“L’emergenza” come giustificazione della repressione
di Oiza Q. Obasuyi
Il 6 settembre il presidente della Provincia autonoma di Bolzano Arno Kompatcher, al Viminale, ha incontrato il Commissario all’”emergenza migranti” Valerio Valenti. Al centro dell’incontro il tema della “sicurezza dei cittadini” e l’idea di costruire un nuovo Cpr in Trentino Alto-Adige. Questo incontro arriva in un momento in cui la parola “emergenza” associata alle migrazioni appare in gran parte delle testate giornalistiche mainstream, legittimando anche drastici interventi del Governo che vanno a discapito dei diritti delle persone migranti.
“L’emergenza” creata dal Governo
Come ha già denunciato l’Asgi, è il Governo stesso che crea l’“emergenza migranti” dal momento che, ad esempio, nonostante gli appelli del Tavolo Immigrazione, non applica un piano di accoglienza adeguato. L’ultima circolare emessa dal Viminale prevede di disporre la cessazione immediata delle misure di accoglienza per coloro che sono riconosciuti titolari di protezione internazionale e speciale, senza aspettare il rilascio del permesso di soggiorno e senza provvedere al loro trasferimento nel sistema Sai (Sistema di accoglienza integrata). In sostanza, “migliaia di titolari di protezione internazionale o speciale stanno per essere espulsi dai Cas (Centri di accoglienza straordinaria) e mandati per strada: in questa direzione si stanno muovendo le prefetture”. Tale prassi, oltre a risultare del tutto illegale, non è altro che la diretta conseguenza degli effetti del Decreto Cutro che prevede l’esclusione delle persone richiedenti asilo dai Sai e il taglio ai servizi erogati dai centri governativi per richiedenti asilo (come l’apprendimento della lingua italiana, l’assistenza psicologica e legale). “[…]Chiederemo al tribunale amministrativo l’accesso immediato per queste persone al sistema di accoglienza ordinario (Sai). Vogliamo, inoltre, che sia fatta chiarezza sul meccanismo di assegnazione dei posti all’interno del sistema di accoglienza, che non è chiaro e trasparente”, afferma Giovanna Cavallo, operatrice presso lo sportello di assistenza legale Legal aid di Roma, intervistata da Gaetano De Monte, giornalista di Domani. E ancora “a Roma i tempi che intercorrono tra il riconoscimento della protezione e il rilascio del permesso di soggiorno da parte della questura possono raggiungere anche i dodici mesi, e una persona, nel frattempo, non può finire in strada”. A ciò si aggiunge l’estensione delle casistiche a cui può essere esteso il regime di detenzione nei Cpr, ovvero, come spiega il Cir (Consiglio Italiano per i Rifugiati), nello svolgimento delle procedure di frontiera – nei casi di mancata consegna dei documenti – e delle persone richiedenti protezione internazionale sottoposte alla procedura di Dublino.
La repressione come risposta
La risposta alla situazione di caos e quindi di violazione dei diritti delle persone migranti generata dall’assenza di qualsiasi piano gestionale, è ulteriore repressione, criminalizzazione ed esclusione sociale delle persone migranti, a maggior ragione se prive di documenti, nei centri di detenzione. Sul Cpr di Caltanissetta, ad esempio, sono state presentate due interrogazioni parlamentari per via del boom di psicofarmaci somministrati alle persone detenute: “non sembra neanche di stare in Italia – racconta Bacary che lì ci è finito per tre giorni e […] ha raccontato quello che ha visto, quello che ha vissuto in un centro in cui tutto è cemento, persino i letti non sono che materassi appoggiati su blocchi grigi. Le docce, loculi scavati nei muri. Tutto in quel centro, mormora, serve a farti dimenticare che sei un essere umano. Io non ero una persona, ero un numero, mi chiamavo 35”, riporta la giornalista Alessia Candito su Repubblica. E ancora: “i ragazzi che ho visto lì diventavano degli automi”, spiega Bacary. Denunce? Nessuna. Chi viene trattenuto ha spesso una richiesta di asilo o un procedimento in corso, teme che possa essere pregiudicata, spiega Ilenia Grottadaura, delegata regionale Asgi. “In passato – ricorda – uno dei ragazzi ha denunciato di essere stato picchiato ed è stato accusato di aver mentito. La sua denuncia è stata archiviata, il procedimento contro di lui è in corso”. Le condizioni inumane e degradanti all’interno dei Cpr sono ormai note da tempo: le gravi violazioni dei diritti ai danni delle persone detenute vengono documentate quotidianamente. Si passa dall’assenza di un’assistenza sanitaria adeguata all’impossibilità di ottenere assistenza legale, sotto un regime economico privatizzato gestito da grandi multinazionali e aziende che traggono profitto dalla gestione dei centri di detenzione amministrativa, come abbiamo riportato in “L’Affare Cpr”.
Un piano fallimentare
Per far fronte a questo contesto, il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha annunciato che presto verrà adottato un nuovo decreto immigrazione, puntando sui rimpatri più rapidi. Tuttavia, come scrive la giurista Vitalba Azzolini su Domani: “[…]con i nuovi Cpr si continuerà ad alimentare la permanenza degli stranieri irregolari in luoghi più degradati rispetto alle prigioni”. L’ultimo incendio che è divampato per via di una protesta all’interno del Cpr di Macomer è l’ennesimo segnale che dimostra l’insostenibilità di un sistema discriminatorio, escludente e che continua a prediligere la repressione rispetto a un cambiamento di rotta sulle migrazioni, mettendo al centro la tutela dei diritti fondamentali.
Foto copertina via Twitter/Melting Pot Europa