo una lunga detenzione e un lungo sciopero della fame. In Turchia a morire sono stati due musicisti di 28 e 39 anni della band Grup Yorum, mentre in Egitto a fare la stessa fine è stato un regista e fotografo di 24 anni. Per tutti, la colpa, era quella di opporsi alle politiche dei due capi di stato, Erdogan e Al-Sisi. Egitto, il paese dove nel 2016 è stato rapito, torturato e ucciso Giulio Regeni e dove, sempre pochi giorni fa, è stata prolungata la custodia cautelare nel carcere di Tora, quello dedicato ai detenuti politici, a Patrick Zaky, il giovane studente dell’Università di Bologna arrestato al suo ritorno nel paese perché attivista per i diritti lgbt. Vorremmo scendere in piazza, come abbiamo fatto in passato tante volte per protestare contro la repressione in corso e per fare pressioni sulle autorità di quei paesi affinché vengano rispettati i diritti umani, ma farlo, oggi, significherebbe violare le disposizioni previste nei vari Dpcm.
Sempre in queste settimane in Italia si parla con grande insistenza della possibilità di regolarizzare quell’esercito di braccianti, badanti, operai, che pur vivendo e lavorando nel nostro paese da anni, non hanno alcun riconoscimento e titolo di soggiorno. Un’opportunità per restituire dignità e diritti a queste persone che, tuttavia, si sta incontrando diverse opposizioni, a cui i braccianti, insieme con associazioni e organizzazioni sindacali impegnate al loro fianco da anni, stanno pensando di rispondere con scioperi e manifestazioni. Ma anche qui non si potrebbe, a meno che non si vogliano rischiare multe salate.
Eppure le manifestazioni, soprattutto quelle in luogo aperto, possono rispondere a tutti i requisiti per evitare che diventino luoghi di contagio. In primo luogo si è, appunto, all’aperto. Inoltre si può garantire il distanziamento sociale scegliendo piazze e strade ben più grandi rispetto alle previsioni sui partecipanti. Infine, proprio come ricorda l’articolo 17 della Costituzione, queste sono soggette ad un preavviso alle autorità che, dunque, hanno la possibilità di vagliare le richieste, analizzare i rischi e, di concerto con i promotori, mettere in campo tutte le iniziative necessarie a tutela della sicurezza e dell’incolumità pubblica.
Un paese dove il diritto a manifestare viene meno è un paese meno libero. Per questo ci appelliamo a governo e parlamento affinché sia avviato un confronto per individuare una data, che sia il più prossima possibile, e delle linee guida per promotori e autorità preposte, che rendano nuovamente effettive le disposizioni previste dalla Costituzione.