La vera “emergenza” migranti: l’abuso di psicofarmaci nei Cpr

Share on FacebookTweet about this on TwitterShare on LinkedInEmail to someone
Print Friendly

di Eleonora Costa

La copertina n. 258 di Altreconomia è dedicata all’inchiesta “Rinchiusi e sedati” di Luca Rondi e Lorenzo Figoni, presentata lo scorso 6 aprile presso la Sala Stampa della Camera dei deputati.

L’indagine, tramite una preziosa raccolta e rielaborazione di dati inediti, arriva a quantificare un fenomeno che organizzazioni, attivisti e avvocati denunciano da anni: l’uso eccessivo, sregolato e ingiustificato di farmaci e psicofarmaci all’interno dei Cpr.

«Mentre sono addormentati o storditi, le loro richieste diminuiscono: così le persone trattenute nel Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) non mangiano, non fanno ‘casino’, vengono rimpatriate e non pretendono i propri diritti. E soprattutto l’ente gestore risparmia, perché gli psicofarmaci costano poco. Il cibo e una persona ‘attiva’, invece, molto di più».

Le difficoltà nella raccolta e nella rielaborazione dei dati

Gli autori dell’inchiesta, cercando di fare chiarezza sul tema, si sono scontrati con la poca trasparenza dei dati a disposizione e con gravi tentativi di limitare l’accesso ad informazioni relative al campo dell’immigrazione.

«Il tema della trasparenza non è nuovo: se ne è parlato in diverse occasioni. L’accessibilità fisica delle organizzazioni civili in questi luoghi è praticamente impossibile, a meno che la prefettura autorizzi l’accesso: cosa che non succede quasi mai (…). Il tema della trasparenza si riscontra anche nell’accesso ai dati. Ottenere questi dati non è stato facile né immediato. Sono state necessarie diverse richieste di accesso civico generalizzato ai soggetti che si articolano nella gestione dei centri (prefetture e asl di riferimento)», spiega Figoni.

Spesso le Prefetture – pur avendo compiti di vigilanza nei confronti degli enti gestori – non raccolgono (né tantomeno rielaborano) dati, rendendo così ancora più impenetrabile quella che viene spesso definita “la galera degli stranieri”.

Non sorprende, pertanto, che a fronte delle richieste di informazione avanzate da Rondi e Figoni: (i) la Prefettura di Gorizia abbia sottolineato che «l’erogazione dei servizi non avviene tramite rendicontazione delle spese mediche affrontate»; e similmente (ii) la Prefettura di Milano, rinviando alla normativa sull’accesso civico generalizzato, abbia affermato che «l’amministrazione non è tenuta a rielaborare i dati, ma solo a consentire l’accesso ai documenti contenenti informazioni di cui l’amministrazione è già in possesso».

A complicare ulteriormente la situazione vi è la contraddittorietà delle poche risposte ottenute.

Ad esempio, alla semplice domanda «Chi paga gli psicofarmaci?»: da una parte, la Prefettura di Milano ha risposto che «i farmaci acquistati dall’ente gestore sono prescritti da personale sanitario dotato di ricettario del Servizio sanitario nazionale, in capo al quale ricadono i relativi costi»; dall’altra, invece,  l’Asl – facendo riferimento al Protocollo d’intesa siglato con la Prefettura – ha precisato che il ricettario può essere utilizzato per tutta una serie di prestazioni, ma «non per le prescrizioni di farmaci a cittadini stranieri irregolari».

Circa la rielaborazione dei dati raccolti, gli autori hanno poi raccontato di essere stati costretti ad «andarsi a spulciare centinaia di scontrini ottenuti nell’arco di cinque mesi e cominciare a metterli a sistema per ottenere le percentuali contenute nell’inchiesta».

La domanda che rivolge Figoni al pubblico, tra il retorico e il provocatorio, è lecita: «Come si fa a ricostruire la filiera se neppure le amministrazioni comunicano tra di loro, se si ottengono risposte contrastanti?».

Le quantità e tipologie di farmaci somministrati nei Cpr

I dati e le risposte ottenute dagli autori dell’inchiesta – seppur limitate e parziali, a causa delle difficoltà di cui si è detto – hanno comunque permesso di far emergere l’abuso quotidiano di psicofarmaci in vari Cpr d’Italia.

