L’assurda vicenda giudiziaria di Maysoon Majidi

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di Marco Biondi

Il 18 settembre sono stati nuovamente negati i domiciliari a Maysoon Majidi, la 28enne curda, regista, attrice e attivista per i diritti umani in Iran, arrivata nelle coste calabresi lo scorso 31 dicembre per sfuggire al regime di Teheran e arrestata dalle autorità italiane con l’accusa di favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Dopo aver partecipato alle proteste in Iran nel 2019 e dopo essere stata più volte arrestata e picchiata, Maysoon era fuggita con il fratello ad Erbil, nel Kurdistan iracheno, dove ha continuato il proprio attivismo in seguito all’uccisione di Mahsa Amini, nel settembre 2022. Nemmeno il Kurdistan iracheno era più un luogo sicuro per lei, e nell’estate del 2023 Maysoon Majidi decide di fuggire anche da lì. Il 26 dicembre 2023 era partita con il fratello e altre 75 persone, ma di loro non è rimasto più nessuno in Italia, esclusi lei e la persona che guidava l’imbarcazione.

“Io e mio fratello abbiamo fatto questo viaggio per salvarci la vita ed essere liberi in Europa” ha affermato in tribunale, dopo aver raccontato le varie fasi del suo viaggio. Dai giorni successivi allo sbarco Majidi viene portata nel carcere Rosetta Sisca di Castrovillari, per poi essere trasferita a Reggio Calabria. Come riportato da Lidia Ginestra Giuffrida su Open Migration, “secondo l’accusa avrebbe aiutato nella distribuzione di pasti durante il viaggio, il che, in base all’articolo 12 del testo unico sull’immigrazione, è sufficiente per incriminarla per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”, impedendole così di richiedere la protezione internazionale.

Maysoon non è l’unica vittima iraniana della criminalizzazione degli sbarchi. A 200 km di distanza, dietro le sbarre del carcere di G. Panzera, a Reggio Calabria si trova Marjan Jamali, anche lei arrestata per presunto scafismo dopo essere sbarcata nell’ottobre 2023.
Marjan era fuggita da un marito violento e dal regime degli Ayatollah in cerca di una nuova vita per lei e per il figlio di otto anni, ma è stata arrestata appena arrivata in Italia. A indicarla come “colei che aveva preso i cellulari delle persone a bordo” sono stati tre uomini presenti nell’imbarcazione, adesso scomparsi, denunciati da Jamali per tentativi di violenza sessuale. “È per lo stesso modo di interpretare il processo migratorio sotto una lente securitaria ed emergenziale e mai di tutela, che Meysoon Majidi e Marjan Jamali sono ancora in carcere. Due donne fuggite in cerca di libertà ed emancipazione, una per motivi politici, etnici e di genere, l’altra per poter crescere il proprio figlio lontano dal marito violento e da un regime oppressivo”, conclude Giuffrida.

Come spiegato da Amnesty, “la legge italiana non si allinea alla definizione internazionale di “traffico di esseri umani” così come presente nel Protocollo delle Nazioni Unite adottato nel 2000 e ratificato dall’Italia, in cui “il traffico di migranti” viene definito come “il procurare – al fine di ricavare, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o materiale – l’ingresso irregolare di una persona in uno Stato di cui la persona non è cittadina o residente permanente” (articolo 3). Secondo il Protocollo delle Nazioni Unite sul traffico di esseri umani, dunque, perché una condotta possa essere considerata traffico di esseri umani e possa quindi essere soggetta a criminalizzazione, deve esserci l’intenzione “di ottenere, direttamente o indirettamente, un vantaggio economico o materiale di altro genere” (articolo 6). In linea con lo scopo espresso di proteggere i diritti dei migranti oggetto del traffico, il Protocollo delle Nazioni Unite proibisce la criminalizzazione delle stesse persone oggetto del traffico (articolo 5). All’interno del Protocollo delle Nazioni Unite sul traffico di esseri umani, il riferimento esplicito alla necessità che vi sia l’elemento del beneficio finanziario o materiale di altro genere affinché una persona possa essere perseguita penalmente è volto a tutelare familiari e gruppi di supporto quali le Ong dalla responsabilità penale. La normativa italiana in tema di favoreggiamento dell’ingresso irregolare non comprende il vantaggio materiale quale elemento fondamentale nel reato”.

