Explainer: che cos’è e come funziona la Corte costituzionale

Corte costituzionale
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Che cos’è e come è nata

La Corte costituzionale è il principale organo di garanzia costituzionale previsto dalla Costituzione italiana. Alla Corte sono affidati importanti compiti di garanzia, esercitati attraverso il controllo del rispetto delle norme costituzionali da parte delle Istituzioni. La sua sede è al palazzo della Consulta di Roma. Da qui l’informale nome di Consulta attribuito alla Corte.

Un simile organo non era previsto nell’ordinamento italiano anteriore alla Costituzione del 1948. La sua istituzione è stata infatti la conseguenza della scelta dell’Assemblea costituente di attribuire alla nuova Costituzione una forza “superlegislativa”. Questo per evitare che le leggi potessero modificarla o sostituirsi ad essa. Il testo della Costituzione ha previsto esplicitamente l’istituzione della Corte, le sue funzioni fondamentali, la sua composizione e gli effetti delle sue decisioni sulle leggi, ma ha rinviato a successivi interventi normativi l’ulteriore disciplina della sua attività. L’ordinamento della Corte è stato completato solo nel 1953. I primi giudici si sono insediati nel Palazzo della Consulta due anni dopo. La Corte, presieduta da Enrico De Nicola, ha tenuto la sua prima udienza pubblica il 23 aprile 1956.

Come è composta

L’art. 135 della Costituzione fissa a 15 il numero di giudici che compongono la Corte. Questi devono essere scelti tra categorie di giuristi con elevata preparazione:

  1. magistrati – in servizio o a riposo – provenienti dalle giurisdizioni superiori ordinaria ed amministrative (Corte di cassazione, Consiglio di Stato e Corte dei conti);
  2. professori universitari ordinari di materie giuridiche;
  3. avvocati con una esperienza di almeno vent’anni nell’esercizio della professione.

Cinque dei giudici sono nominati dal Presidente della Repubblica, altri cinque sono eletti dal Parlamento in seduta comune (cioè dalle due Camere – Senato e Camera dei Deputati – riunite), mentre gli ulteriori cinque giudici sono eletti dai magistrati di ciascuna delle tre magistrature superiori (tre dalla Corte di cassazione, uno dal Consiglio di Stato, uno dalla Corte dei conti). Ogni giudice è nominato per un mandato di nove anni e non è rieleggibile. Durante il mandato, i giudici della Corte costituzionale non possono assumere altri incarichi.
La lunghezza del mandato è superiore a quella di ogni altro mandato previsto dalla Costituzione: si tende così ad assicurare l’indipendenza dei giudici dagli organi politici che li designano.
La Corte elegge tra i propri componenti il Presidente. La sua carica è di tre anni ed è rieleggibile. Il Presidente non ha autorità diversa dagli altri giudici, salvo il caso in cui vi sia parità di voti. Qui il suo voto vale doppio: è dunque un primus inter pares (primo fra uguali).

 

Giuramento di Giorgio Lattanzi, Presidente della Corte costituzionale via Wikimedia Commons.

Che funzioni ha

Alla Corte costituzionale sono assegnate quattro funzioni:

  1. giudicare sulla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni;
  2. giudicare sui conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato e i conflitti fra lo Stato e le Regioni e fra le Regioni;
  3. giudicare sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica per alto tradimento o attentato alla Costituzione;
  4. giudicare sull’ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo.

Il controllo di legittimità costituzionale

Il primo e storicamente più importante ruolo della Corte è quello di “giudice delle leggi”: ad essa spetta infatti il compito di controllare che le leggi e gli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni rispettino la Costituzione (c.d. controllo di legittimità costituzionale o di costituzionalità). La Corte è chiamata a controllare sia che gli atti legislativi siano stati adottati nel rispetto dei procedimenti previsti dalla Costituzione (costituzionalità formale), sia che il contenuto degli atti in questione sia conforme ai principi costituzionali (costituzionalità sostanziale).

Nel nostro sistema, le leggi e gli atti aventi forza di legge non possono essere direttamente impugnati davanti alla Corte da chiunque. Al contrario, i dubbi di costituzionalità possono essere sollevati solo in occasione dell’applicazione di una legge da parte dei giudici comuni. Quando un giudice, nel corso di un processo, ritiene che la legge da applicare al caso concreto non possa essere interpretata conformemente alla Costituzione e presenti dubbi di costituzionalità, egli sospende il processo rimettendo la questione alla Corte costituzionale. Questo sistema di controllo di costituzionalità è definito “incidentale”.
Diverso è invece il giudizio di costituzionalità in via “principale”. Questo può essere promosso quando il Governo ritiene che una legge regionale ecceda la competenza della Regione o quando una Regione ritiene che una legge (o un atto avente forza di legge) dello Stato o di un’altra Regione leda la sua sfera di competenza.

