La detenzione amministrativa delle persone migranti in Croazia
Riportiamo di seguito quanto emerso dal report Behind Bars, pubblicato dal Centro per gli Studi sulla Pace. Si tratta di un’organizzazione della società civile croata, nata nel 1996, che svolge attività di attivismo, advocacy, ricerca e impegno diretto nella tutela i diritti umani e nella promozione del cambiamento sociale, operando sulla base dei valori della democrazia, dell’antifascismo, della nonviolenza, della costruzione della pace, della solidarietà e dell’uguaglianza.
Qual è il quadro legislativo che regola la detenzione amministrativa nel Paese? (durata massima della detenzione, condizioni e servizi minimi, gestione pubblica o privata, processo di convalida della detenzione, ecc.)
La detenzione amministrativa in Croazia è disciplinata principalmente dalla Legge sugli Stranieri e dalla Legge sulla Protezione Internazionale e Temporanea, che recepiscono direttive dell’UE come la Direttiva rimpatri e la Direttiva sulle condizioni di accoglienza. Queste leggi consentono la detenzione dei cittadini di Paesi terzi fino a sei mesi, prorogabili di ulteriori dodici mesi se la persona rifiuta di fornire informazioni, ostacola il rimpatrio o si prevede l’arrivo a breve dei documenti di viaggio. I richiedenti asilo possono essere detenuti per un massimo di tre mesi, prorogabili a sei in casi eccezionali e giustificati.
La detenzione dovrebbe avvenire solo se la rimozione non può essere garantita con misure meno coercitive; tuttavia, nella pratica, essa è spesso automatica e priva di una valutazione individuale. Le strutture sono pubblicamente gestite dal Ministero dell’Interno e includono i centri di Ježevo, Tovarnik e Trilj, oltre a strutture informali come Dugi Dol, prive di infrastrutture di base.
Il controllo giudiziario esiste formalmente, ma è spesso superficiale: i tribunali si basano su vaghe valutazioni di sicurezza nazionale e su informazioni classificate dei servizi segreti.
I diritti fondamentali come l’accesso all’assistenza legale, ai traduttori o a condizioni di vita adeguate sono applicati in modo irregolare (a Trill sono stati segnalati problemi di sovraffollamento, condizioni igieniche precarie e scarso o assente accesso a cure mediche, assistenza legale e beni essenziali come cibo e acqua potabile; a Ježevo sono state denunciate condotte improprie da parte della polizia, inclusi abusi verbali, esposizione al freddo e restrizioni eccessive all’accesso all’aperto). Inoltre, i detenuti riferiscono spesso confusione sulla propria situazione legale e mancanza di accesso ai rimedi legali.
Le organizzazioni della società civile e le ONG hanno accesso a queste strutture? Quali sono gli ostacoli all’accesso?
L’accesso delle organizzazioni della società civile e delle ONG ai centri di detenzione per immigrati in Croazia è estremamente limitato e altamente regolato. Secondo la legge, le ONG possono visitare i centri solo se hanno firmato un accordo di cooperazione con il Ministero dell’Interno. Secondo l’ultimo rapporto, solo la Croce Rossa Croata disponeva di tale accordo, mentre l’UNHCR ha un accesso limitato e solo per sostenere i richiedenti asilo, non i migranti irregolari.
Le altre ONG, comprese quelle che offrono assistenza legale o psicosociale, sono di fatto escluse. Le visite devono essere preannunciate e l’accesso è soggetto a condizioni severe. Il risultato è che il monitoraggio indipendente è sporadico e insufficiente. Questa mancanza di accesso limita la vigilanza esterna e impedisce alle ONG di documentare abusi o fornire un supporto effettivo. L’Ufficio dell’Ombudsperson ha più volte richiesto un accesso più ampio per le ONG, soprattutto per garantire assistenza adeguata alle persone vulnerabili, ma tali richieste sono rimaste in gran parte inascoltate.
Se avete accesso ai centri per attività di monitoraggio, quali elementi osservate/indagate? Usate mai la legge sull’accesso alle informazioni (FOIA) per ottenere dati sui centri? Quali violazioni dei diritti umani emergono dalle vostre attività di monitoraggio?
Le attività di monitoraggio, quando consentite, riguardano condizioni di vita, igiene, alimentazione, accesso alle cure sanitarie, disponibilità di assistenza legale, identificazione di persone vulnerabili e se i detenuti siano informati sui propri diritti. Nei sondaggi condotti dall’Ombudsperson, i detenuti hanno riferito scarso accesso all’assistenza medica, informazioni minime o poco chiare sui diritti di asilo, mancanza di comunicazione con gli avvocati e, in alcuni casi, abusi verbali o fisici.
Il monitoraggio di siti informali come Dugi Dol è particolarmente difficile a causa della zona grigia legale e della loro posizione remota. Sebbene non sia esplicitamente menzionato l’uso di FOIA, il Centro per gli Studi sulla Pace e altri operatori legali hanno spesso incontrato resistenza da parte delle autorità nel fornire informazioni, invocando la riservatezza.
