Ignoranza di Stato. Il difficile accesso alle informazioni
Il diritto di accesso alle informazioni è un punto di riferimento cardine per gli Stati democratici, riconosciuto a livello internazionale come un diritto umano legato alla libertà di espressione dell’individuo, a prescindere dal requisito di cittadinanza. Tale diritto è infatti sancito da diversi trattati e dichiarazioni sui diritti umani, nonché dalle sentenze di alcune corti internazionali, tra cui la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Il diritto di ottenere accesso e ricevere copia di tutti i documenti e le informazioni detenuti dalle amministrazioni (PA) è essenziale non solo affinché i cittadini possano pienamente partecipare al processo di formazione dell’opinione pubblica, ma anche al fine di controllare l’operato della PA e contrastare casi di corruzione.
Nel contesto italiano, l’unico strumento di accesso alle informazioni era la legge 241/1990, una legge estremamente restrittiva ed espressamente concepita per impedire il controllo da parte dei cittadini dell’operato della PA. Dal 2013 poi qualcosa è cambiato. Con l’approvazione del Decreto Trasparenza da parte del Consiglio dei Ministri nel marzo 2013 (33/2013), l’Italia iniziava ad estendere il diritto dei cittadini ad accedere a informazioni detenute dalle PA, introducendo una serie di obblighi di pubblicazione sui siti web delle PA. Il Decreto Trasparenza non sanciva però “l’accesso generalizzato” che consente a chiunque di chiedere qualsiasi documento, nonché uno dei punti cardine di un Foia a tutti gli effetti. Un “vero FOIA”, capace di ovviare a molte delle criticità presenti nella versione approvata nel 2013 e di introdurre “l’accesso generalizzato”, è nato con le modifiche apportate dal decreto 97, un traguardo possibile anche grazie alle pressioni che Foia4Italy – la rete che riunisce oltre 30 organizzazioni della società civile e di cui fa parte anche CILD – ha attuato per due anni su Governo e Parlamento.
Alla fine del 2016, il nuovo Foia ha fatto compiere un balzo storico all’Italia nel Right to Information Rating, la graduatoria internazionale dell’accesso alle informazioni stilata in base all’analisi delle leggi sulla trasparenza di oltre 100 Paesi, che è passata dall’essere tra i dieci peggiori alla 55esima posizione. Si tratta però di una misura ancora sulla carta. L’Associazione Diritto di Sapere ha condotto un monitoraggio sull’applicazione del Foia italiano, al fine di analizzare come le amministrazioni rispondono alle richieste di accesso effettivamente. I risultati sono stati pubblicati nel report Ignoranza di Stato, titolo che fa trapelare il quadro generale in materia di accesso alle informazioni detenute dalle PA italiane.
Il Rapporto Ignoranza di Stato
La metodologia applicata da Diritto di Sapere per raccogliere i dati del rapporto ha permesso di analizzare non solo l’efficacia e l’efficienza delle nuove procedure introdotte dalla riforma del Decreto Trasparenza, ma anche quanto sia cambiata l’accessibilità delle informazioni detenute dalle PA. A partire dal 23 dicembre 2016 e fino al 28 febbraio 2017 i partecipanti al monitoraggio hanno spedito 800 richieste di accesso generalizzato via email o PEC (posta elettronica certificata), nel rispetto delle indicazioni riportate dalle linee guida dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac). Al monitoraggio hanno preso parte 56 partecipanti, tra cui comuni cittadini (15), giornalisti (18) e attivisti di associazioni (23), che hanno elaborato le richieste con il supporto di Diritto di Sapere, utilizzando dunque il Foia per approfondire e far chiarezza su alcuni temi che interessano loro da vicino o che stanno a cuore del loro operato. Una parte delle richieste è stata inoltre elaborata direttamente da Diritto di Sapere, includendo anche richieste di accesso che tre anni fa erano già state inviate per realizzare il rapporto Silenzio di Stato o altri studi in cui, utilizzando le richieste di accesso, l’Italia è stata oggetto di analisi. Data l’eterogeneità dei partecipanti, i temi delle richieste sono assai variegati – tra i più frequenti, sanità (48%), spesa pubblica (18%) e migranti (15%), ma anche diritti LGBTI/Rom/disabili (5%) e ambiente (4%). La tipologia di PA a cui sono state inviate le richieste è quindi legata alle tematiche e alle informazioni scelte dai partecipanti al monitoraggio. Diritto di Sapere ha però cercato di variare le tipologie di PA destinatarie e la loro distribuzione geografica, al fine di fornire un’immagine quanto più ampia e fedele possibile dell’applicazione del Foia in Italia.
