La sicurezza reale, l’insicurezza percepita

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Ancora una volta il tema della sicurezza è al centro della campagna elettorale. L’ex ministro dell’Interno Salvini, che neanche troppo velatamente ha fatto capire di voler tornare al Viminale, promette un nuovo decreto sicurezza. Da ministro ne aveva varati ben due.

Eppure in Italia non c’è un allarme sicurezza. E ce lo dicono tutti i dati, compresi quelli del Viminale, diramati come ogni anno il giorno di Ferragosto.

I reati, è vero, sono in salita rispetto a quelli registrati tra l’estate del 2020 e quella del 2021. Ma quel calo era frutto delle limitazioni varate nel periodo pandemico in risposta alle ondate di contagi. Vincoli alla mobilità, coprifuoco e diversi altri provvedimenti che avevano giocoforza portato anche a ridurre le possibilità di compiere reati. 

Dunque, il dato con cui dovremmo fare i conti è quello del periodo pre-pandemico. E rispetto a quelli i reati segnano quella diminuzione che ormai puntualmente si registra negli ultimi anni.

Dal 1 agosto 2021 al 31 luglio 2022, in Italia sono stati commessi 2.116.479 reati. Gli omicidi sono stati 319, le rapine 24.644 e i furti 902.014.

Come ricorda Il Foglio, nel 1991 erano avvenuti 1918 omicidi. Nel 2008 erano 611, nel 2012 già cento in meno e oggi sono 319. Prendendo in esame le rapine: in 10 anni sono diminuite quasi del 50 per cento (da 44.228 a 24.644). Nello stesso periodo i furti sono stati un terzo in meno (da 1.549.008 a 902.014). L’andamento generale della delittuosità ha visto quindi una diminuzione di 800.000 reati: nel 2012 erano 2.867.322 e oggi sono 2.116.479.

L’Italia, per quanto riguarda gli omicidi volontari, in Europa è il secondo paese dove se ne commettono meno. Solo in Slovenia si è più sicuri. Inoltre l’Indice della pace globale 2022 sviluppato dall’Institute for Economics and Peace colloca il nostro paese al 32esimo posto (su 163) nel mondo per sicurezza.

Nonostante questi dati la percezione pubblica sul tema è completamente diversa. 

A dimostrarlo anche una storia instagram di Chiara Ferragni che, solo qualche giorno fa, scriveva: “Sono angosciata e amareggiata dalla violenza che continua a esserci a Milano. Ogni giorno ho conoscenti e cari che vengono rapinati in casa, piccoli negozi al dettaglio di quartiere che vengono svuotati dell’incasso giornaliero, persone fermate per strada con armi e derubate di tutto. La situazione è fuori controllo. Per noi e i nostri figli abbiamo bisogno di fare qualcosa. Mi appello al nostro sindaco Beppe Sala”.
In realtà anche i dati su Milano dimostrano l’esatto opposto, ovvero di una criminalità in diminuzione. 

In questa divergenza tra sicurezza reale e insicurezza percepita possono giocare un ruolo importante anche i mezzi di comunicazione. Questi hanno, infatti, un grande potere e una grande responsabilità. Possono influenzare la percezione di milioni di persone che quotidianamente ne fruiscono costruendo, appunto, una percezione dei fenomeni che non ha riscontri nel reale. 

In Italia, sui media, le notizie di criminalità e di cronaca nera trovano maggiore spazio di quanto non avvenga in altri paesi, così come riportato anche da Data Room del Corriere della Sera.

Un rapporto Demos Unipolis del 2010, fotografava una situazione simile relativamente ai telegiornali delle principali reti televisive pubbliche di alcuni paesi europei. Con il Tg1 che rispetto ai suoi omologhi di Spagna, Francia, Gran Bretagna e Germania, trattava con una frequenza molto maggiore notizie di questo tipo. Nelle tre settimane di osservazione, infatti, il Tg pubblico tedesco Ard, aveva solo 3 notizie sulla criminalità, mentre nelle stesse settimane il telegiornale di Rai 1 conteneva 64 notizie di reati, ovvero una media di 3 notizie per edizione.

Quello che suggeriva quello stesso rapporto era inoltre che i telegiornali italiani (ma il discorso si potrebbe allargare a qualsiasi altro strumento di informazione, ndr), si distinguono dagli altri per almeno due aspetti: il primo è la «densità», cioè la presenza costante di notizie “criminali”, con una particolare attenzione per i reati “comuni”; il secondo è la “serialità”, cioè come alcuni crimini, di notevole impatto, divengano ricorrenti nei palinsesti dei telegiornali e rimbalzino nelle altre trasmissioni, trattati e rielaborati come storie, racconti popolari, veri e propri noir.

Se le persone ogni giorno sono esposte ad un flusso di notizie che parla di crimini e reati, è così plausibile che pensino di vivere in una società ben più pericolosa di quanto non sia. Non stupisce dunque quanto evidenziato da una ricerca della Fondazione Unipolis, Censis sulla percezione della sicurezza tra i cittadini italiani. Secondo questa, infatti, oltre i ⅔ dei cittadini pensa che i crimini siano in crescita negli ultimi 5 anni quando, come dimostrano i dati che abbiamo riportato in apertura di questo articolo, i dati ufficiali ci dicono l’esatto opposto.