Plan Condor: una sentenza storica per l’Italia e non solo

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di Andrea Fontana

La pronunzia della giustizia italiana sulla vicenda dei desaparecidos in America Latina – e sul patto criminale tra le dittature del Sudamerica negli anni Settanta – costituisce una pagina storica sul terreno della verità e giustizia nei confronti di crimini contro l’umanità. Si conclude così un percorso durato anni in cui sono state ricostruite le tragiche vicende di sequestri, torture, omicidi, sparizioni di cadaveri, rapimenti di bambini, perpetrati in danno di una intera generazione di oppositori politici e di militanti sociali e sindacali“.

Sono le dichiarazioni del nostro Presidente Arturo Salerni, uno degli avvocati che ha seguito l’intero processo sul Plan Condor, in seguito alla sentenza della Corte di Cassazione dell’8 Luglio 2021. Il verdetto definitivo ha confermato la sentenza di secondo grado e la condanna all’ergastolo di tutti gli imputati per le 43 vittime di origine italiana coinvolte nell’Operazione Condor: 6 italoargentini, 4 italocileni (tra cui Juan Montiglio), 13 italouruguaiani e 20 uruguaiani (cioè i membri del Gau).

Decisiva, per l’esito del processo e nella ricostruzione dei fatti, è stata l’attività svolta da due organizzazioni che fanno parte della nostra Coalizione: 24 marzo Onlus e Progetto Diritti Onlus che hanno contribuito nella ricerca dei materiali e nel raccogliere le testimonianze.

Nel 1992 il giudice paraguaiano José Augustín Fernández scoprì, durante un’indagine in una stazione di polizia di Asunción, archivi dettagliati che descrivevano la sorte di migliaia di sudamericani segretamente rapiti, torturati e assassinati, tra gli anni Settanta e Ottanta, dalle forze armate e dai servizi segreti di Cile, Argentina, Uruguay, Paraguay, Bolivia e Brasile. Gli archivi contavano 50.000 persone assassinate, 30.000 scomparse (desaparecidos) e 400.000 incarcerate: le atrocità in essi contenute fecero ribattezzare tali documenti “Archivi del terrore”. Questi dimostravano anche il coinvolgimento. in questa enorme operazione repressiva e di vero e proprio sterminio, della C.I.A., il servizio segreto statunitense, oltre che apparati militari, organizzazioni di estrema destra, partiti politici e movimenti di guerriglia anticomunisti sudamericani e dei servizi segreti di Colombia, Perù e Venezuela.

Il Plan Condor, come è stato successivamente rinominato, rappresenta l’insieme delle operazioni utilizzate come strumento, in svariati stati, per rovesciare governi anche eletti democraticamente, come quello di Salvador Allende in Cile. Il vasto piano repressivo, furbescamente insabbiato e reso invisibile agli occhi dei più per decenni, prevedeva un sistematico ricorso alla tortura dei sequestrati, per lo più studenti, giornalisti ed intellettuali, al fine di ottenere informazioni utili. L’obiettivo ultimo era di sterminare completamente l’opposizione.

Fu il mandato di arresto internazionale nei confronti dell’ex dittatore cileno Augusto Pinochet, emesso nel 1998 per crimini contro l’umanità dal giudice spagnolo Baltasar Garzón, a rappresentare il passo iniziale che ha portato alle odierne sentenze. In quell’anno hanno inizio le indagini sulle vittime italiane dell’Operazione Condor grazie alle denunce dei familiari di alcuni degli scomparsi. Un anno dopo, il procuratore Giancarlo Capaldo, che già indagava sulle morti di alcuni italo-cileni vittime di Pinochet, aprì un’indagine legata ad omicidi e sparizione di italiani avvenuti nell’ambito dell’Operazione Condor. Il 10 Luglio 2006 Capaldo unificò le inchieste, chiuse l’indagine ed emise 146 mandati di arresti contro civili e militari dei regimi di Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Paraguay e Uruguay.

IL PROCESSO IN ITALIA

Il maxi-Processo Condor, che ha potuto svolgersi nel nostro paese perché ha riguardato 43 vittime di origine italiana residenti in Sud America, ha visto sul banco degli imputati 27 persone appartenenti ai vertici politici e militari di Cile, Argentina, Bolivia, Perù e Uruguay. Nell’Ottobre del 2013 iniziarono le udienze preliminari davanti al giudice Alessandro Arturi, che proseguirono fino a Marzo del 2015. In seguito alla fase dibattimentale, avviata presso la Terza Corte d’Assise di Roma nel 2015 e a fronte della richiesta da parte di Tiziana Cugini, Procuratore aggiunto, di 27 ergastoli ed una assoluzione, nel Gennaio del 2017 viene emessa la sentenza di primo grado. Otto condannati all’ergastolo, fra cui Luis Garcia Meza Tejada, ex presidente della Bolivia, Francisco Morales Cerruti Bermudez, ex presidente del Perù, e Pedro Richter Prada, ex primo ministro del Perù e diciannove assoluzioni fu il verdetto.

