Cannabis: e se la trattassimo come l’alcol?

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Zero. Cento. Quattromila.
Sono il numero di morti provocati ogni anno in Italia, in ordine sparso, da eroina, alcol e cannabis.
Ora, prima di andare avanti nella lettura fate una prova: associate il dato alla sostanza che credete responsabile. Tra poco scoprirete se avete indovinato.

In Italia consumare e possedere marijuana è ancora illegale.

Uno degli argomenti che più spesso si sente pronunciare a sostegno delle politiche proibizioniste è la pericolosità della sostanza. Una condanna ideologica, rea di aver condizionato le politiche degli ultimi decenni, portando in carcere migliaia e migliaia di persone, spesso per reati non violenti e di alcuna pericolosità sociale. Una direzione netta, percorsa senza tener conto delle evidenze scientifiche e statistiche, che ha avuto la colpa di ostacolare anche le possibilità di ricerca scientifica sui benefici della cannabis a scopo terapeutico. Che ha indotto gli Stati a spendere montagne di denaro pubblico nelle politiche di repressione (polizia, tribunali, carceri) disinvestendo su quelle di prevenzione e di riduzione del danno.

C’è stato un momento in Italia in cui – con la legge Fini-Giovanardi – si è arrivati a classificare la cannabis al pari di altre droghe ben più pericolose: cocaina ed eroina, con quest’ultima che causa ogni anno oltre 100 morti l’anno. Eppure la cannabis di morti ne fa e ne ha sempre fatti zero, almeno da quando si registrano queste statistiche. E non ha fatto morti nonostante gli alti consumi. Secondo l’Istat, nel 2013 sono state oltre 6 milioni le persone a consumarla, compresi un terzo dei giovani tra i 15 e i 19 anni.

Dinanzi a questi dati può non cadere la pretesa proibizionista, ma certamente decade l’ipotesi di equipararle che, in effetti, è venuta meno anche da un punto di vista legislativo, quando, nel febbraio 2014, una sentenza della Corte di Cassazione ha abrogato la Fini-Giovanardi. Ma sarebbe quantomeno sbagliato fermarsi al paragone tra eroina e cannabis senza allargare la questione ad altre sostanze psicoattive. Un errore che, volutamente o meno, è sempre stato fatto nel corso degli anni. C’è infatti un’altra sostanza pericolosa e letale e che, nonostante questo, è legale quasi ovunque (e dove non lo è questo si deve più a questioni religiose che ad altri fattori). Lo avrete capito, parliamo dell’alcol.

L’alcol è causa di oltre 200 malattie e patologie e ogni anno nel mondo provoca la morte di oltre 3 milioni di persone. Il 5,9% dei decessi globali è legato al suo utilizzo. La sola Italia contribuisce a questa terribile statistica con oltre 4.000 decessi l’anno. Sappiamo inoltre che è la prima causa di disabilità e mortalità prematura per i giovani. L’alcol può portare inoltre alla dipendenza e il suo consumo incide su un alto numero di incidenti stradali. In Italia oltre il 13% è legato alla guida in stato di ebbrezza.

Ma nonostante questi numeri così drammatici nessuno si è mai sognato di proibirlo.

E non bisogna essere ipocriti. Chi si potrebbe augurare che ciò avvenga? A molti piace bere, anche solo una birra stando a casa sul divano, in spiaggia al tramonto, al bar con gli amici. In tantissimi – ce lo dimostra l’unico esempio di proibizionismo del mondo occidentale, quello degli Stati Uniti durante gli anni ‘30 – continuerebbero a consumare alcolici anche se fossero resi illegali, con rischi crescenti per la salute. Rischi dovuti all’impossibilità di controllare la qualità del prodotto o al fatto che la criminalizzazione spinge le persone a tenersi alla larga dalle strutture sanitarie – anche se utilizzandolo si andasse incontro a problemi di salute – per paura di incappare nelle maglie della legge.

Gli Stati ne hanno preso consapevolezza  e,  almeno sull’alcol, non sono stati ipocriti, decidendo di percorrere una strada precisa: hanno regolamentato la sostanza (cosa che consente, per l’appunto, adeguati controlli di qualità), hanno creato campagne informative per prevenirne l’abuso e, dinanzi a una dipendenza, hanno previsto appositi protocolli medici e sanitari.

Nonostante il numero di morti, nonostante le patologie che provoca, nonostante i rischi ad esso connessi, nessuno finisce in carcere per aver l’alcol. E riteniamo sia giusto così.

Però,  ci chiediamo, perché non fare lo stesso con la cannabis?
E lo chiediamo in primo luogo ai Parlamentari e ai rappresentanti del Governo che sul tema preferiscono ancora farsi guidare dall’ideologia anziché da dati, statistiche ed evidenze scientifiche.
Perché dunque non legalizzare la cannabis?
Sarebbe la scelta più sicura per i giovani e per la società.