I risultati del monitoraggio
I principali risultati sono riassumibili in 3 principali evidenze:
- Sette richieste su dieci non hanno risposta. Il silenzio amministrativo è stato eliminato ma le PA continuano comunque a tacere: ben il 73% delle richieste Foia non ha ricevuto risposta nei 30 giorni previsti dal decreto. Anche considerando le risposte arrivate in ritardo fino a un tempo complessivo di 45 giorni, la frazione di PA che ignora le richieste si attesta al 53%. La maggior parte delle PA italiane sembra dunque considerarsi in diritto di ignorare le domande dei suoi cittadini e di potere andare contro una legge che li obbliga a fornire una risposta – tra le amministrazioni più allarmanti si contano ospedali, Asl, e Ministeri, ma anche Comuni e Prefetture. La mancata risposta delle PA a una richiesta di accesso non solo è una violazione di un diritto umano, ma è anche in contrasto con i principi della democrazia: l’obbligo di una risposta al cittadino permane, a prescindere dall’effettivo possesso dell’informazione e dalle eventuali eccezioni all’accesso in cui quell’informazione può ricadere. La conseguenza del silenzio è quella di allontanare il cittadino dalle istituzioni, limitando la sua capacità di partecipare effettivamente e attivamente al processo di decisione pubblica. Inoltre, il silenzio, i ritardi e i dinieghi permettono alle PA di ignorare la legge e renderla inefficace, con la conseguenza di ostacolare ma soprattutto disincentivare il cittadino ad esercitare il diritto di accesso.
- Troppi dinieghi illegittimi. Il decreto trasparenza definisce una serie di limiti ed eccezioni all’accesso generalizzato che rappresentano gli unici motivi di diniego per le PA. Tuttavia il 35% dei rifiuti rilevati nel corso del monitoraggio appartiene alla categoria “dinieghi irregolari” in cui l’accesso è stato negato per mancanza di motivazione o utilizzando eccezioni non previste dal Decreto Trasparenza. In diversi casi i responsabili del procedimento hanno inoltre trattato la richiesta secondo la precedente legge sull’accesso (241/1990) o considerandola come una richiesta di accesso civico, ovvero sugli obblighi di pubblicazione. Si tratta di chiari segnali di allarme che rivelano come la nuova norma sia ancora poco conosciuta e rispettata dalle PA, dato che rivela inoltre la necessità di investire risorse nella formazione dei dipendenti pubblici.
- Se ben applicato il Foia funziona. Sebbene ci siano ancora grossi problemi di applicazione, il rapporto mette in luce che il principio “dell’accesso generalizzato”, se correttamente interpretato, permette di ottenere alcune tipologie di documenti, dati e informazioni fino a pochi mesi fa inaccessibili per i cittadini con la legge 241/1990. È dunque interessante notare come tra le richieste mandate in passato con la legge 241/1990 e riproposte in questo monitoraggio, quelle inviate da Access Info Europe sui “centri di detenzione per migranti” e la “gestione delle proteste da parte delle forze di Polizia” che prima non avevano ricevuto alcuna risposta hanno, invece, avuto riscontro dalle PA grazie al Foia.
Le risposte e le implicazioni del monitoraggio:
Le poche risposte ricevute mettono in luce aspetti interessanti sull’applicazione del Foia:
- Tra le richieste che hanno ricevuto risposta nei 30 giorni previsti, il 59% delle PA ha garantito l’accesso a tutte le informazioni richieste – in particolare le Regioni (63% di risposte soddisfacenti) e i Comuni (76%). Aggiungendo le richieste classificate come soddisfacenti (ovvero in cui è stato ottenuto almeno l’80% delle informazioni) si arriva a un totale del 63%.
- È necessario però notare che nel 15% dei casi le PA non hanno fornito alcun riscontro su uno o più punti della richiesta, un dato che rivela che anche quando la PA decide di rispondere, non significa che la richiesta verrà valutata nella sua interezza. Ignorare letteralmente parte della richiesta costituisce comunque una violazione del diritto di accesso
A fronte dei principali dati emersi, in particolare in riferimento alla percentuale dei silenzi amministrativi (73%) e dei dinieghi illegittimi (35%), il titolo Ignoranza di Stato non potrebbe essere più appropriato. Tuttavia, per quanto allarmante, il quadro che emerge dal monitoraggio dà anche una speranza di miglioramento a detta di Diritto di Sapere – come dimostrato dalle risposte ricevute a quelle richieste presentate e rigettate nel 2013 perché basate sulla legge 241/1990. Se applicato con meno discrezionalità da parte delle amministrazioni, nei prossimi anni il Foia potrebbe davvero contribuire a rendere l’Italia un po’ più trasparente. A tal fine però, pare necessario un investimento che garantisca un’adeguata formazione dei dipendenti pubblici, requisito basilare per la corretta applicazione e per il rispetto degli obblighi sanciti dal Foia – le tempistiche di 30 giorni, le motivazioni di diniego, indicazioni sulle modalità con cui inviare una richiesta di accesso. Infine, data la novità del Foia italiano, un miglioramento della norma dovrebbe essere preso in considerazione. È dunque auspicabile una riforma finalizzata a creare un ente supervisore con poteri sufficienti a formare i dipendenti delle PA, a promuovere il diritto d’accesso alle informazioni, ricevere reclami sulla gestione delle richieste e imporre sanzioni alle PA per garantire il rispetto della norma.
A cura di Vittoria Zanellati