Le condanne, pur certificando da un punto di vista giudiziario l’esistenza del Piano Condor, lasciarono scontente le molte associazioni e i privati cittadini che per oltre quaranta anni non hanno mai smesso di denunciare le atrocità di cui erano stati vittime o spettatori. Una delle principali difficoltà fu rappresentata dalla mancanza in Italia del reato di tortura: agli imputati è stato contestato il solo omicidio plurimo aggravato, mentre per il sequestro di persone era già sopraggiunta la prescrizione.

Il 10 Luglio del 2019 l’insoddisfacente decisione di primo grado viene però ribaltata nell’appello di secondo grado: ventiquattro imputati su venticinque sono condannati all’ergastolo per omicidio pluriaggravato di 23 italiani.

Per finire, il giorno 8 luglio 2021, con quella che è stata definita una “Sentenza storica” da Arturo Salerni, i giudici della prima sezione penale della Cassazione hanno confermato le condanne all’ergastolo per omicidio plurimo nei confronti di 14 ex alti ufficiali, esponenti delle giunte militari e dei Servizi di sicurezza di Paesi sudamericani, al potere tra gli anni ’70 e ’80.

Esprimo soddisfazione per la decisione della Cassazione. Il risultato ottenuto due anni fa dalla Procura Generale mi rende orgoglioso per l’appartenenza, ma va ascritto a tutta la magistratura della capitale. Un esempio ed un monito. La verità e il sacrificio dei martiri sud-Americani non si prescrivono”, ha detto il sostituto procuratore generale di Roma Francesco Mollace.

UN FATTO DI GIUSTIZIA

Un altro risultato storico della sentenza è stata la condanna all’ergastolo di Jorge Nestor Troccoli, che negli anni ’70 faceva parte del Fusna, gruppo che aveva il compito di reprimere chiunque si opponesse alla dittatura. Era anche il capo dell’S2, l’intelligence della marina uruguaiana e nel 1977 divenne il militare di collegamento fra Argentina e Uruguay nell’ambito del Plan Condor. Sono decine le persone che testimoniano la sua presenza sia all’interno del Fusna che dell’Esma, uno dei più grandi centri di tortura argentini, dove sono stati sequestrati più di 5mila cittadini. Nel 2007 in Uruguay il suo caso inizia ad essere preso in esame e, quando venne ufficialmente aperto un processo contro di lui, Troccoli si rifugiò in Italia. Pochi anni prima aveva ottenuto la cittadinanza italiana grazie alle sue origini campane e ha vissuto diversi anni di tranquillità insieme alla moglie Betina. Fino al 2015, quando a Roma è stato istituito il maxi-Processo Condor.

Dal 2015, sono decine i testimoni volati a Roma per deporre contro Troccoli. Fra gli altri, anche Cristina Fynn, ex militante del Gau (Grupo de acción unificadora) uruguaiano, l’ha riconosciuto. Quando uno degli avvocati di parte civile le ha mostrato una foto di allora, la donna ha prontamente risposto: “Sì, è lui il capo dei torturatori”.

Il fatto che Troccoli sia stato imputato nel maxi-Processo Condor crea un precedente fondamentale per il nostro Paese dal momento che apre la strada per nuovi processi contro altre persone accusate di torture e omicidi avvenuti durante le dittature sudamericane degli anni ’70, che oggi risiedono in Italia.

Ho sentito dire che la giustizia quando ritarda non è giustizia, però oggi dico che questo non è vero. Bernardo ha avuto giustizia, adesso devo trovare il suo corpo”. Così si è espressa commossa Cristina Mihura, vedova di Bernardo Arnone, arrestato a Buenos Aires e ancora desaparecido.

Una sentenza storica quella dell’8 Luglio, che restituisce un poco di giustizia a chi, a quaranta anni di distanza, non ha mai perso le speranze. L’augurio è che tale storica sentenza possa rappresentare un punto di partenza e non certamente di arrivo, perché si possa continuare a fare luce sulle atrocità commesse in sud-America e tentare di rendere pace a centinaia di persone a cui è stata tolta troppi anni fa.

 

Foto di copertina: Parque de la Memoria, Buenos Aires (Foto: Gustav’s. Fonte: Wikimedia Commons)