La questione dei rimpatri (in)volontari

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Di Oiza Q. Obasuyi

Il Consiglio di Stato ha accolto un appello da parte delle associazioni Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) e Spazi Circolari sulla legittimità dei cosiddetti “rimpatri volontari”. In particolare il TAR dovrà fissare un’udienza per verificare la legittimità del finanziamento da 3 milioni di euro del rimpatrio volontario di soli cittadini tunisini – il cui Paese di origine è in stretta collaborazione con l’Italia per le operazioni di esternalizzazione delle frontiere e gestione dei flussi migratori, per l’appunto. Tuttavia, il cosiddetto “rimpatrio volontario” rappresenterebbe un ossimoro e il dibattito è ancora aperto su quanto quest’ultimo dipenda effettivamente dalla volontà dei cittadini e delle cittadine straniere interessate.

Cosa sono i rimpatri volontari?

I rimpatri volontari, secondo quanto descritto dall’Oim (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni delle Nazioni Unite), sono programmi di ritorno volontario assistito che “mirano a sostenere i migranti che non possono o non vogliono rimanere nei paesi ospitanti o di transito e desiderano tornare nei loro paesi di origine”. Tra i principali beneficiari dell’assistenza al rimpatrio e alla reintegrazione dell’Oim troviamo persone migranti bloccate nei paesi ospitanti o di transito, persone migranti con o prive di documenti, persone richiedenti asilo che decidono di non far valere le loro richieste o che risultano non aver bisogno di protezione internazionale. 

Sebbene anche tra le linee guida del Coe (Consiglio d’Europa) sulle alternative al trattenimento nei Cpr e per la protezione delle persone migranti dalla detenzione arbitraria (in virtù dell’art. 5 della Cedu sull’inviolabilità della libertà personale) sia presente il rimpatrio volontario – sotto specifiche circostanze – lo Special Rapporteur sui diritti umani del delle Nazioni Unite ha evidenziato che la “volontarietà” di questi ultimi è da considerarsi inesistente nel caso di una mancanza di decisione che sia priva di coercizione e consapevolezza. Infatti, se si è già in una condizione di detenzione, risulta impossibile considerare il rimpatrio come una vera e propria “alternativa” dato che tale decisione non dipenderebbe comunque dalla persona detenuta. Inoltre, anche l’International Law Commission (Ilc) delle Nazioni Unite ha definito disguised expulsion (espulsioni mascherate), i casi in cui queste ultime siano “incentivanti” per un ritorno “presumibilmente volontario”. Nello specifico, l’Ilc evidenzia che “per espulsione mascherata si intende la partenza forzata della persona straniera da uno Stato derivante dalle azioni o omissioni del Stato, o da situazioni in cui lo Stato appoggia o tollera atti commessi dai suoi cittadini al fine di provocare la partenza di individui dal suo territorio”. In tali misure quindi la volontarietà è totalmente assente e non lasciano alla persona straniera alcuna scelta, ciò è dovuto anche alle politiche adottate da diversi stati europei per il controllo dell’immigrazione.

La Tunisia è un paese sicuro?

Come scrive l’Asgi, dal 2021 l’Italia finanzia il progetto “Potenziamento dei Meccanismi di Risposta e Assistenza ai Migranti Vulnerabili in Tunisia”, gestito dall’Oim, e ha come scopo quello di sostenere le persone migranti che vivono in situazioni di precarietà e vulnerabilità. Tuttavia, il supporto finanziario destinato principalmente all’assistenza umanitaria, nei due anni successivi, sottolinea Asgi, è stato prevalentemente destinato a ben altri obiettivi, con un importo di oltre 6 milioni di euro: “si è assistito a un trasferimento della maggior parte delle risorse verso i programmi di rimpatrio cosiddetto volontario”.

Benché dal febbraio 2023 il governo tunisino guidato dal presidente Kais Saied abbia condotto una campagna apertamente razzista contro le persone migranti nere provenienti dai paesi dell’Africa Subsahariana – rievocando la tipica propaganda di estrema destra e suprematista su presunte sostituzioni etniche – l’Italia continua a mantenere la Tunisia nella lista dei paesi sicuri per il rimpatrio (dove per “sicuro” si intende un paese dove vigono un sistema democratico e una situazione politica generale in cui non sussistono atti di persecuzione e altre violazioni che possono mettere in pericolo la vita e i diritti fondamentali). Da oltre un anno ormai è evidente che le politiche migratorie di Kais Saied vadano in direzione opposta: la campagna di persecuzione nei confronti delle persone migranti nere ha portato all’espulsione nel violenta nel deserto che separa il paese dall’Algeria da parte delle autorità tunisine. 

