Emanato il “decreto Salvini”: le novità in tema di immigrazione
Ieri il Presidente della Repubblica ha controfirmato il decreto legge n. 113/2018 in materia di sicurezza e immigrazione, fortemente voluto dal Ministro dell’Interno Matteo Salvini. Il decreto, approvato all’unanimità dal Consiglio dei Ministri lo scorso 24 settembre, è dunque in vigore e passa all’esame di Camera e Senato, che hanno 60 giorni di tempo per convertirlo in legge.
Abbiamo modificato questo articolo pubblicato in data 25 settembre aggiornandolo con le nuove disposizioni previste all’indomani della firma del Presidente Mattarella.
Le misure contenute nel decreto legge hanno notevoli ripercussioni sui diritti di coloro che hanno bisogno di protezione, sul sistema di accoglienza e sulle possibilità di integrazione degli stranieri in Italia.
Queste le principali novità introdotte dal provvedimento:
- Abolizione della protezione umanitaria
Il decreto, modificando quanto disposto dal Testo unico sull’immigrazione (decreto legislativo n. 286/98), prevede innanzitutto l’abolizione della protezione umanitaria. Questa forma di protezione – residuale rispetto al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria – permetteva alle questure di rilasciare un permesso di soggiorno per motivi umanitari ai cittadini stranieri che presentavano “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano”. Con il decreto Salvini, questo tipo di permesso non può più essere concesso – nemmeno dai tribunali in sede di ricorso.
Sparisce quindi la dicitura “motivi umanitari” dal Testo unico sull’immigrazione, e con essa la possibilità di ottenere il permesso di soggiorno se non per “casi speciali”, che il provvedimento identifica con alcune fattispecie specifiche. Il decreto introduce infatti un permesso di soggiorno particolare per chi ha bisogno di cure mediche o è vittima di violenza domestica o grave sfruttamento lavorativo, per chi proviene da un paese che si trova in una situazione temporanea di calamità e per chi abbia compiuto atti di particolare valore civile.
Il decreto comporta importanti conseguenze non solo per coloro che attualmente beneficiano della protezione umanitaria – la cui situazione diventa più incerta – ma anche per il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), che si trasforma in un sistema di protezione riservato ai soli titolari di protezione internazionale e ai minori stranieri non accompagnati.
- Diniego e revoca della protezione internazionale
La legislazione precedente prevedeva che lo status di rifugiato venisse negato o revocato quando lo straniero costituiva un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica perché condannato in via definitiva per una serie di reati, come ad esempio omicidio e violenza sessuale. Con il decreto Salvini, ulteriori fattispecie di reato comportano il diniego o la revoca della protezione internazionale: dalla violenza o minaccia a un pubblico ufficiale, alle lesioni personali aggravate, a varie fattispecie di furto.
- Procedimento immediato davanti alla Commissione territoriale
Cambiano anche le disposizioni riguardanti la domanda di asilo. In base al decreto, nel caso in cui il richiedente asilo sia sottoposto a procedimento penale o condannato – anche con sentenza non definitiva – per uno dei reati per i quali è previsto il diniego dello status di rifugiato, il questore ha l’obbligo di comunicarlo tempestivamente alla Commissione territoriale competente. Quest’ultima provvederà poi all’audizione del richiedente asilo e contestualmente prenderà una decisione sul caso. Nel caso in cui la richiesta di asilo venga rigettata, lo straniero sarà obbligato a lasciare il territorio nazionale, anche in pendenza di ricorso contro la decisione della Commissione.
- Tempi di permanenza nei Centri di permanenza per il rimpatrio
Prima dell’entrata in vigore del decreto Salvini, il Testo unico sull’immigrazione prevedeva che gli stranieri irregolari in attesa di essere rimpatriati potessero essere trattenuti nei Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) per un massimo di 90 giorni. Questo termine è stato stabilito nel 2014, quando il legislatore, per la prima volta dall’introduzione nel nostro ordinamento dell’istituto della detenzione amministrativa per gli stranieri, era intervenuto non per aumentare, ma per ridurre i limiti massimi di detenzione negli allora Centri di identificazione ed espulsione (CIE). Il precedente termine, fissato a un massimo di 18 mesi, non si era infatti rivelato utile ad aumentare il numero dei rimpatri, diventando questi sempre più difficili con il prolungarsi della detenzione. Il prolungamento del tempo di trattenimento nei centri di detenzione amministrativa, misura costosa e poco utile all’efficienza del sistema rimpatri, appariva inoltre come un mero strumento punitivo del migrante irregolare.
Il decreto Salvini invece raddoppia l’attuale termine di 90 giorni, portandolo fino a un massimo di 180 giorni. Il provvedimento prevede inoltre che gli stranieri possano essere trattenuti in luoghi diversi dai CPR in strutture idonee nella disponibilità dell’Autorità di pubblica sicurezza. Quest’ultima misura, tuttavia, può essere adottata soltanto se non comporta costi ulteriori per l’amministrazione.
- Trattenimento dei richiedenti asilo
Il provvedimento introduce poi la possibilità di trattenere i richiedenti asilo negli hotspot per 30 giorni allo scopo di accertarne l’identità e la cittadinanza. Se questo accertamento non è possibile, i richiedenti asilo potranno inoltre essere trattenuti nei CPR fino a un massimo di 180 giorni.
Misure di questa portata comportano però la violazione di norme nazionali e internazionali, sanzionando l’ingresso e il soggiorno irregolare dei richiedenti asilo nel caso in cui siano sprovvisti di documenti di viaggio – come spesso accade per coloro che fuggono da persecuzione o da paesi in guerra.
- Cittadinanza
Il decreto Salvini modifica anche la disciplina riguardante gli stranieri che hanno ottenuto la cittadinanza italiana. Quest’ultima verrà infatti revocata nel caso in cui lo straniero rappresenti una minaccia per la sicurezza nazionale perché condannato in via definitiva per reati commessi con finalità di terrorismo o eversione. La revoca sarà disposta entro tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell’Interno.
Il decreto passa ora al vaglio delle Camere, che hanno a disposizione 60 giorni per convertirlo in legge.