Esistono alternative alla detenzione dei migranti in CPR
di Eva Tennina
Secondo le stime dell’ISMU nel 2021, a fronte di 5.237.000 cittadini stranieri presenti regolarmente in Italia, quelli irregolarmente soggiornanti sarebbero stati il 9% (519.000), percentuale costantemente in aumento dal 2013.
Le principali cause di questo dato sono da ricondurre alle scarse possibilità di entrare legalmente, alla perdita del lavoro con conseguente impossibilità di rinnovare il proprio permesso di soggiorno, alle difficoltà burocratiche e alla disinformazione a fronte delle numerose modifiche normative.
Alcune di queste persone, pur essendo in possesso dei requisiti necessari per richiedere un permesso di soggiorno, non sono consapevoli dei propri diritti e rinunciano a informarsi per diffidenza nelle istituzioni e per timore di essere trattenuti nei centri di permanenza per i rimpatri (CPR) ed espulsi dall’Italia.
A partire dal 2019 Progetto Diritti ha implementato, nell’ambito di alcuni progetti realizzati insieme alla Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili (CILD) l’approccio olistico del case management per la presa in carico delle persone straniere sprovviste di regolare permesso di soggiorno e la ricerca di possibili percorsi di regolarizzazione. Tale approccio consente di identificare eventuali vulnerabilità e criticità di ogni singolo individuo, approfondendo tutti gli elementi sul proprio vissuto e sulla storia migratoria. Ad oggi le azioni attivate nell’ambito di questa sperimentazione hanno permesso di prendere in carico 138 persone sprovviste di regolare permesso di soggiorno, 66 delle quali hanno già ottenuto un titolo di soggiorno, gli altri hanno avviato la procedura di regolarizzazione e attendono appuntamento dalle autorità o stanno esplorando possibili strategie. Molte di queste persone sono particolarmente vulnerabili, risultano affette da patologie fisiche e/o psichiche, sono vittime di tratta o genitori di minori a loro volta affetti da gravi patologie, hanno quindi diritto a essere inseriti in percorsi di assistenza ma spesso non lo sanno.
Nel 2022 è stata elaborata una breve pubblicazione che descrive esempi di alternative non coercitive a livello internazionale ed europeo e riporta alcuni casi positivi di applicazione del case menagement in percorsi di regolarizzazione in Italia, con lo scopo di diffondere informazioni che permettano di comprendere la sostenibilità di questo approccio e che allo stesso tempo mettano in luce il non-senso della detenzione amministrativa.
Nonostante questo provvedimento non si sia mai dimostrato efficace e appaia esclusivamente punitivo, oltre che costoso e dannoso, l’attuale governo ha già annunciato di voler investire circa 40 mln di euro per ampliare il sistema di detenzione amministrativa.
Si continua dunque ad alimentare un approccio emergenziale, anziché esplorare possibili azioni che permettano alle persone di uscire dalla situazione di irregolarità amministrativa, sottraendosi in tal modo all’inevitabile condizione di marginalità e sfruttamento.
Le persone che vengono trattenute nei CPR ne escono, oltretutto, in condizioni psico fisiche ben peggiori. È infatti noto come sono costrette a vivere per il tempo del trattenimento, in luoghi non idonei, senza privacy e con scarsa igiene, privati dei telefoni cellulari, senza alcuna attività e senza adeguate informazioni sulle procedure che li riguardano, in uno stato di incertezza, isolamento e abbandono che causa apatia, spaesamento e depressione. Se viene loro diagnosticata una patologia o una condizione di fragilità che ne determina l’incompatibilità con il trattenimento, il rilascio avviene senza che si proceda con l’attivazione dei servizi socio sanitari del territorio, abbandonando paradossalmente le persone a se stesse, dopo averne accertato la vulnerabilità.
Alla base delle alternative non coercitive vi è, in netta opposizione a quanto avviene nei CPR, l’attenzione all’individuo nella sua complessità, si instaura un rapporto di fiducia che permette alla persona di aprirsi e raccontare esperienze e dettagli della propria vita e del proprio percorso migratorio, informazioni che risultano fondamentali per far emergere eventuali traumi e vulnerabilità.
Il case management intende attivare i servizi e le opportunità che possono migliorare la condizione della persona, non solo quelli prettamente legati alla sfera sanitaria e legale, ma anche possibilità di formazione e socializzazione proposte dalle organizzazioni della società civile. Si contrappone dunque un percorso di cura, di empowerment e di reale inserimento nel tessuto sociale, rispetto all’estraneamento dalla società e al malessere causato dalla detenzione amministrativa.
I recentissimi fatti di cronaca ci mostrano, ancora una volta, come sia urgente e necessario rivedere le politiche migratorie. Servono nuovi canali che permettano alle persone in fuga dal proprio Paese, alla ricerca di un futuro migliore, di entrare in Europa in sicurezza e c’è bisogno di far emergere dall’irregolarità le centinaia di migliaia di persone costrette a vivere ai margini della società, invisibili, ricattabili e sfruttabili.
In copertina: CPR di Palazzo San Gervasio, foto di Emma Barbaro