“Nessun pericolo per lo Stato”. L’ennesimo abuso dei CPR.

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La Corte di Appello di Torino ha stabilito che Mohamed Shahin non rappresenta nessun pericolo per lo Stato italiano. Nel farlo ha di fatto disposto l’interruzione della detenzione dell’uomo, recluso nel CPR di Caltanissetta dal 24 novembre con un provvedimento di espulsione firmato dallo stesso ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Shahin, Imam nel quartiere di San Salvario a Torino, era accusato di aver giustificato, durante una manifestazione per la Palestina tenutasi nel capoluogo piemontese, quanto accaduto il 7 ottobre del 2023 in Israele, sostenendo dapprima di essere d’accordo con quanto accaduto quel giorno, per poi rivedere le sue dichiarazioni e inquadrando il 7 ottobre non come un’azione, ma come una reazione nel contesto dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi.

A poca distanza da questa presa di posizione è arrivato l’ordine di espulsione di Shainin e il suo arresto, mentre accompagnava a scuola i suoi due figli di 9 e 12 anni. Dopo venti giorni di detenzione in CPR, oggi la decisione della Corte d’Appello, che ha accolto il ricorso dei legali del cittadino egiziano.

Senza voler entrare nel merito delle dichiarazioni di Shahin, il tema che si pone ancora una volta è l’uso e l’abuso del sistema della detenzione amministrativa in Italia, utilizzata per privare della libertà un individuo che non ha commesso alcun reato.
La pericolosità per il paese della permanenza di Mohamed Shahin è infatti da provare. Lo stesso vescovo di Torino, all’indomani dell’arresto disse che dell’uomo “è da 21 anni in Italia, è incensurato e ha lavorato con serietà. Posso testimoniare che ha sempre lavorato per il dialogo e per la collaborazione a Torino. Mi sembra strano e assurdo che ora rischi di essere espulso per delle opinioni: in Italia c’è libertà di opinione. Possiamo essere contrari ma non possiamo condannare una persona soltanto per quello che ha espresso”.

La Procura di Torino già il 16 ottobre, su segnalazione della Digos, aprì un fascicolo sulle frasi pronunciate dall’Imam, archiviato dopo pochi giorni poiché non vi erano stati rinvenuti estremi di reato. Non esistendo dunque reati fino a questo momento, Shahin non ha rischiato neanche per un momento di essere detenuto in carcere.
Ma nonostante questo è stato detenuto, a fronte di un atto amministrativo del Ministro dell’Interno, in un Centro di Permanenza per il Rimpatrio. E viene da chiedersi come sia possibile che questo avvenga, come tutte le garanzie di difesa – se sei una persona straniera, anche regolarmente soggiornante in Italia da un lunghissimo arco di tempo – vengano meno.
Come un atto amministrativo possa cancellare quelle garanzie, ad esempio, ma non solo, quelle processuali che tutti i cittadini e le cittadine hanno davanti ad un’accusa che le riguarda.
Come è possibile che anche in questo caso un CPR si sia trasformato in un luogo di detenzione arbitraria, cancellando tutte quelle tutele minime che fanno la differenza tra uno stato di diritto e uno stato autoritario.

In questo quadro preoccupa l’uso della detenzione amministrativa come strumento di repressione delle opinioni. Una “pena senza reato”, già in passato utilizzata con altre persone, che colpisce in modo selettivo chi ha un background migratorio e manifesta dissenso politico, pubblico o anche espresso in contesti privati, sotto l’etichetta della pericolosità sociale. Così il CPR finisce per svolgere anche una funzione politica nei confronti di persone percepite come scomode.