Nick Ponzio e il perché di una nuova legge sulla cittadinanza
Se cercate Nick Ponzio su Google trovate alcuni risultati relativi a giornali italiani che in queste ultime ore ne hanno parlato. Infatti Nick Ponzio è un atleta della nazionale italiana che, ai mondiali di atletica che si stanno tenendo in Oregon in questi giorni, è arrivato nono nella specialità – la sua specialità – del lancio del peso. Per un solo centimetro ha sfiorato la finalissima che gli avrebbe dato la possibilità di competere anche per una medaglia.
Ma non è di sport e meriti sportivi che vogliamo parlare in questo caso, quanto del fatto che, come riporta La Stampa (uno dei giornali che in queste ore sta parlando dell’atleta italiano), Nick Ponzio non parla una parola della nostra lingua. Ha infatti potuto ottenere la cittadinanza circa un anno fa – e quindi il diritto a gareggiare con la nazionale italiana – grazie al fatto che il suo bisnonno fosse originario di un paese della provincia di Trapani. Ed è proprio di cittadinanza che vogliamo parlare. La legge del 1992, ancora in vigore, nasce come una legge che guardava più alla possibilità di riconoscere a chi aveva parenti italiani (anche lontani a livello generazionale) la possibilità di ottenere quella italiana. Nel 1991 la nave Vlora arrivata nel porto di Bari ci stava dicendo che qualcosa nel nostro paese stava per cambiare, ma i decisori politici, nel varare quella legge, non sembravano preoccuparsene. Così quelle norme nascono in parte già vecchie e oggi risultano vetuste, obsolete, totalmente inadatte a rispondere hi bisogni delle persone sì, ma anche del paese stesso.
La storia di Nick Ponzio è un po’ un emblema di questo.
Se nasci in Italia, o se in Italia arrivi da piccolo, se qui cresci, frequenti le scuole, coltivi amicizie e affetti, se nel paese investi le tue capacità e competenze, se l’italiano è la lingua con la quale comunichi, leggi, scrivi, devi aspettare i 18 anni prima di poter richiedere la cittadinanza. E, se tutto fila liscio, nell’arco di qualche anno la ottieni. Se tutto fila liscia… Cosa che raramente succede, talmente tanti sono gli aggravi burocratici che vengono posti per il suo ottenimento.
Se invece nasci in un altro paese e magari in Italia non ci hai passato neanche un giorno della tua vita, se non parli neanche una parola di italiano, se hai tutto sommato un disinteresse del paese, ma sai che il passaporto italiano è una chiave che apre molte più porte di tanti altri passaporti, e hai un avo – che magari non hai neanche conosciuto perché già morto quando sei nato – prego, ecco per te la cittadinanza.
E in quest’ultimo fatto non è detto che ci sia nulla di sbagliato. Intendiamoci. Nessuno dice che non debba essere così e che queste persone non debbano ottenere la cittadinanza.
Qui siamo più per una addizione che per una sottrazione.
C’è davvero bisogno di riformare la legge del 1992 per dare la possibilità ai primi, a quelli che in Italia nascono o arrivano da piccoli – ma anche da adulti e nel paese si stabiliscono definitivamente, lavorando e contribuendo alla sua crescita e al suo sviluppo – di ottenere la cittadinanza in maniera più rapida. Renderli uguali ai loro compagni di scuola o ai loro colleghi di lavoro, con cui condividono tutto, ma proprio tutto, tranne appunto la cittadinanza.
Se cercate su Google Pamela Malvina Noutcho Sawa o Alexandrina Mihai, anche nel loro caso troverete degli articoli (come quelli che abbiamo linkato). Sono infatti due ragazze in grado di eccellere nei loro sport (pugilato e marcia), tanto da vantare anche titoli italiani. Ma con il paradosso di non avere la cittadinanza, benché in Italia fin da bambine, e quindi di non poter rappresentare il proprio paese, questo, nelle competizioni internazionali.
Le loro sono storie “famose”, ma ce ne sono altre 800.000 di storie come le loro che ci parlano di un sistema normativo che, come detto, non è più in grado di rispondere alle esigenze del paese e delle persone. E che, per questo, ha urgente bisogno di essere riformato.