Il nuovo governo riparta dalla dolcezza del linguaggio
L’ultimo anno e mezzo di governo è stato un orribile, infinito turpiloquio. L’ex ministro degli Interni ci ha abituato a tutto: alla sgrammatica istituzionale, alla cattiveria, alla violenza dei gesti e delle parole. Sono stati mesi nei quali non era facile praticare una qualsiasi forma di resistenza a tale declino.
Ogni giorno si era costretti ad ascoltare o leggere qualche parolaccia, a subire qualche forma di malvagità, a contrastare qualche atto disumano, a vedere eroso qualche frammento di civiltà costituzionale. Matteo Salvini ci ha abituati a tutto questo, venendo meno al rispetto dell’alterità dei ruoli sociali e pubblici. Anche i giudici e le corti sono finiti sotto la sua ruspa. Era sufficiente che non gli dessero ragione perché lui giungesse a delegittimarli, intonando il solito ritornello trumpiano secondo cui a decidere dovrebbe essere solo chi viene eletto dal popolo e non chi opera nei tribunali. Salvini avrebbe voluto imporre una desertificazione delle autorità di garanzia, dei movimenti sociali, delle organizzazioni non governative, della magistratura.
Il linguaggio istituzionale è così diventato truce. E se era truce il linguaggio del ministro a seguire potevano essere truci i giornalisti, gli opinionisti, e perché no, anche tutti i followers. È stata montato ad arte il panico allo scopo di alimentare strategicamente montagne di odio.
Ora che Salvini è all’opposizion,e verrebbe voglia di scrivere una lunga lista della spesa e ottenere norme che desalvinizzino l’Italia in tutti campi, a partire dall’immigrazione ma più estensivamente in tutti i settori delle libertà civili e dei diritti costituzionali. Però, forse, la prima cosa da fare è una rivoluzione del linguaggio nel nome della dolcezza, della dignità e del rispetto di uomini, donne e istituzioni. Noi che ci occupiamo di vulnerabili, di diritti umani, di tutti quelli che sono a rischio di esclusione sociale, prima di tutto, pretendiamo una diversa grammatica istituzionale e una rivoluzione nel linguaggio.
Un linguaggio che sia non più intriso di odio ma che rispetti le diversità, a partire da quelle di opinione. Un rom è un pezzo di umanità. Nessun detenuto deve mai marcire in galera, neanche un colletto bianco condannato per finanziamento illecito straniero o per avere intascato 49 milioni di euro. La ruspa serve nei cantieri e non nei campi o nei tribunali. Le sentenze e le ordinanze dei giudici sono atti che si possono criticare ma non al punto da chiedere l’internamento o la galera per chi li ha emanati. Le vite, bianche o nere, sono vite e come tali vanno trattate, nei gesti e nelle parole. Chi soccorre è un soccorritore; non è un trafficante, fino a prova giudiziaria contraria.
Ci vorrà tempo, ma la strada da percorrere è quella dell’adesione a un nuovo paradigma, fondato, come detto, sul rispetto, sulla dignità e sulla dolcezza, anche quando si hanno posizioni difformi. Il mondo si cambia con le pratiche prima ancora che con le norme. È per noi questo il primo banco di prova del nuovo governo desalvinizzato.
A seguire, tutti gli altri.
*Patrizio Gonnella è presidente di Antigone e membro del Comitato Esecutivo di CILD di cui è stato presidente dal 2014 al 2019
In copertina: L’Europa a Roma – Celebrazioni del Parlamento italiano. Via Flickr/Camera dei Deputati (CC BY-ND 2.0)