“Maysoon Majidi e Marjan Jamali erano in fuga dal loro paese quando sono sbarcate in Italia. Qui invece di trovare tutela e protezione sono state accusate di un reato – quello previsto dall’articolo 12 del Testo Unico Immigrazione (TUI) – che spesso colpisce persone che con il traffico di esseri umani non hanno nulla a che fare» ha dichiarato A Buon Diritto Onlus.

Ripercorrendo la vicenda giudiziaria di Maysoon Majidi emergono elementi dubbi che indeboliscono ulteriormente la posizione dell’accusa, dato che l’attivista iraniana non ha guidato materialmente l’imbarcazione, condotta da un cittadino turco. L’altro elemento fondamentale da tenere in considerazione è che le due persone che hanno fatto la testimonianza hanno smentito le dichiarazioni registrate dai pm di Crotone sostenendo che la traduzione delle loro parole sia stata distorta. Come riporta il Manifesto, “l’incidente probatorio che avrebbe potuto chiarire la vicenda, calendarizzato nell’udienza del 14 maggio, si è concluso con un nulla di fatto perché i testimoni sono stati dichiarati irreperibili dal tribunale di Crotone. Testimoni che, invece, sono stati rintracciati facilmente, in Germania e Inghilterra, dal programma tv Le Iene. In un duplice videomessaggio i due naufraghi hanno ribadito di non aver mai accusato Majidi. Al contrario la definiscono «un passeggero come gli altri che non c’entrava nulla con il capitano». Ai fini processuali però quelle dichiarazioni non sono per ora utilizzabili dalla difesa, in quanto non è possibile recepire testimonianze dall’estero”. Sempre Amnesty afferma che “nelle udienze preliminari tenutesi finora nel procedimento che accusa Maysoon non è stato garantito un corretto interpretariato, in violazione di fatto del diritto a un giusto processo”. L’articolo 111 della Costituzione italiana prevede che una persona imputata sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo, per rispettate le sue garanzie difensive. Tali garanzie ad oggi risultano disattese.

Inoltre, l’avvocato ha affermato alla Stampa che Maysoon sarebbe in possesso della ricevuta di pagamento del viaggio, cosa che dimostrerebbe che era a bordo dell’imbarcazione non in veste di organizzatrice.

Nelle ultime settimane, varie delegazioni del Pd, M5s e AVS hanno fatto visita a Majidi in carcere per offrire solidarietà e monitorare le sue condizioni di salute. “Quello che le viene attribuito – ha dichiarato l’ex presidente della Camera Laura Boldrini fuori dal carcere – è assolutamente falso. Voglio sperare che tutto ciò non sia dovuto al clima politico. Ma è possibile che tutti possono parlare con i due sedicenti accusatori e, invece, il tribunale non riesce ad acquisire le loro testimonianze? Non vorrei che questa modalità, sull’onda dell’idea che bisogna trovare nel globo terraqueo tutti gli scafisti, possa influenzare e arrivare anche laddove invece bisogna valutare sulla base della realtà”, ha continuato.

Maysoon Majidi ha ripreso lo sciopero della fame per protestare contro l’ingiusta e inaspettata reclusione e il reiterato rifiuto di concedere misure alternative al carcere da parte delle autorità italiane. Le sue condizioni di salute peggiorano ogni giorno, ha perso 30 chili, non dorme, assume costantemente psicofarmaci e soffre di attacchi di panico. Tuttavia le è stata negata una visita di una psicologa da lei indicata.

CILD sta seguendo la vicenda di Maysoon Majidi e da tempo, sollecitiamo i decisori politici a modificare le leggi che criminalizzano, imprigionano, puniscono invece che tutelare e proteggere le persone in ricerca di una vita libera e sicura, a partire dall’articolo 12 del Testo Unico Immigrazione. Questa storia, infatti, non è un caso isolato, come racconta il report “Dal mare al carcere” di Arci Porco Rosso e Alarm Phone.

Donna, Vita e Libertà.