Il diritto di accesso alle strutture detentive per persone straniere

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Di Nicola Datena, Valeria Capezio e Annapaola Ammirati

 

La sentenza del 2 gennaio 2023, n. 1 della Prima Sezione del Tar Lombardia – Sede di Milano (reperibile a questo link), torna sul tema dell’accessibilità ai luoghi di trattenimento e, in particolare, del centro di permanenza per il rimpatrio di Milano, confermando il diritto degli enti di tutela di accedere ai luoghi di detenzione e trattenimento delle persone straniere.

La decisione interviene a conclusione di un processo promosso dall’Associazione Naga – Organizzazione di Volontariato per l’assistenza sociosanitaria e per i diritti di cittadini stranieri, rom e sinti (Naga ODV) che opera a Milano e che si è vista negare l’autorizzazione all’accesso al Centro di Permanenza per il rimpatrio (CPR) di Via Corelli.

La Prefettura di Milano, nel motivare il rigetto dell’istanza di accesso avanzata dall’associazione, in modo conforme al parere espresso sulla stessa istanza dal Ministero dell’Interno, ha escluso la legittimazione dell’associazione ad accedere alle strutture di detenzione sia ai sensi delle norme relative alla detenzione dei richiedenti protezione internazionale (d.lgs. 142/2015), sia ai sensi del Regolamento amministrativo che disciplina il funzionamento e l’organizzazione dei centri di permanenza per il rimpatrio. (D.M. 2014 – ora Direttiva Lamorgese 19 maggio 2022)

Secondo la tesi dell’amministrazione gli “enti di tutela dei titolari di protezione internazionale con esperienza consolidata nel settore”, che, ai sensi dell’art. 7 comma 2 del d.lgs. 142/2015, possono chiedere l’autorizzazione all’accesso nelle strutture di trattenimento, sarebbero solo le associazioni che hanno nel loro statuto lo specifico fine sociale di tutela dei richiedenti la protezione internazionale. In relazione alla disciplina del Regolamento CPR, l’amministrazione ha poi specificato che l’Associazione richiedente non ha stipulato con il Ministero dell’Interno o con la Prefettura accordi di collaborazione per lo svolgimento di attività assistenziale all’interno dei centri di permanenza per il rimpatrio, accordi che sarebbero necessari e indispensabili per ottenere l’autorizzazione ad accedere alle strutture di trattenimento ai sensi dell’articolo 6, comma 3, lettera a), del decreto del Ministero dell’Interno del 20 ottobre 2014 (Regolamento CPR, ora sostituito dalla Direttiva Lamorgese del 19 maggio 2022).

Il Tar Milano, nel decidere sulla legittimità della decisione della Prefettura di Milano, ripercorre in modo chiaro le norme che disciplinano status delle persone straniere sottoposte a detenzione amministrativa e i luoghi di trattenimento ed evidenzia come alla piena libertà di corrispondenza delle persone trattenute prevista dalla norma (e che, senza dubbio, comprende il diritto e la facoltà di comunicare ed entrare in contatto con l’esterno) deve corrispondere la facoltà degli enti di tutela di accedere alle strutture.

 

1. Il diritto di accesso alle strutture di detenzione amministrativa e di trattenimento ai fini del rimpatrio

Nel delineare il profilo del diritto di accesso alle strutture di detenzione e ai luoghi di trattenimento è indispensabile far riferimento alle Direttive europee che dispongono le norme e le procedure comuni applicabili alla procedura di rimpatrio dei cittadini stranieri (Direttiva 2008/115/CE) e che disciplinano l’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale. (Direttiva 213/33/UE).

L’art. 16, c. 4, della Direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008 recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare e, prevede che: “i pertinenti e competenti organismi ed organizzazioni nazionali, internazionali e non governativi hanno la possibilità di accedere ai centri di permanenza temporanea di cui al paragrafo 1, nella misura in cui essi sono utilizzati per trattenere cittadini di paesi terzi in conformità del presente capo. Tali visite possono essere soggette ad autorizzazione”.

L’articolo 10, comma 4 della Direttiva 2013/33/UE prevede che: “Gli Stati membri garantiscono ai familiari, avvocati o consulenti legali e rappresentanti di organizzazioni non governative competenti riconosciute dallo Stato membro interessato la possibilità di comunicare con i richiedenti e di rendere loro visita in condizioni che rispettano la vita privata. Possono essere imposte limitazioni all’accesso al centro di trattenimento soltanto se obiettivamente necessarie, in virtù del diritto nazionale, per la sicurezza, l’ordine pubblico o la gestione amministrativa del centro di trattenimento, e purché non restringano drasticamente o rendano impossibile l’accesso”.