Le violazioni documentate includono detenzioni arbitrarie, negazione del diritto d’asilo, trattamenti degradanti, detenzione prolungata di minori, coercizione a firmare documenti in lingue sconosciute ed estorsione di denaro, in particolare verso chi viene percepito come abbiente.
Oltre alle attività di monitoraggio, svolgete anche altri tipi di intervento all’interno dei centri?
Sì, le organizzazioni della società civile si occupano anche di advocacy legale e rappresentanza delle persone detenute. Il loro lavoro include assistere i migranti nel contestare gli ordini di detenzione, presentare domande di asilo e intraprendere azioni di strategia litigation. Hanno anche portato alcuni casi davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, tra cui casi importanti come Y.K. contro Croazia, che mettono in luce la detenzione illegale e la negazione del diritto di asilo. Sebbene la fornitura diretta di servizi all’interno dei centri di detenzione sia fortemente limitata, le ONG collaborano spesso con avvocati e familiari per sostenere i detenuti dall’esterno. Le loro attività di advocacy si estendono alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica, al cambiamento delle politiche e alla segnalazione internazionale delle violazioni dei diritti umani.
L’Ombudsperson ha raccomandato di ampliare l’accesso a un maggior numero di organizzazioni della società civile che forniscono sostegno psicosociale e programmi educativi.
Cosa accade alle persone dopo il rilascio dai centri di detenzione amministrativa?
Il destino degli individui dopo il rilascio è spesso precaria. Molti vengono forzatamente rimpatriati nei Paesi confinanti, in particolare in Bosnia ed Erzegovina, attraverso accordi di riammissione, spesso senza adeguate procedure legali o coordinamento con le autorità locali. Alcuni vengono rilasciati solo dopo aver pagato i costi della propria detenzione e deportazione, come previsto dalla legge croata, pratica che è stata ampiamente criticata. Altri riferiscono di essere stati nuovamente detenuti poco dopo il rilascio, talvolta sulla base di informazioni non verificate provenienti dai servizi di intelligence. Molti restano in una condizione di limbo legale, senza supporto o guida per regolarizzare il proprio status. La mancanza di monitoraggio post-detenzione e di sostegno al reinserimento fa sì che le persone rimangano spesso vulnerabili a ulteriori abusi o al rientro nei sistemi di detenzione.
In che misura le informazioni sulle condizioni dei centri di detenzione raggiungono l’opinione pubblica attraverso i media tradizionali? Esistono movimenti di base che denunciano le condizioni e le esperienze interne?
Le informazioni sulle condizioni nei centri di detenzione croati raramente raggiungono i media mainstream in modo incisivo. A causa dell’accesso limitato, la mancanza di trasparenza e le barriere legali, pochi giornalisti sono in grado di riportare direttamente dai centri. Anche le organizzazioni della società civile e l’Ombudsperson hanno ripetutamente denunciato difficoltà nell’ottenere documenti completi o nel visitare tutte le aree delle strutture, rendendo ardua la raccolta di informazioni affidabili.
Tuttavia, organizzazioni di base, attivisti locali e ONG internazionali continuano a pubblicare testimonianze, rapporti e casi legali. Movimenti come quello del Centro per gli Studi sulla Pace e iniziative transfrontaliere in Bosnia ed Erzegovina lavorano per documentare e denunciare gli abusi. Alcuni casi, come quello dell’attivista russo Vladislav Arinichev, detenuto dopo aver criticato le autorità croate, hanno ricevuto attenzione mediatica e stimolato il dibattito sui diritti dei migranti e la libertà di espressione. Tuttavia, nel complesso, la situazione è caratterizzata da limitata attenzione pubblica e opacità istituzionale.
Quali forme di detenzione informale o di trattamento degradante avete documentato lungo le rotte migratorie, in particolare nei casi di respingimenti verso la Bosnia ed Erzegovina?
Lungo le rotte migratorie, soprattutto durante i respingimenti verso la Bosnia ed Erzegovina, le autorità croate hanno praticato diverse forme di detenzione informale e trattamento degradante. I migranti vengono spesso detenuti in strutture non ufficiali, come container di stazioni di polizia al confine o aree remote come Dugi Dol, prive di riconoscimento legale e di condizioni minime di vita. Le persone riferiscono di essere state picchiate, spogliate dei propri vestiti e dei propri effetti personali, private di cibo e acqua, insultate verbalmente e costrette a tornare in Bosnia in grandi gruppi, a volte attraversando fiumi o di notte. I bambini e altri gruppi vulnerabili sono sottoposti alle stesse condizioni dure. Queste azioni vengono compiute senza un regolare processo, senza interpreti e senza la possibilità di richiedere asilo, costituendo chiare violazioni del diritto internazionale, tanto che in molti casi i migranti sono stati detenuti per diversi giorni senza accesso all’assistenza legale alla comunicazione. Questi respingimenti sono stati documentati da ONG, giornalisti e osservatori internazionali come sistematici e violenti.
Foto copertina via Agenzia Nova/Creative Commons



