Moschee e libertà di culto: diritti e urbanistica
di Mary Cortese, Addetta stampa Progetto Diritti Onlus
Con una sentenza del gennaio scorso, il Tar del Lazio si pronunciava contro la chiusura di un centro di culto islamico in via dei Gladioli a Centocelle, Roma. Una sentenza importante, tanto più che dall’estate 2016, con un’infilata di interventi, sono stati apposti i sigilli ad almeno otto moschee, soprattutto nel territorio di Roma Est.
A settembre scorso, per l’immobile in via dei Gladioli numero 14, era stato chiesto il cambio di destinazione d’uso in sanatoria da commerciale a luogo di preghiera, accompagnato da opere di demolizione e ricostruzione di servizi igienici.
Il 22 settembre gli agenti della Polizia locale avevano però fermato i lavori: secondo il Municipio di Roma V, la richiesta di cambio di destinazione d’uso non sarebbe stata conforme alla normativa urbanistica vigente. Con conseguente provvedimento, l’autorità giudiziaria aveva sequestrato l’immobile.
Il ricorso per la moschea di via dei Gladioli era stato presentato dagli avvocati di Progetto Diritti Maria Rosaria Damizia e Mario Angelelli con l’avvocata Tamara D’Agostini, in rappresentanza del Centro Islamico Culturale Bangladesh Italia Onlus.
A fine gennaio il Tar ha accolto il ricorso e giudicato incomprensibili le ragioni per cui il cambio di destinazione d’uso richiesto sarebbe stato incompatibile con la normativa urbanistica richiamata. L’iter seguito dal centro islamico era dunque corretto.
Contro la chiusura dei centri di preghiera, la comunità di fede islamica si è più volte ritrovata a pregare in piazza, per affermare che il mimetismo religioso che i musulmani si trovano a vivere in Italia, è una necessità, non una scelta.
In Italia “non esiste una norma per essere a norma” ripete Francesco Tieri, portavoce del Coordinamento Associazioni Islamiche del Lazio. “La sentenza di via dei Gladioli non fa che confermare che siamo di fronte a un’inadempienza grave del Comune di Roma, la stessa che riguarda 8000 comuni italiani. Manca una norma concreta sulla Libertà di Culto e il vulnus giuridico riguarda soprattutto l’Edilizia di Culto”.
Il riferimento a livello nazionale è addirittura pre-repubblicano, la cosiddetta legge dei culti ammessi (n.1159 del 24 giugno 1929). In assenza di una normativa aggiornata, tutto viene relegato all’urbanistica che è competenza degli Enti locali. L’esercizio di un diritto fondamentale, sancito dalla nostra Costituzione, viene a essere relegato ad essa. Nel 2010 il Consiglio di Stato però è stato chiaro:
“i Comuni non possono sottrarsi dal dare ascolto alle eventuali richieste delle confessioni religiose che mirino a dare un contenuto sostanziale effettivo al diritto del libero esercizio garantito a livello costituzionale, non solo nel momento attuativo, ma anche nella precedente fase di pianificazione delle modalità di utilizzo del territorio” (Sentenza n° 8298 Consiglio di Stato, 27 novembre 2010).
“Nel frattempo che il Parlamento vari una norma adeguata coi tempi è compito dei Comuni censire tutte le presenze religiose e dare loro uno spazio sul piano urbanistico. Noi non vogliamo fare l’elogio dell’abusivismo – continua Tieri – ma per essere a norma con la grave inadempienza dei comuni, dovremmo rinunciare a un diritto fondamentale e questo non lo accettiamo”.
La Capitale oggi è la prima città italiana per numero assoluto di presenze musulmane (Neodemos). Si stima che siano circa 120mila i musulmani e l’Islam sia la seconda religione per numero di fedeli. Un “piccolo” Islam multietnico e multinazionale, all’interno del quale il 33% dei fedeli ha la cittadinanza italiana.
La libertà religiosa e il diritto di professare la propria fede (art.19 della Costituzione) sono una caratteristica fondante del nostro ordinamento e pertanto non negoziabili. La sentenza di gennaio potrebbe incoraggiare la volontà politica delle istituzioni ad affrontare il problema in modo strutturale. Solo lavorando sui diritti si possono inaugurare percorsi di inclusione e conoscenza reciproca e, al contempo scongiurare marginalizzazione e radicalizzazione.