A livello nazionale e di normativa secondaria, l’accesso ai predetti centri di permanenza per il rimpatrio e le strutture di detenzione di cittadini stranieri era disciplinato, come già detto, dal Regolamento CPR approvato con Decreto del Ministero dell’Interno del 20 ottobre 2014 ora sostituito dalla Direttiva Lamorgese. Sia l’art. 6 del Regolamento del 2014 che l’attuale  art. 7 – rubricato “Accesso ai centri”, disciplina, appunto, le modalità di accesso ai CPR, individuando diversi enti e soggetti che hanno facoltà di presentare richiesta di essere autorizzati e, per quel che interessa al presente atto, il comma 7 dell’art. 7 lett. h della Direttiva (già comma quarto dell’art. 6 del Regolamento) prevede che l’accesso sia consentito, con le modalità di cui al successivo comma 8, ai seguenti soggetti: “a) familiari, nonché il convivente dello straniero previa documentazione attestante la parentela o la convivenza; b) giornalisti e foto-cineoperatori; c) ministri di culto accreditati presso la confessione religiosa di appartenenza su richiesta dello straniero; d) personale della rappresentanza diplomatica o consolare del paese di origine, su richiesta dello straniero o dell’unità organizzativa dell’Ufficio Immigrazione presente nel Centro, Versione accessibile 9 fermo restando il divieto di contatto con stranieri per i quali sia in corso la procedura di riconoscimento della protezione internazionale; e) rappresentanti di enti di tutela dei titolari di protezione internazionale con esperienza consolidata nel settore, ai sensi dell’art. 7 d.lgs. 142/2015, con possibilità di colloquio con i richiedenti asilo eventualmente presenti; f) associazioni di volontariato o cooperative di solidarietà sociale ammesse a svolgere attività di assistenza; g) organizzazioni che operano per conto dell’UNHCR in base a progetti sviluppati specificamente per i CPR;  h)) altri soggetti che ne facciano motivata richiesta”.

Sempre sul piano della normativa nazionale, in relazione alle persone richiedenti asilo, nel 2015, ha disciplinato, oltre allo specifico procedimento di applicazione della misura di trattenimento dei richiedenti asilo, anche l’accesso alle strutture di detenzione.

In particolare, l’art. 7 comma 2 del d.lgs. 142/2015 stabilisce che “è consentito l’accesso ai centri di cui all’articolo 6, nonché la libertà di colloquio con i richiedenti […] ai rappresentanti degli enti di tutela dei titolari di protezione internazionale con esperienza consolidata nel settore, ai ministri di culto, nonché agli altri soggetti indicati nelle direttive del Ministro dell’interno adottate ai sensi dell’articolo 21, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, con le modalità specificate con le medesime direttive”. Il medesimo articolo, al comma 3, prevede che l’accesso ai centri degli enti di tutela esponenziale possa essere limitato esclusivamente “per motivi di sicurezza, ordine pubblico, o comunque per ragioni connesse alla corretta gestione amministrativa dei centri di cui all’articolo 6”, ma non impedito completamente.

Da ultimo, al fine di evidenziare la crescente attenzione sul tema delle condizioni di trattenimento (da cui discendono anche le esigenze di trasparenza dell’attività amministrativa ivi esercitata di cui si dirà meglio nel prosieguo), giova precisare che il Legislatore del 2020 ha modificato l’articolo 14, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, i cui commi 2 e 2bis attualmente recitano: “2. Lo straniero è trattenuto nel centro, presso cui sono assicurati adeguati standard igienico-sanitari e abitativi, con modalità tali da assicurare la necessaria informazione relativa al suo status, l’assistenza e il pieno rispetto della sua dignità, secondo quanto disposto dall’articolo 21, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394. Oltre a quanto previsto dall’articolo 2, comma 6, è assicurata in ogni caso la libertà di corrispondenza anche telefonica con l’esterno” e “2-bis. Lo straniero trattenuto può rivolgere istanze o reclami orali o scritti, anche in busta chiusa, al Garante nazionale e ai garanti regionali o locali dei diritti delle persone private della libertà personale”.

Dunque, come sottolineato anche dalla sentenza in commento, dal quadro normativo emerge chiaramente che, tra le garanzie minime degli stranieri trattenuti, vi è il diritto di mettersi in contatto con organizzazioni ed enti che tutelano i diritti dei cittadini di Paesi terzi e che a tale diritto corrisponde non solo la possibilità, ma il diritto/dovere delle associazioni di accedere a tutti i luoghi utilizzati per la detenzione amministrativa.

