Italia-Russia e quelle analogie che minano la rule of laws
Quando eravamo piccoli, a molti di noi i genitori suggerivano di non accettare caramelle dagli estranei e di scegliersi bene gli amici. Non ho mai capito la questione della caramelle, più chiara quella degli amici. A prima vista sembravano suggerimenti stereotipati o precauzioni eccessive, a volte fondate sul pregiudizio. Eppure quelle frasi buttate lì da genitori ansiosi oggi sono utili a comprendere il mondo politico in cui siamo tragicamente immersi. Se quando sei a casa o sei con un amico senti bestemmiare ti sembrerà normale comunicare bestemmiando. Se hai dodici anni e vedi un tuo amico più grande buttarsi da uno scoglio pericoloso vorrai farlo anche te.
Non voglio mica degradare l’analisi politica ad analisi antropologica ma c’è bisogno anche dell’antropologia e della psicanalisi per comprendere i meccanismi usati dai potenti per erodere lo stato di diritto e il sistema delle garanzie individuali. Ci sono un paio di principi sacrosanti che abbiamo ereditato dall’illuminismo, ossia il principio di presunzione di innocenza e quello di rigida divisione tra il potere esecutivo e quello giudiziario. Ecco il discorso delle cattive frequentazioni prende qui di seguito sostanza.
Lo scorso 9 luglio la terza sezione della Corte europea dei diritti umani all’unanimità ha condannato la Russia per violazione dell’articolo 5 della Convenzione. La decisione è tanto più significativa perché presa da un collegio presieduto da una giudice slovacca e composta da un membro della stessa Russia. Dunque nessun membro della odiata Europa liberale faceva parte del collegio. In Russia è accaduto qualcosa di molto simile a quello che sta accadendo in Italia. Non c’è neanche bisogno di esplicitare le analogie, anzi le totali sovrapposizioni comunicative. Sembra un format che si ripete pedissequamente. Le somiglianze risulteranno evidenti a chiunque abbia letto le cronache nelle ultime settimane. Il caso è quello di Alexey Kalinichenko, difeso dinanzi alla Corte di Strasburgo da Andrea Saccucci e Giulia Borgna dello Studio Saccucci & Partners di Roma. Il signor Kalinichenko era accusato di frode. Il Ministro dell’Interno, quando il processo non è ancora iniziato e comunque era ben lontano dalle conclusioni, pronuncia in modo enfatico dichiarazioni truci di colpevolezza. La Corte di Strasburgo, come detto composta in questo caso anche da un giudice russo, ha sentenziato che in uno stato di diritto non si può fare. Un ministro dell’Interno non può dare del criminale a nessuno, altrimenti compromette la serenità del giudizio. Se ciò vale per la Russia varrà dunque anche per la Slovacchia, per Malta, per la Francia, per tutti i paesi dell’Unione Europea e infine anche per l’Italia. Nessun ministro dell’Interno, in Russia o in Italia, può esprimere giudizi di colpevolezza prima che ci sia stata una sentenza di condanna, altrimenti si pone fuori dalle regole, italiane ed europee, della rule of law. Bisogna, quindi, scegliersi meglio gli amici.