Omofobia di stato: ancora una lunga strada per l’uguaglianza
In preparazione al 17 maggio, Giornata mondiale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, ILGA (International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association) ha pubblicato il rapporto sulla State-sponsored homophobia, l’omofobia sostenuta dallo Stato, giunto alla sua dodicesima edizione.
Si tratta di una ricerca globale sulle leggi che criminalizzano oppure proteggono e riconoscono l’orientamento sessuale, che fin dal 2006 è stata una risorsa fondamentale per difensori dei diritti umani, ricercatori, organizzazioni della società civile e agenzie delle Nazioni Unite.
La situazione globale: tendenze contrastanti
Nonostante il numero di Stati che criminalizzano pratiche sessuali tra persone dello stesso sesso sia lentamente diminuito, passando da 75 nel 2016 a 72 al maggio 2017, persecuzioni e profonde stigmatizzazioni persistono. Inoltre, malgrado stiano aumentando le leggi che riconoscono le famiglie e le relazioni nella comunità LGBTI, ancora meno del 25% degli Stati nel mondo le tutelano: una piena eguaglianza di diritti è purtroppo ancora lontana.
Ci sono tuttora otto Paesi membri delle Nazioni Unite, tra cui Iran, Arabia Saudita, Sudan e Yemen, dove rapporti e atti sessuali consensuali tra persone dello stesso sesso sono puniti con la pena capitale. In altri cinque, invece, la pena di morte è prevista dalla legislazione ma nella pratica non è usata da tempo. Nei restanti Stati criminalizzanti, la pena detentiva può variare da 14 anni di reclusione all’ergastolo.
Il rapporto evidenzia anche che il 13% degli Stati membri dell’ONU prevede ancora barriere alla formazione, consolidamento e registrazione di ONG che si occupano di diritti LGBTI, mentre solo l’1,5% ha introdotto divieti di applicazione delle cosiddette “terapie di conversione”, pratiche purtroppo ancora troppo normalizzate in molti Stati.
Per contro, solo 9 Paesi menzionano esplicitamente e fanno rientrare l’orientamento sessuale tra le discriminazioni protette dalla loro Costituzione: tra questi, Messico, Bolivia, Sudafrica, Regno Unito, Svezia, Portogallo e Nuova Zelanda. 72 Stati contengono nelle loro legislazioni disposizioni che tutelano contro le discriminazioni nell’ambito lavorativo, mentre 63 Stati hanno emanato provvedimenti generali sulla non-discriminazione della comunità LGBTI.
Il matrimonio egualitario è al contrario garantito in soli 23 Stati, mentre altri 28 prevedono qualche sorta di riconoscimento delle unioni civili (tra cui l’Italia).
In Italia
Dal 1890, fin dal suo primo codice penale, l’Italia non ha proibito o condannato atti sessuali consensuali tra persone dello stesso sesso. Nel 2003 ha migliorato la sua legislazione in termini di discriminazioni basate sull’orientamento sessuale in ambito lavorativo. Nel 2012 la Corte di Cassazione ha ricordato la necessità di un cambiamento fondamentale riguardo alla legislazione sul matrimonio, che nel 2016 ha portato il legislatore a promulgare la legge n. 76 sulle unioni civili: ciò ha condotto ad un’eguaglianza dal punto di vista delle tasse, della sicurezza sociale e dell’eredità.
Al momento non ci sono leggi che garantiscano l’adozione da parte del secondo genitore, nonostante importanti attività siano state condotte dai tribunali. Ad esempio, ad aprile 2016 la Corte d’appello di Napoli ha ordinato un pieno riconoscimento dell’adozione da parte del secondo genitore, in favore di una famiglia franco-italiana. Nel settembre 2016, invece, la Corte di Cassazione ha risolto un caso riguardante l’adozione di una figlia favorendo la coppia omogenitoriale italo-spagnola.
In generale, la situazione non è mutata di molto dall’anno precedente.
Europa: tempo di implementare le protezioni
L’impatto dell’attacco al gay club di Orlando nel giugno 2016 ha suscitato numerose discussioni in Europa; le organizzazioni che lottano per la difesa dei diritti LGBTI si sono chieste se i governi europei stiano facendo abbastanza per proteggere le persone LGBTI dai discorsi d’odio e dalle discriminazioni.
Essendo l’immigrazione un’importante questione nell’agenda europea, è importante considerare la situazione complicata dei richiedenti asilo LGBTI (qui il rapporto dell’Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali), doppiamente stigmatizzati. La notizia della Brexit è stata seguita da violenze crescenti incitate da omofobia e transfobia; al contempo, i discorsi populisti e gli attacchi alle istituzioni democratiche incidono e limitano anche l’attivismo LGBTI.
È arrivato il momento di implementare quelli che sono stati i cambiamenti di leggi e policy ottenuti negli ultimi 15 anni, che hanno portato ad un’uguaglianza formale, sostiene il rapporto.
Ora, l’uguaglianza sostanziale è vitale per garantire che non ci siano “ritirate” in tal senso.