Numerose sono le pronunce che hanno affermato il diritto delle associazioni di accedere alle strutture di trattenimento (Tar Palermo, SEZ. III, sentenza n. 2169 del 21 ottobre 2020, Tar Piemonte, SEZ. I, sentenza n. 360 del 6 aprile 2021, nonché, da ultimo, Tar Sardegna, SEZ. I, sentenza 24 dicembre 2021, n. 838/2021, tutte reperibili sul sito di giustizia amministrativa), ma quella del Tar Milano aggiunge e specifica che l’amministrazione, nel pronunciarsi in merito all’istanza di accesso, non deve limitarsi a valutare la legittimità soggettiva in astratto dell’ente sulla base dello statuto e degli scopi sociali, ma ha l’onere di verificare in concreto l’attività di tutela svolta dal soggetto che richiede l’accesso e, soprattutto, la motivazione dell’istanza:”la legittimazione degli <altri soggetti che ne facciano motivata richiesta> non è stata espressamente regolamentata dalla norma secondaria, per cui vale la regola prevista dalla fonte primaria, nel caso di specie  l’articolo 7, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, per cui la legittimazione degli enti di tutela dei titolari di protezione internazionale deve essere individuata sulla scorta dell’esperienza dagli stessi maturata nel settore e non in base all’interpretazione delle clausole statutarie“.

 

2. I luoghi di trattenimento

Per comprendere l’ambito di applicazione del principio espresso dal Tribunale amministrativo milanese nella sentenza n. 1 del 2023 è importante specificare che, in Italia e in Europa, il trattenimento dei cittadini stranieri ai fini di eseguirne il rimpatrio forzato non avviene solo presso i Centri di Permanenza per il rimpatrio, ma anche in altri luoghi quali gli Hot-Spot, le zone di transito aeroportuali e i c.d. luoghi idonei.

E infatti, nel corso degli anni, i luoghi ove poter trattenere i cittadini stranieri, insieme ai casi in cui è possibile un tal limitazione della libertà personale, nel corso degli anni si sono moltiplicati.

Al moltiplicarsi dei luoghi, tuttavia, non è seguito l’automatico riconoscimento dei diritti delle persone detenute che, almeno per i CPR e almeno in linea puramente teorica, la normativa primaria e secondaria riconoscono espressamente (altra cosa, purtroppo non automatica, è l’attuazione della medesima normativa).

Da qui la necessità di adire il giudice amministrativo anche al solo fine di veder affermare la natura di luogo di trattenimento, ad esempio, delle zone di transito aeroportuali, e, quindi, di chiedere di accedere anche in questi luoghi, in ossequio alle direttive europee che parlano di centri di permanenza temporanea in tutti i casi in cui le persone straniere subiscano la limitazione della propria libertà personale (art. 16, comma 4, Direttiva rimpatri su citato).

Per dare una sintetica panoramica, inizialmente esistevano solo i Centri di Permanenza Temporanea (CPT), poi ribattezzati come Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE) che oggi, ai sensi dell’art. 19, c. 1, del D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, si chiamano Centri di Permanenza per il rimpatrio (CPR). In seguito con l’evoluzione della normativa europea sono aggiunti i cd. hotspot o punti di crisi di cui all’art 10 ter del T.U., nonché i cd. “luoghi idonei” del D.L. 23 giugno 2011, n. 89, nella disponibilità delle autorità di pubblica sicurezza o della polizia di frontiera (art. 13, comma 5 bis come integrato dal DL 130/2020).

Le caratteristiche o la denominazione del luogo di trattenimento però, in accordo con la giurisprudenza sia in relazione alle zone di transito aeroportuali, agli Hot-Spot e ai c.d. luoghi idonei, non incidono sui diritti minimi garantiti ai cittadini stranieri e, di conseguenza, al diritto di accesso riconosciuto agli enti di tutela e agli “altri soggetti” che ne fanno motivata richiesta. È lo stesso art. 13, comma 5 bis cit., come successivamente modificato dal DL 130/2020, a estendere – mediante il richiamo alle disposizioni di cui all’art. 14, comma 2 dello stesso decreto legislativo – alle “strutture diverse e idonee” tutte le garanzie che l’ordinamento riconosce agli stranieri trattenuti nei CPR.

Sul punto il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale ha avuto modo di definire le strutture “idonee al trattenimento” come “un surrogato dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio”, ove devono pertanto essere garantiti “gli stessi standard in termini di tutela dei diritti di chi vi è ospitato” (cfr. Relazione al Parlamento del 2019, pag. 80).

