Orticaria cronica e l’art. 32 della Costituzione troppo spesso negato

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di Elena Radaelli Presidente di ARCO, Associazione per la Ricerca e Cura dell’Orticaria

Mai come in questo estenuante periodo pandemico, abbiamo conosciuto e apprezzato l’Art. 32 della Costituzione relativo al Diritto alla Salute:

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.  

La Repubblica tutela la salute sia come fondamentale diritto dell’individuo sia come interesse della collettività. La norma descrive, innanzitutto, la salute come «diritto fondamentale»: è l’unica volta che si trova tale aggettivo – “fondamentale” – nell’intero testo della Costituzione che ha invece spesso più volte usato il termine «inviolabile». La salute viene riconosciuta come interesse della collettività: lo Stato ha il dovere di tutelare la salute della popolazione, salvaguardandola da patologie, epidemie, pandemie e da ogni altra fonte di pericolo, naturale o causato dall’azione dell’uomo. I nostri padri costituenti sapevano bene che il benessere del singolo non prescinde dal benessere del gruppo in cui questi si inserisce. Nessuno può sperare di essere felice se c’è qualcuno che sta male, che è malato. È il concetto di societas che collega indissolubilmente tutto e tutti: ciò che succede ad un solo individuo si ripercuote intorno a lui e il benessere della comunità corrisponde al benessere del singolo e viceversa.

Ma oggi qual é la situazione reale di salvaguardia del diritto alla salute? Come si adoperano le istituzioni per portare avanti, a testa alta, il dettato costituzionale? Prendiamo l’esempio dell’iter di approvazione dei piani terapeutici e dunque dei farmaci per la cura delle malattie croniche gravi.

Un nuovo farmaco per essere approvato, come noto a tutti, vive un iter intenso e scrupoloso di sperimentazione caratterizzato da una serie complessa di passaggi obbligatori che vedono in primis lo sviluppo della sperimentazione clinica per giungere a dati relativi alla sicurezza del farmaco stesso in termini di tossicità e tollerabilità, in termini di posologia ossia di dose e modalità di somministrazione e infine relativi all’utilità clinica che valuta i vantaggi rispetto a farmaci già in commercio per le stesse indicazioni terapeutiche del nuovo farmaco. Se tutto va bene, il farmaco riceve l’autorizzazione di EMA (European Medicine Agency) e dunque viene rilasciata l’autorizzazione all’immissione in commercio o di licenza a cui seguirà l’autorizzazione di AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) che fornisce alla comunità clinica italiani le specifiche per l’uso del farmaco stesso. E da qui le singole regioni inseriscono il farmaco nel prontuario, e finalmente il clinico può attivare il piano terapeutico per il malato di patologia cronica che viene finalmente curato. Ma capita davvero così? Purtroppo, troppo spesso no. Uno dei casi più eclatanti è quello vissuto dal’1% della popolazione italiana che soffre di orticaria cronica spontanea e che dal 2018 si è vista abbandonato alla propria terribile e invalidante patologia. Sì, avete letto bene: l’1% della popolazione maschile, femminile composta da adulti e giovani che soffrono di una malattia cronica grave, lasciati nel 2018 senza terapia da AIFA. Ma andiamo con ordine.

L’orticaria cronica spontanea, o CSU, è una malattia autoimmune estremamente invalidante per i pazienti che ne soffrono ed è una patologia che determina ponfi su tutto il corpo e alle mucose, provocando non solo dolore, ma anche bruciore e inaspettati sensi di soffocamento con grave compromissione della qualità della vita personale e professionale. La malattia può assumere caratteri di tale severità da interferire pesantemente con la qualità di vita del paziente causandone un deterioramento maggiore di quello indotto da un infarto miocardico.

Questi pazienti dal 2015 sono stati trattati con omalizumab, anticorpo monoclonale privo di effetti avversi di rilievo e in grado di determinare la regressione completa della manifestazione clinica nel 70% dei casi. Tale farmaco è stato indicato dalle linee guida internazionali e dai Paesi a livello mondiale come unica possibilità terapeutica on label che finalmente allontana i pazienti dalle inutili e tossiche cure off label a base di cortistoreidei e immunsoppressori.

L’iniziale piano terapeutico italiano, giunto dopo un invito pressante da parte di EMA ad AIFA ad inserirlo come unica terapia per CSU come tutti i paesi europei da tempo avevano fatto, nasce da subito come sui generis e assolutamente avulso dal rispetto dell’Art 32. Infatti nasce come un piano terapeutico che prevedeva una somministrazione ospedaliera del farmaco per soli 6 mesi consecutivi a cui seguivano inspiegabilmente 8 settimane di sospensione del farmaco a cui, eventualmente, fare seguire ulteriori 5 mesi di terapia e poi l’interruzione del piano terapeutico stesso che aveva così durata complessiva di solo 11 mesi.

