La comunicazione istituzionale e le politiche sulle droghe

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Il Dipartimento per le Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio ha lanciato due video a distanza di pochi mesi con toni e argomenti ancorati ad un approccio ideologico sulle droghe fermo agli anni ’90.

Prima era stata la volta di quello che, all’epoca, era ancora l’allenatore della nazionale di calcio italiana, Roberto Mancini. Era il mese di giugno quando venne pubblicato lo spot “contro la droga”.

Pochi mesi dopo, ed eccoci con un nuovo spot. Stavolta niente volti noti, ma solo due ragazzi.

Due spot diversi, ma uguali.

L’obiettivo? Lo abbiamo capito, è quello di disincentivare il consumo di sostanze, soprattutto tra i più giovani.

Il risultato? Pessimo.

Per una serie di ragioni:

  1. Innanzitutto il tone of voice, paternalistico. Generalmente c’è sempre qualcuno che ti spiega come si dovrebbe vivere, come ti dovresti comportare, quali sono le scelte giuste che dovresti fare e quelle sbagliate da evitare. E, se nel primo caso era Roberto Mancini che, anagraficamente, aveva tutte le caratteristiche per incarnare quel paternalismo, nel secondo si è scelto invece un giovane ragazzo che, però, parla e dice cose da adulto. Ad esempio quel “L’ho visto con i miei occhi”, sul passare dalle canne ad altre droghe, suona stonato detto da chi avrà, si e no, 14–15 anni. Viene da chiedersi, ma cosa puoi aver visto?
  2. Collegato al tema del tone of voice c’è quello del target. Mi sono chiesto a chi parlino questi video. Agli adolescenti? O ai loro genitori? Sembrerebbe ai primi. Ma allora bisognerebbe chiederci se il tono paternalistico possa funzionare con loro. Tutti noi siamo stati adolescenti e, forse, tutti noi abbiamo pensato frasi del tipo “la vita è mia e ci faccio quello che voglio”. Crescendo si capisce che c’era un certa stupidità, ma si dovrebbe anche capire che l’adolescenza è probabilmente il periodo giusto per essere stupidi e che la cosa più giusta che si possa fare è una seria opera di riduzione del danno, che non riguarda le droghe, ma tutti gli aspetti della vita in una fase in cui le persone iniziano a conoscere il mondo, a conoscere se stessi, a sperimentare e sperimentarsi.
  3. Il problema del target però non è solo intergenerazionale, ma anche intragenerazionale. Perché tiene insieme chi non ha ancora mai fatto uso di sostanze e chi sì, anche in maniera abituale. Tenere insieme “la droga” è uno sbaglio enorme, perché le sostanze sono tante e hanno effetti molto distanti tra loro. Per un ragazzo che fuma abitualmente marijuana, che ne prova piacere, che non avverte dipendenza (del resto la cannabis non ne dà, quantomeno da un punto di vista fisico), sentirsi dire che le droghe fanno male, tutte, può essere controproducente, perché felice della sua esperienza “vera e positiva” [cit. Roberto Mancini](che è una realtà, altrimenti chi userebbe sostanze?) può essere tentato di provarne anche altre.
  4. Il messaggio. Questo è il problema forse più grande di questi spot. Il tema dell’uso di sostanze è trattato sempre e solo in maniera patologica. “Tutte le droghe fanno male, ma se ne può uscire” diceva Roberto Mancini. “Butta la droga, non la vita” dice invece il ragazzino del secondo video. Eppure l’utilizzo di droghe è patologico solo in pochi casi. Secondo alcune indagini Istat in Italia ci sono circa 6–7 milioni di consumatori (la maggior parte di cannabis). Le persone con una dipendenza certificata erano, nel 2020, circa 125.000. Ad usare sostanze, infatti, sono anche professionisti (avvocati, medici, architetti…). Sono anche coloro che provengono da fasce sociali alte. Che ne fanno un uso ricreativo, più o meno occasionale, più o meno abituale, senza che questo sia in alcun modo problematico o patologico. Lo fanno perché ne hanno piacere. Così come hanno piacere a farlo milioni di consumatori, senza che questo intacchi minimamente la propria vita professionale o relazionale.

Visti gli aspetti problematici comuni ai due video ci sono altri aspetti che vale la pena approfondire. Innanzitutto l’utilizzo di un dato che si fa nel secondo, quello dei ricoveri. Se infatti ci rapportiamo alla pericolosità delle sostanze, al numero di ricoveri, patologie, morti… beh, viene difficile chiedersi perché ognuno di noi possa entrare in un bar e chiedere un alcolico (vino compreso, che ne dica il Ministro dell’Agricoltura Lollobrigida scagliandosi contro gli irlandesi).

Ormai qualche anno fa, nell’ambito della campagna Non me la spacci giusta, avevamo lavorato a questo video attraverso il quale ci chiedevamo proprio perché non trattare la cannabis come facciamo con l’alcol: legalizzazione, regolamentazione, informazione, riduzione del danno.

Non sappiamo quale sia l’agenzia (o le agenzie) che ha prodotto questi video. Ma in realtà non gliene faremmo una colpa. La comunicazione, da sempre, è al servizio di qualcosa e non viceversa. Il tema, quindi, sta proprio nell’approccio che l’attuale governo ha sul tema droghe. Un approccio ideologico rimasto bloccato alla fine degli anni ’80, primi anni ’90 del secolo scorso. Si continua a pensare che il mondo “drug free” ipotizzato da Richard Nixon negli anni ’70 sia un orizzonte praticabile. Mentre la vera sfida di oggi dovrebbe essere quella di parlare correttamente delle sostanze, farle conoscere, spiegarne gli effetti. Accettare il fatto che vengono consumate e facendo in modo che questo consumo sia sempre più attento, sempre più informato, sempre più consapevole. Lavorando per la riduzione del danno. Quello che, più o meno, già facciamo per l’alcol e le sigarette.