Apertura di un conto bancario in misura alternativa: CILD sollecita l’ABI

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Le misure alternative alla detenzione consentono al soggetto che ha subito una condanna definitiva di scontare, in tutto o in parte, la pena detentiva fuori dal carcere al fine di facilitare il reinserimento del condannato nella società, sottraendolo all’ambiente carcerario. 

Numerosi studi dimostrano che il tasso di recidiva (ossia la commissione di nuovi reati da parte di chi ha già subito una condanna) è di gran lunga inferiore per chi sconta la pena in misura alternativa e non in carcere.

Le misure alternative sono dunque un efficace strumento attraverso il quale chi è condannato può reinserirsi, secondo quanto prescritto dall’art. 27 della Costituzione.

Le misure alternative alla detenzione, regolate dall’ordinamento penitenziario, sono principalmente l’affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare e la semilibertà e consentono, a determinate condizioni, di svolgere un’attività lavorativa.

L’esecuzione di una condanna per mezzo di una misura alternativa alla detenzione rappresenta sicuramente una valida opportunità rispetto alla vita in carcere, ma può implicare anche delle difficoltà. Difficoltà che derivano non solo dal vedersi necessariamente imposti una serie di limiti e condizioni, ma anche, talvolta, da ostacoli burocratici che impediscono di svolgere le più semplici attività quotidiane. Una di queste è aprire un conto corrente bancario dove possa essere versato lo stipendio per il lavoro regolarmente svolto nel corso dell’esecuzione penale esterna.

Da diversi mesi a questa parte sono pervenute alla Cild, ad Antigone e a diversi uffici dei Garanti dei diritti dei detenuti diverse segnalazioni relative a cittadini stranieri in misura alternativa, privi di un permesso di soggiorno e/o di un documento d’identità in corso di validità, che proprio per l’assenza di questi documenti vedevano rifiutata la richiesta di aprire un conto corrente presso diversi sportelli bancari. Il risultato di questo rifiuto era un paradosso burocratico: secondo l’art. 1, comma 910, legge 205/2017, infatti, i soggetti in misura alternativa possono vedersi accreditato lo stipendio solo per mezzo di bonifico bancario su un conto corrente, ma questa regola non risulta applicabile se il lavoratore non può aprire un conto corrente. Per superare questo paradosso abbiamo quindi sollecitato l’Associazione Bancaria Italiana (ABI) affinché fornisse alle banche associate indicazioni volte a consentire l’apertura di un conto agli stranieri in misura alternativa, previa produzione della sentenza di condanna, del provvedimento relativo alla concessione della misura alternativa e di un documento di riconoscimento.  

Le informazioni che abbiamo fornito all’ABI chiedendo di diramarle quanto più ampiamente possibile riguardano innanzitutto la regolarità del soggiorno degli stranieri in misura alternativa secondo la normativa vigente. Al contrario di quanto affermato dagli sportelli bancari per motivare il rifiuto di aprire un conto bancari agli stranieri in questione, infatti, lo straniero non titolare di permesso di soggiorno in corso di validità deve ritenersi regolare sul territorio in forza della sentenza di condanna come confermato dalla Cassazione penale a Sezioni Unite (Cass., S.U., sentenza n. 7458/2006). I provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria con cui i condannati vengono ammessi all’esecuzione penale detentiva costituiscono di per sé un’autorizzazione a permanere sul territorio italiano per tutta la durata della pena, rendendo superflua la titolarità di un permesso di soggiorno. Per quel che riguarda invece il documento di identità è l’art. 126-noviesdecies, comma 2, del d.lgs 385/93 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) a stabilire espressamente che è possibile l’apertura di un conto corrente c.d. di base per «Tutti i consumatori soggiornanti legalmente nell’Unione Europea, senza discriminazioni e a prescindere dal luogo di residenza» o dal possesso di un documento di identità, essendo sufficiente un documento di riconoscimento. A chiarire cosa si intende per “documento di riconoscimento” è poi l’art. 1, comma 1, lett c), del D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445 (Disposizioni legislative in materia di documentazione amministrativa), secondo il quale per «documento di riconoscimento si intende ogni documento munito di fotografia del titolare e rilasciato, su supporto cartaceo, magnetico o informatico, da una pubblica amministrazione italiana o di altri Stati, che consente l’identificazione personale del titolare». 

Ecco quindi che gli istituti bancari non possono legittimamente rifiutarsi di aprire un conto di base a un cittadino straniero in misura alternativa che presenti anche solo il foglio identificativo rilasciato al momento della dimissione dalla casa circondariale o di reclusione, se in corso di validità e munito di fotografia. Se così non fosse, infatti, si arriverebbe tra l’altro a un’irragionevole differenza di trattamento tra chi sconta la pena in regime di detenzione carceraria – caso in cui è ammessa senza contestazioni l’apertura del conto corrente postale anche in favore degli stranieri privi di permesso di soggiorno e/o di documento di identità in corso di validità – e chi invece è in regime di misura alternativa. La disparità di trattamento diverrebbe evidente su un duplice piano: da una parte in relazione alla possibilità di ottenere un documento di riconoscimento da parte dell’Autorità amministrativa (rispettivamente Dipartimento dell’Amministrazione Penale e Ufficio Esecuzione Penale Esterna), dall’altra in riferimento all’accesso al lavoro o ai servizi forniti da organismi pubblici o privati.

Alla nostra richiesta di adottare una circolare interna volta a superare questa impasse, il Vice Direttore Generale dell’ABI ha fornito una prima risposta lo scorso settembre informandoci che l’argomento era oggetto di interlocuzione con la Direttrice Generale dell’esecuzione penale esterna e di messa alla prova del Ministero della Giustizia, la Dott.ssa Lucia Castellano. L’ABI ci ha poi fornito ulteriori dettagli a ottobre, informandoci che la Direttrice Generale dell’esecuzione penale esterna e di messa alla prova si era sua volta consultata, oltre che con l’ABI, con Poste Italiane per diramare alle Direzioni degli Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna l’indicazione di rilasciare agli stranieri in questione un documento attestante l’ammissione a una misura alternativa alla detenzione. Inoltre, per le ipotesi in cui lo straniero sia sprovvisto anche del passaporto o altro documento d’identità, la Direzione generale dell’esecuzione penale esterna e di messa alla prova ha anche interessato il Ministero degli Interni per verificare se sia possibile rilasciare a questi soggetti un permesso di soggiorno temporaneo per motivi di giustizia. 

Un primo risultato utile che va salutato con soddisfazione, frutto della sinergia delle organizzazioni della società civile e delle istituzioni (a partire dal Coordinamento dei Garanti regionali e locali, presieduto dal Garante del Lazio, Stefano Anastasia). Nell’attesa che anche il Ministero dell’Interno risponda alla sollecitazione della Direttrice Generale dell’esecuzione penale esterna e di messa alla prova, speriamo che prima possibile l’ABI dirami una circolare in cui chiarisca che chi è in esecuzione penale esterna possa legittimamente aprire un conto, per evitare che quisquiquie burocratiche impediscano di attuare quanto prescritto dalla Costituzione all’art. 27 e i detenuti, italiani e stranieri, in misura alternativa, possano regolarmente ricevere lo stipendio. Nell’interesse della sicurezza dei diritti del condannato lavoratore e dell’intera collettività. 

 

Copertina: foto di Maria Stewart via Unsplash