Le accuse di espulsioni e violazioni dei diritti contro le persone migranti dell’Africa sub-sahariana sono continuate per tutta la seconda metà del 2023, con Ong come Human Rights Watch che hanno accusato le autorità tunisine di abusi sistematici contro rifugiati, richiedenti asilo e persone migranti – si ricordi il caso della famiglia di Mbengue Nyimbilo Crépin “Pato” (composta dalla compagna Fati Dosso e dalla figlia Marie) deceduta poiché priva di cibo e acqua nel deserto, dopo essere stati respinti violentemente dalla Tunisia. Bisogna sottolineare che questo modus operandi non è semplicemente frutto della propaganda di Saied, ma è sostenuto e finanziato dall’Unione Europea (Ue) stessa, con particolare interesse dell’Italia. Ricordiamo infatti che nel luglio 2023 la presidente Giorgia Meloni e la presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen hanno incontrato il presidente Saied a Tunisi per siglare un Memorandum d’Intesa. Tale Memorandum prevede lo stanziamento di un miliardo di euro alla Tunisia che, oltre a costituire un aiuto di tipo economico, prevederebbe anche il supporto alle operazioni di contrasto dei flussi migratori. Si tratta quindi dell’ennesimo caso di esternalizzazione delle frontiere, senza tener conto delle violazioni dei diritti fondamentali delle persone migranti che attraversano i confini. 

Detenzione in Cpr e rimpatri sistematici

L’Ue e l’Italia sono ben consapevoli delle gravi violazioni dei diritti umani che accadono giornalmente dentro e al di fuori dei confini tunisini, tuttavia la priorità viene data ai rimpatri: non è un caso che le persone migranti tunisine siano tra coloro che hanno una “corsia preferenziale” per i rimpatri immediati (quasi il 70% dei rimpatri riguarda infatti solo cittadini tunisini), in virtù degli accordi dell’Italia con il paese nordafricano. Come avevamo evidenziato nel rapporto Buchi Neri del 2021, “la celerità con cui vengono effettuati tali rimpatri ha portato a denunciare gravi violazioni dei diritti dei cittadini tunisini transitati nei CPR”, come: 

  • la violazione del diritto di essere informati sulla possibilità di richiedere asilo;
  • la prassi della mancata formalizzazione della domanda di protezione internazionale
  • nelle ipotesi più rare di formalizzazione della domanda di protezione internazionale – le poche garanzie offerte alle persone richiedenti asilo tunisine sottoposti ad una procedura accelerata che comporta una significativa contrazione del diritto di difesa.

Al contrario di quanto sostenuto dall’Italia, già in tre sentenze il Tribunale di Firenze ha affermato che la Tunisia non è un paese sicuro, mentre il Tribunale di Catania ha invalidato il c.d Decreto Cutro in materia di detenzione in Cpr, poiché in contrasto con le norme Ue: in particolare, si tratta del punto secondo cui le persone provenienti da un paese considerato “sicuro”, per evitare di essere detenute, sono costrette a pagare una somma di quasi 5 mila euro. Anche in questo caso il ricorso accolto dal Tribunale di Catania riguardava un cittadino tunisino. 

Un sistema disumano 

A fronte di un sistema simile, risulta quindi evidente che la “volontarietà” del ritorno al proprio paese di origine risulta del tutto assente. Il fatto che il Consiglio di Stato abbia accolto il ricorso di Asgi e Spazi Circolari è positivo e getta una luce sulle contraddizioni dei c.d rimpatri volontari.

E’ quindi evidente che la coercizione dovuta alle politiche discriminatorie e securitarie targate Ue-Italia non diano effettivamente spazio ad alternative. In questo senso, quindi, parlare di “rimpatri volontari” sarebbe falso in quanto non esisterebbero altre opzioni se non l’espulsione, oltre a dover trascorrere del tempo indefinito in luoghi di detenzione dove non esistono garanzie costituzionali di base e dove ogni giorno si consumano gravi violazioni dei diritti fondamentali.

 

Foto copertina via Twitter/Asgi