Attacchi alle Ong: quando il populismo penale ignora i fatti

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Chissà se il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro ha mai letto il discorso che Papa Francesco ha rivolto alla delegazione dell’associazione internazionale di diritto penale nell’ottobre del 2014.

Ho avuto l’onore, insieme a Marco Ruotolo, professore di diritto costituzionale, di curarne recentemente la pubblicazione. Io, presidente di una famigerata Ong, insieme a Marco, che di professione fa lo studioso della Costituzione. Così scriveva papa Francesco a proposito della cautela in poenam e della missione dei giuristi:

“Si è affievolita la concezione del diritto penale come ultima ratio, come ultimo ricorso alla sanzione, limitato ai fatti più gravi contro gli interessi individuali e collettivi più degni di protezione. Si è anche affievolito il dibattito sulla sostituzione del carcere con altre sanzioni penali alternative. In questo contesto, la missione dei giuristi non può essere altra che quella di limitare e di contenere tali tendenze. È un compito difficile, in tempi nei quali molti giudici e operatori del sistema penale devono svolgere la loro mansione sotto la pressione dei mezzi di comunicazione di massa, di alcuni politici senza scrupoli e delle pulsioni di vendetta che serpeggiano nella società. Coloro che hanno una così grande responsabilità sono chiamati a compiere il loro dovere, dal momento che il non farlo pone in pericolo vite umane, che hanno bisogno di essere curate con maggior impegno di quanto a volte non si faccia nell’espletamento delle proprie funzioni”.

Così questo paragrafo è stato commentato da un illustre penalista, il professore Luciano Eusebi.

“Richiama (…) a un’assunzione di responsabilità, da parte di coloro che maneggiano il diritto terribile, verso il surplus di ingiustizia che può produrre uno strumento la cui giustizia intrinseca, già di per sé, è discutibile, ove subisca i condizionamenti del populismo penale e trascuri il monito della cautela in poena. Il rischio è quello di un’autoreferenzialità poco interessata alle persone”.

Nella triste vicenda di questi giorni che ha visto protagonisti un giudice, un politico e i media c’è materia per un capitolo aggiornato di cosa sia il populismo penale e di quali danni sociali e umani produca.

In questa storia vi sono tutti gli ingredienti di una storia penal-populistica paradigmatica, simile a quella sui rumeni che delinquono, che solo poche settimane aveva visto come protagonista sempre lo stesso politico (Luigi Di Maio) ma un altro giudice siciliano (Sebastiano Ardita, procuratore a Messina ed ex direttore dell’Ufficio detenuti del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria nonché co-autore, insieme a Piercamillo Davigo, del libro dal titolo inequivoco ‘Giustizialisti’).

Foto Flickr: Noborder Network (CC BY 2.0)
Foto Flickr: Noborder Network (CC BY 2.0)

Primo ingrediente della miscela populista: l’irrilevanza dei fatti. È incredibile ma in questa vicenda (Ong che farebbero affari grazie ai migranti salvati) non c’è un fatto che sia uno. Addirittura compaiono nelle dichiarazioni del giudice ‘i secondo me’. Si lanciano accuse penali e morali pesantissime in tv, sui giornali, dappertutto, prima che l’inchiesta produca anche solo uno straccio di avviso di garanzia. C’è materia affinché il Csm avvii un’esemplare azione disciplinare, non solo per il danno prodotto alle Ong, ma anche  per il danno altrettanto incalcolabile prodotto alla giustizia. Infatti se mai ci fosse in questa vicenda un intermediario disonesto, costui ha avuto tutto il tempo per distruggere le prove o mettersi al sicuro. Siamo nel solco del peggio: processi che si fanno sui media, giustizia ridotta a ‘spettacolo’ triste.

Secondo ingrediente della miscela: il politico o i politici che cercano di trarne beneficio. Così come nel caso dei rumeni criminali il politico è sempre lo stesso, ovvero il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio. Disinteressato alla certezza del diritto e al garantismo delle sue regole, ai dati e alle storie vere, trasforma le parole di un giudice in incandescente materia elettorale.

Terzo ingrediente: i media. Non tutti, ma molti, enfatizzano, trasformano i dubbi in certezze, titolano allo scandalo Ong nel giorno in cui arrivano le richieste di pena per Mafia Capitale. Così si alimenta il senso comune che tutti sono corrotti, persino le associazioni.

Quarto ingrediente: la sentenza è del tutto irrilevante. In questo caso è finanche irrilevante l’indagine.
Il danno è prodotto. L’immagine è lesa. Il circolo vizioso populista, esito del triangolo magistratura-politica-media, ha creato e sta creando danni morali ed economici incalcolabili. Speriamo che il Csm ponga un limite severo e rompa subito le triangolazioni penal-populiste.

Il diritto penale va maneggiato con cautela, scrive a ragion veduta papa Francesco. Noi siamo e saremo sempre dalla parte di una giustizia mite nonché dei nostri amici che salvano vite umane.