La Corte può prendere le sue decisioni in udienza pubblica o in camera di consiglio (a porte chiuse). In entrambi i casi, le decisioni sono prese sempre dal collegio, cioè dall’insieme dei giudici (da undici, numero minimo richiesto perché la Corte possa decidere, a quindici, il totale dei membri). Solo se non si manifesta un’unanimità di vedute, il Presidente indice una votazione formale e la decisione viene presa a maggioranza.

Il controllo di legittimità costituzionale può avere diversi esiti:

a) la Corte “accoglie” la questione di legittimità costituzionale

In primo luogo, la Corte può ritenere che la questione di costituzionalità sia fondata, cioè che la norma in questione non sia conforme alla Costituzione. In questo caso, la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale della norma, che cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione sulla Gazzetta Ufficiale (la fonte ufficiale delle norme italiane). La pronuncia della Corte ha un effetto generale (non limitato al singolo giudizio in cui la questione è stata sollevata) e definitivo (non è infatti possibile rimettere in discussione la decisione). Si può quindi dire che in questo caso la legge “scompare” dall’ordinamento.

La Corte può anche decidere che ad essere incostituzionale non è l’intera norma in questione ma solo una parte di essa. In questi casi la Corte indica chiaramente la parte della legge destinata a perdere efficacia e, se possibile, individua la norma che la sostituirà.

b) la Corte “rigetta” la questione di legittimità costituzionale

Se la Corte invece ritiene che la norma non sia incostituzionale, essa respinge il dubbio di costituzionalità con una pronuncia detta “di rigetto”. In questo caso, la norma rimane valida e i giudici potranno continuare ad applicarla. La decisione non ha però effetto generale e definitivo: infatti, lo stesso dubbio di legittimità costituzionale potrà essere nuovamente posto all’attenzione della Corte, anche con motivi o argomenti nuovi.

Può accadere che la Corte respinga un dubbio di costituzionalità perché ritiene che la norma in questione possa essere interpretata in maniera conforme alla Costituzione. Questo avviene per mezzo delle cosiddette sentenze “interpretative”. Sebbene formalmente queste decisioni non vincolino i giudici diversi da quello che ha sollevato la questione, i giudici tendono ad adeguarsi alle interpretazioni proposte dalla Corte.

c) la Corte ritiene la questione inammissibile

La Corte può infine ritenere che la questione di costituzionalità sia inammissibile perché mancano i requisiti necessari per sollevarla. In questo caso, per motivi procedurali, la Corte non può procedere al controllo di costituzionalità della norma.

Primi articoli della Costituzione
Primi articoli della Costituzione via Flickr (CC BY-SA 2.0)

I conflitti di attribuzione

La Corte costituzionale giudica inoltre sui conflitti di attribuzione, cioè situazioni di contrasto che si verificano quando due autorità ritengono di avere entrambe il diritto a svolgere una determinata funzione. Il conflitto ha luogo quando un’autorità “rivendica” i suoi poteri, affermando che un’altra autorità ha esercitato un potere che non le compete.

I conflitti di attribuzione vengono definiti “interorganici” quando avvengono tra poteri dello Stato, cioè il potere legislativo, il potere esecutivo e il potere giudiziario. I conflitti vengono invece definiti “intersoggettivi” quando avvengono tra lo Stato e le Regioni o tra le Regioni e riguardano un atto non legislativo.
In questi casi, la Corte costituzionale è chiamata a fare da “arbitro”: stabilisce a quale autorità spetta la funzione oggetto del conflitto, ovvero come essa deve essere esercitata per non ledere le attribuzioni di un altro organo, ed eventualmente annulla l’atto illegittimo.

I giudizi sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica

La Corte costituzionale è anche chiamata a pronunciarsi sui giudizi a carico del Capo dello Stato, nei casi previsti dall’articolo 90 della Costituzione: alto tradimento e attentato alla Costituzione. In questi casi, tuttavia, la Corte non opera nella sua ordinaria composizione di quindici giudici, ma in quella integrata da sedici cittadini, sorteggiati da un elenco di quarantacinque cittadini ultraquarantenni scelti ogni nove anni dal Parlamento.

I giudizi di ammissibilità dei referendum

La legge costituzionale n. 1 del 1953 ha aggiunto una competenza ulteriore rispetto a quelle originariamente affidate dalla Costituzione alla Corte costituzionale: giudicare sull’ammissibilità dei referendum abrogativi, che sono finalizzati ad abrogare – cioè abolire – in tutto o in parte una legge o un atto avente forza di legge.

La Corte deve verificare che la legge sottoposta a referendum non appartenga a una delle quattro categorie di leggi escluse dall’articolo 75 della Costituzione (leggi tributarie e di bilancio, di amnistia, di indulto e autorizzazione a ratificare trattati internazionali) e che non vi siano altre cause di inammissibilità (assicurandosi per esempio che la richiesta di referendum sia formulata in modo chiaro e preciso).

Flaminia Delle Cese, laureata in Giurisprudenza, LLM candidate International Human Rights and Humanitarian Law at University of Essex, tirocinante nella Coalizione Italiana Libertà e Diritti civili.