Il voto fuori sede per i referendum su lavoro e cittadinanza

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Di Marco Biondi

Nel 2025 le cittadine e i cittadini italiani saranno chiamati al voto per 5 referendum, su 4 articoli del Jobs Act e sulla legge che regola l’accesso alla cittadinanza italiana, che ha l’obiettivo di portare da dieci a cinque anni i tempi di attesa e di residenza delle persone nate o cresciute in Italia da genitori stranieri, o qui arrivate da adulte e ormai stabili, che avviano l’iter burocratico per diventare cittadini italiani. Martedì 4 marzo, 39 associazioni e tutti i rappresentanti dell’opposizione hanno tenuto una conferenza stampa in Senato per denunciare l’assenza di una legge che garantisca il diritto di voto ai fuori sede in vista dei prossimi referendum, denunciando l’emergenza democratica dell’astensionismo involontario dei cittadini che vivono lontani dal proprio Comune di residenza. 

 

L’esecutivo ha fissato gli Election Days all’8 e al 9 giugno “in modo da conciliare la più ampia possibilità di partecipazione dei cittadini con le esigenze di continuità dell’attività didattica nelle scuole sedi di seggio elettorale”, come riporta il Comunicato Stampa della Presidenza del Consiglio. Le opposizioni avevano espresso con fermezza una valutazione sul fatto che il referendum si dovesse tenere, per favorire la massima partecipazione, nelle date del 25 e 26 maggio, sia perché sarebbero state in concomitanza con il primo turno delle elezioni amministrative, incentivando di fatto una maggiore partecipazione, sia perché andare nel mese di giugno significherebbe, con la chiusura dell’anno scolastico, entrare in una zona che è oggettivamente di maggiore mobilità delle famiglie e dei cittadini, come ha dichiarato il Segretario di +Europa Riccardo Magi a Today

Per quanto riguarda la questione del voto fuorisede, a seguito della presa di posizione di cui abbiamo detto, il Governo ha deciso di aprire a questa possibilità e, secondo il primo comma dell’articolo 2 del decreto elezioni approvato dal Consiglio dei ministri, sarà consentito a coloro che vivono lontano dal comune di residenza.

Come riportato da Wired, “in particolare – si legge sempre nel decreto, – è previsto che i cosiddetti ‘fuorisede’, per un periodo di almeno tre mesi in cui ricade la data di svolgimento del referendum, possano richiedere l’ammissione al voto nel comune di temporaneo domicilio entro il termine di 35 giorni prima della data prevista per la consultazione referendaria e possono revocarla entro il termine di 25 giorni prima della medesima data“. Il termine di scadenza per effettuare la richiesta dunque, sarebbe fissato dunque per lunedì 5 maggio 2025. Andrà presentata un’apposita istanza al Comune di residenza per esprimere il proprio voto in occasione del referendum. 

Il nuovo decreto elezioni introduce inoltre la firma elettronica qualificata per sottoscrivere le liste di candidati, prevista per gli elettori impossibilitati a firmare manualmente.

L’11 marzo si era tenuto un incontro tra il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, il Ministro dell’interno, Matteo Piantedosi, e una rappresentanza dei comitati promotori dei referendum abrogativi su lavoro e cittadinanza, dove il Governo aveva manifestato l’apertura ad un’analisi delle “modalità tecniche per consentire il voto dei fuori sede”, ma inizialmente, secondo quanto denunciano associazioni come The Good Lobby, sembrava che come nel 2024 la possibilità sarebbe stata fornita solo a studentesse e studenti, escludendo le persone che si trovano lontane dal proprio comune di residenza per motivi di lavoro o di cura. 

“L’idea che nel 2025 si possa votare ancora con le stesse modalità del 1948 è fuori luogo. E lo dimostra l’astensionismo che cresce. In quasi tutte le democrazie del mondo si può votare per corrispondenza o attraverso l’utilizzo di tecnologie digitali, proprio per favorire la partecipazione democratica”, afferma Marco Meloni, senatore del Partito Democratico che ha organizzato la conferenza del 4 marzo. Da 20 mesi una proposta di legge del Comitato “Voto dove vivo” è ferma in Senato, bloccata dalla Commissione presieduta da Forza Italia; come riporta Domani, Il testo aveva preso forma dalla fusione di cinque proposte di legge diverse firmate dai partiti di opposizione, poi trasformate in una legge delega dal governo Meloni, secondo cui, in pratica, dovrebbe essere il governo a regolare l’esercizio del diritto di voto degli elettori fuori sede e a ridefinire i prezzi per i trasporti per chi va alle urne nella città di residenza.

Nel 2024 c’è stato un momento di discontinuità rispetto allo zero assoluto degli anni precedenti: la sperimentazione messa in atto dal governo per le elezioni europee dell’8 e 9 giugno 2024, quando grazie a un emendamento al decreto elezioni gli studenti fuorisede (circa 500mila) hanno avuto la possibilità di votare anche lontano da casa. Solamente 17.651 studenti avevano votato nelle Sezioni Speciali istituite nei capoluoghi di Regione. Tuttavia, questi numeri così bassi potrebbero essere stati legati alle inefficienze dei singoli Comuni nell’avviare l’iter burocratico e alla finestra di tempo ristretta in cui è stata concessa questa possibilità.

I dati Istat riportati nel Libro Bianco delle riforme istituzionali sul voto mostrano i numeri dell’astensionismo involontario degli elettori che svolgono la propria attività lavorativa o frequentano corsi di studio scolastici o universitari in luoghi diversi dalla Provincia o Città metropolitana di residenza, che sono stati stimati in circa 4,9 milioni (pari al 10,5% del corpo elettorale). Di questi, solo per fare un esempio, gli elettori che per rientrare al luogo di residenza impiegherebbero oltre 4 ore (tra andata e ritorno) attraverso la rete stradale sono 1,9 milioni, pari al 4% degli aventi diritto. 

Italia, Malta e Cipro rimangono gli unici Paesi membri dell’Unione europea a non garantire il voto fuorisede per tutte le elezioni. Come ricorda il report di “The Good Lobby” e dell’organizzazione “Io Voto Fuorisede”, l’impegno del Parlamento “ha incontrato una forte resistenza da parte del Ministero dell’Interno, la struttura responsabile per l’organizzazione delle elezioni, che ha opposto degli “ostacoli logistici insormontabili” alla volontà del legislatore di salvaguardare l’accesso a un diritto fondamentale. Queste difficoltà “insormontabili” sembrano esistere solo in Italia: negli altri paesi europei questi problemi sono stati superati da tempo, mentre noi ancora discutiamo della legittimità e della necessità delle possibili soluzioni”. 

Il voto è un diritto e garantire costantemente una possibilità economicamente e logisticamente sostenibile per tutte le cittadine e i cittadini è un dovere che i nostri rappresentanti politici hanno rimandato e nascosto sotto terra per troppo tempo e che, al di là degli occasionali decreti, avrebbe bisogno di una normativa definitiva che lo renda un diritto inalienabile.