Capite bene la contraddizione: stiamo parlando di una grave malattia cronica autoimmune e di fronte alla sua cronicità l’istituzione fornisce solo un anno di terapia per lo più interrotto tra la prima e seconda parte del piano stesso. Un’assurdità che da subito ha rilevato come il piano fosse stato frutto di mancata conoscenza della patologia. Ma, deo gratias, l’Italia vive grazie alla grande competenza e umanità di altri soggetti della nostra societas: le associazioni di pazienti e i clinici impegnati a rispettare il Giuramento di Ippocrate ergo l’Art. 32 della nostra amatissima Costituzione. E così ARCO, l’Associazione per la Ricerca e la Cura dell’Orticaria fondata e costituita da pazienti di CSU assieme a numerosi clinici e società scientifiche quali AAIITO (Associazione Allergologi, Immunologi Italiani Territoriali Ospedalieri) e Sidemast (Società Italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie Sessualmente Trasmesse) ha denunciato la negligenza istituzionale e richiamato AIFA all’ottemperanza del diritto alla salute, offrendosi come soggetto attivo e propositivo per fornire all’istituzione dati real life dell’efficacia clinica e dell’economicità del piano terapeutico mensile di fronte ad inutili, costosissime ospedalizzazioni d’urgenza, presenteismo e assenteismo oltre ai costi legati ai pericolosi farmaci off label che richiedono follow up costosi e inutili visto che esiste un farmaco pensato per la patologia. ARCO e i clinici hanno lottato per ottenere audizioni presso il CTS che non conosceva la patologia e tuttavia aveva redatto un piano terapeutico: come poteva essere possibile tutto ciò? Le audizioni hanno reso esplicita la completa non conoscenza della patologia e della sua gravità e solo dopo diffide dei singoli pazienti e un FOIA, oltre ad una costante comunicazione mediante media e social media, le istituzioni hanno dovuto accettare la giustezza dei dati proposti e già riconosciuti da anni a livello europeo e mondiale. Così a settembre del 2021 sono stati finalmente tolti i blocchi al piano terapeutico ma…non le pause assurde che corrispondono ad interruzioni dei medesimi senza che questi possano essere sostenuti e suffragati da alcun studio registrativo e nessuno dei dati italiani raccolti dai numerosissimi centri ospedalieri territoriali. E così il 23 dicembre 2021 ARCO si è attivata con un altro FOIA per capire da cosa nasce tanta ostinazione a non ascoltare la società civile, l’associazione di pazienti e di clinici che, nonostante l’ostracismo istituzionale costante e senza senso si sono proposte come interlocutori costruttivi e portatori di reali contenuti scientifici e del dettato costituzionale.

Ma perché bisogna ricorrere a strategie legali, richiamare l’istituzione alla sua missione? Non sarebbe più semplice prestare reale attenzione ai chi, come le Associazioni di pazienti e di clinici si propone gratuitamente e volontariamente come soggetto attivo della societas per soddisfare il dettato costituzionale e dunque promuovere costantemente il diritto alla salute e al benessere della collettività? Senza dubbio l’istituzione deve gestire una complessità esasperante che in periodo pandemico, poi, si è manifestata in tutta la sua imponenza. E allora perché non aprirsi a chi è portatore sano di contenuti e soluzioni perché coinvolto in prima persona e rappresentante di interessi collettivi quali le associazioni civili? La pandemia stessa ci ha insegnato che solo nella condivisione di competenze, talenti e strumenti si riesce a combattere in un fronte comune, per salvare tutti. Ecco, l’augurio per il 2022 è che AIFA e le istituzioni che si radicano nel dettato costituzionale, ritornino alle radici dei nostri padri costituenti che per primi avevano intuito l’urgenza di porre la sofferenza come strumento di distruzione della comunità se non invece smantellata attraverso soluzioni efficaci e che tengano conto del buon uso delle risorse economiche che il Paese dedica al benessere di ogni cittadino. E’ tempo di abbandonare l’antica autoreferenzialità istituzionale per aprirsi nuovamente all’agorà, ad un agorà di soggetti della società civile molto preparati e pronti a trovare soluzioni percorribili nel nome dei valori democratici che animano il nostro Paese: nel nome del ben-essere ossia dello stare bene per essere a buon diritto cittadini sani e dunque attivi e pronti ad impegnarsi per la propria comunità e per il proprio Paese.

Immagine di copertina: Amy Buthod (via Flickr. Licenza CC BY-NC-SA 2.0)