In particolare, confrontando i dati ottenuti sulla spesa in farmaci effettuata dagli enti gestori dei Cpr con quelli ottenuti dal Centro salute immigrati (Isi) di Vercelli, il servizio delle Asl che in Piemonte prende in carico le persone senza regolare permesso di soggiorno (non iscrivili quindi al sistema sanitario nazionale) e segue una popolazione simile a quella dei trattenuti del Cpr anche per età (15-45 anni), provenienza e condizione di “irregolarità”, è emerso che: «a Vercelli la spesa in psicofarmaci rappresenta lo 0,6% del totale: al Cpr di via Corelli a Milano, invece, questa cifra è 160 volte più alta (il 64%), al “Brunelleschi” di Torino 110 (44%), a Roma 127,5 (51%), a Caltanissetta Pian del Lago 30 (12%) e a Macomer 25 (10%)».

Per quanto riguarda la tipologia di farmaci acquistati, poi, l’inchiesta rivela «un elevato consumo di derivati delle benzodiazepine, che dovrebbero essere utilizzati quando i disturbi d’ansia o insonnia sono gravi. A Roma in tre anni (2019, 2020 e 2021) sono state acquistate 3.480 compresse di Tavor su un totale di 2.812 trattenuti, cui si aggiungono, tra gli altri, 270 flaconi di Tranquirit da 20 millilitri e 185 fiale intramuscolo di Valium. Gli stessi farmaci li ritroviamo a Caltanissetta: 2.180 pastiglie di Tavor (più 29 fiale) tra il 2021 e il 2022; Zoloft (antidepressivo, 180 compresse); Valium e Bromazepam. Simile la situazione a Milano: tra ottobre 2021 e febbraio 2022 sono state acquistate, tra le altre, 27 scatole di Diazepam e 32 di Zoloft».

Inoltre, la riscontrata presenza nei Cpr di farmaci antipsicotici come Quetiapina, Olanzapina o Depakin, indicati nella terapia di schizofrenia e disturbo bipolare; nonché di antiepilettici quali Pregabalin; Akineton (utilizzato per il trattamento del morbo di Parkinson) o Rivotril, ha reso evidente il contrasto tra la realtà e quanto prescritto dalla direttiva del maggio 2022, ai sensi della quale la visita di idoneità serve a escludere dai Cpr patologie evidenti come malattie infettive contagiose, disturbi psichiatrici, patologie acute o cronico degenerative che non possano ricevere le cure adeguate in comunità ristrette. Insomma, «c’è una frizione molto forte» – come osserva giustamente Maurizio Veglio – «se una prescrizione legislativa specifica che persone con determinate patologie non possono stare nel centro e poi abbiamo percentuali di spesa così alte per farmaci ‘congruenti’ con quel profilo».

A conferma del malessere che si vive nei Cpr, l’inchiesta segnala infine spese elevate anche rispetto a farmaci più leggeri quali paracetamolo, antidolorifici, gastroprotettori e farmaci per dolori intestinali: «Un esempio su tutti: a Roma, in cinque anni, sono state acquistate 154.500 compresse di Buscopan su un totale di 4.200 persone transitate. In media, 36 pastiglie a testa quando un ciclo “normale” ne prevede al massimo 15».

Tornando al tema della mancata trasparenza non stupisce, allora, che i Cpr siano dei buchi neri a cui è impossibile accedere: quando, infatti, si cerca e si riesce a fare luce – anche grazie ad inchieste come questa – i dati che emergono sono terribili e raccontano come i diritti dei detenuti siano totalmente calpestati e svuotati di ogni significato.

Quanto emerso dall’inchiesta “Rinchiusi e sedati” conferma ancora una volta la strutturale incompatibilità tra la detenzione amministrativa e il rispetto dei diritti umani. È pertanto impensabile aprire nuovi Cpr: occorre, piuttosto, impegnarsi a chiudere quelli che già esistono e a percorrere alternative alla detenzione non coercitive, che tutelino i diritti e il benessere delle persone.

 

[Immagine di copertina: Foto della copertina del numero 258 di Altreconomia]