Where are you? Il progetto di Massimo Sestini
Una foto che è diventata un simbolo, e una ricerca che dura da più di un anno
E una sola, fondamentale domanda: dove sono finiti quei migranti?
Erano su una barca al largo della costa libica, e il fotografo Massimo Sestini, quel 7 giugno 2014, li fotografò dall’elicottero. Da allora pensa spesso a cos’è successo a quelle persone. Come riannodare il filo di quelle esistenze, come riuscire a sapere cos’è successo?
“ Tutti vogliono scappare quando le cose si mettono male sulla barca, e diventa ogni secondo peggio, sei sempre sull’orlo del disastro. Nessuno di noi è morto, però”. Così racconta una delle persone che erano sulla barca e rintracciate da Massimo Sestini e dalla giornalista Livia Corbò, che lavora con lui.
A The 19 million project, l’iniziativa giornalistica nata grazie a CILD e Chicas Poderosas per narrare in modo diverso la crisi dei rifugiati, Massimi Sestini e Livia Corbò, giornalista, raccontano come la fotografia non finisca nel momento dello scatto, ma possa avere un impatto nel lunghissimo periodo sulla vita delle persone fotografate. La foto di Sestini ha ricevuto premi e riconoscimenti, arrivando al secondo posto del World Press Photo e adesso il progetto che ne è nato, Where are You?
Massimo Sestini l’anno prima di scattare la foto aveva lavorato con la Marina. Sognava da tanto di fare questa foto: una foto che avesse Era sulla fregata Bergamini quel 7 giugno, e quando salì su quell’elicottero ci riuscì. La foto che ne venne fuori ha cominciato a vivere, da allora, di vita propria. Simbolo di campagne, dell’UNHCR, sulle copertine di molti giornali. Perché è la foto della disperazione e della salvezza. Mare Nostrum 2014. Ma com’è cambiata la loro vita da allora? Molti hanno iniziato una nuova vita. Ma molti ancora mancano all’appello, sebbene sappiamo che nessuno è morto da allora. Ecco da dove nasce il progetto: cosa fanno adesso? Il progetto è stato lanciato il 4 ottobre, e sulla pagina di Facebook stanno arrivando informazioni, foto, comunicazioni. Le foto sono grandi, sulla pagina, ed è possibile zoomare su ognuna di loro, per vedere le facce. Dopo le foto, le storie. Quelle che i ragazzi, gli uomini su quella barca, hanno iniziato a inviare a whereareyou@massimosestini.it. Come questa: “Ciao Massimo, ti scrivo per dirti che sono a Napoli, e vivo insieme ad altre 25 persone che erano con me su quella barca. E’ un inizio, e per noi è questo, un nuovo inizio. Ci siamo ritrovati qui, insieme, veniamo dal Gambia e dalla Sierra Leone. Tra noi c’è un ragazzo che aveva 16 anni quando ha lasciato il Gambia, e ha fatto 18 anni lo scorso giugno. Grazie, grazie per averci dato un volto. Perché a volte, se sei nato in un paese dove non sei più una persona desiderata, perché c’è la guerra, e devi lasciare la famiglia, le persone con cui sei cresciuto, come in Gambia, ti dimentichi la tua storia, cerchi solo di guardare avanti”. In Gambia nel 1994 si è installato un regime militare. Sono solo 2 milioni, eppure è il terzo paese da cui arrivano migranti in Europa.
The 19 million project andrà avanti fino al 13 novembre: molti saranno ancora i partecipanti e i relatori. Sul sito si trova il programma delle conferenze e dei workshop. Più di 150 tra attivisti dei diritti umani e professionisti dei media lavoreranno insieme per creare contenuti e prodotti multimediali (articoli, mappe, mini-documentari) per affrontare la narrativa distorta che è stata fatta su questo tema e costruirne una nuova, potente ed efficace. Perché abbiamo bisogno di più informazioni, di più storie, per sapere cosa sta succedendo, soprattutto dopo l’arrivo di queste persone nei nostri paesi. Perché dobbiamo fare tutti qualcosa.
The 19 Million Project è un progetto creato da CILD Italia e Chicas Poderosas, e ha come sponsor Univision e Fusion. Tra i partner internazionali ci sono Google News Lab, Global Editors Network, Berkeley AMI e Valigia Blu.