A tal proposito appare utile richiamare il Tar Milano, con la sentenza n. 2322/2022, pubblicata in data 24 ottobre 2022, in merito al diritto di accesso delle associazioni o enti di tutela ai luoghi idonei al trattenimento, richiamando proprio quanto affermato dal Garante Nazionale delle persone private della libertà personale ha chiarito che “la disciplina contenuta nell’articolo 13, comma 5-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, il quale, nel richiamare espressamente l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 14, comma 2, del medesimo testo unico, si propone di garantire agli stranieri trattenuti temporaneamente nelle strutture di ricovero che sono nella disponibilità dell’Autorità di pubblica sicurezza la necessaria informazione e la libertà di corrispondenza con l’esterno, le quali possono essere efficacemente realizzate dalle associazioni di promozione sociale aventi ad oggetto la tutela dei diritti degli immigrati”. (Tar Milano – Sez. Prima – sentenza n. 2322/2022, pubblicata in data 24 ottobre 2022, si veda commento a questo link)

La pronuncia appena citata è di particolare interesse perché chiarisce come il diritto di visita degli enti di tutela dei cittadini stranieri nei CPR (disciplinato dall’articolo 7, comma 7 del nuovo Regolamento adottato con d.m. 19.5.2022) deve ritenersi esteso anche ad altri luoghi in cui si consuma una privazione della libertà personale del cittadino straniero ai soli fini del rimpatrio, in linea con i precedenti della  giurisprudenza amministrativa che si era espressa in senso estensivo già con riferimento agli hotspot (in particolare TAR Sicilia, sentenza n. 2473 del 24 agosto 2021) e alle zone di transito aeroportuali (Consiglio di Stato, ordinanza n. 74 del 14 gennaio 2022).

 

3. L’istanza di autorizzazione all’accesso

L’ultima sentenza del Tar Milano, come già più volte detto, si pone in continuità con le già citate sentenze del Tar Palermo, Sardegna e Piemonte. offre importanti precisazioni anche in merito al procedimento amministrativo necessario ad addivenire a una decisione in merito alle istanze di accesso alle strutture di trattenimento dei cittadini stranieri. 

È noto che ricevuta la richiesta di accesso, la Prefettura UTG competente per territorio acquisisce il nulla osta della Questura e trasmette tempestivamente le richieste ai competenti uffici del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno. Acquisito il parere del Ministero dell’Interno, la Prefettura autorizza l’ingresso e comunica all’ente gestore del CPR i nominativi delle persone autorizzate. In caso di diniego, ai sensi dell’articolo 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, il quale prevede che nei procedimenti a istanza di parte, come quello in oggetto, devono essere tempestivamente comunicati all’istante i motivi che ostano all’accoglimento della sua domanda, al fine di stimolare il contraddittorio procedimentale e di giungere, mediante l’approfondimento del punto di vista dell’istante, a un possibile esito favorevole del procedimento.

La sentenza n. 1/2023 del Tar Milano specifica che l’istruttoria che la Prefettura e il Ministero sono chiamati a svolgere non possa fermarsi alla mera valutazione delle norme statutarie, dovendo verificare in concreto l’attività di tutela svolta dal soggetto che richiede l’accesso. e le specifiche motivazioni della richiesta.

D’altronde, come affermato in particolare dal Tar Sicilia, in particolare, nella sentenza n. 2473 del 24 agosto 2021, l’accesso a tali strutture non è solo funzionale ai primari diritti dei trattenuti, ma anche ad attività di monitoraggio e ricerca che rientrano nel più ampio concetto di accessibilità e trasparenza dell’azione amministrativa esercitata secondo i canoni costituzionali del buon andamento.

L’affermazione di questo orientamento giurisprudenziale rappresenta solo l’inizio di un percorso ormai avviato da tempo per affermare il diritto delle persone trattenute di entrare in contatto con il mondo esterno e il diritto dell’opinione pubblica di conoscere la realtà di questi luoghi con l’obiettivo non solo di renderli più visibili e di eliminare il cono d’ombra nel quale le amministrazioni competenti li hanno volutamente relegati, e quindi non solo nel rispetto del principio della trasparenza dell’attività amministrativa, ma soprattutto al fine di realizzare il fine politico che ispira le azioni portate avanti nelle aule giudiziarie, ma prima ancora nelle piazze e nelle proprie sedi dalle associazioni e dai movimenti, di vederli finalmente e definitivamente chiusi.

 

Foto copertina via Twitter/Global Project