Maysoon Majidi è libera, ma lo Stato continua a criminalizzare i migranti
– Di Marco Biondi
L’attivista curda Maysoon Majidi è libera, ma lo Stato continua a criminalizzare persone che non hanno niente a che vedere con il traffico di esseri umani tramite leggi e politiche migratorie ingiuste.
Il 5 febbraio è terminato l’incubo durato quasi 400 giorni di Maysoon Majidi, l’attivista e regista curdoiraniana che era stata accusata di favoreggiamento dell’immigrazione illegale, assolta per “non aver commesso il fatto”.
Al Manifesto ha dichiarato di dedicare questa assoluzione a chi le è stato vicino in questa odissea: “a tutti i rifugiati politici, al mio avvocato, alla mia famiglia che sta soffrendo per me da tanti mesi. Ma anche ai politici e ai tanti amici che ho conosciuto in questi mesi”.
“I momenti passati in carcere sono stati durissimi. La prima cosa che pensi quando arrivi in un Paese democratico è alla libertà. Quando ho fatto lo sciopero della fame in carcere era perché non avevo avuto un’udienza, volevo che qualcuno ascoltasse la mia storia. Non ho mai incontrato un interprete. Non potevo parlare con i miei familiari. Ho fatto il viaggio con mio fratello e non ho potuto parlarci per due mesi. Non sapevo nulla di nessuno. Pensavo che tutte le 77 persone che viaggiavano con me fossero state arrestate perché non sapevo il motivo della mia detenzione. Se non avessi avuto intorno una rete di sostegno, con tante lettere e visite, non avrei saputo come fare per combattere lo scoramento”.
Dopo aver partecipato alle proteste in Iran nel 2019 e dopo essere stata più volte arrestata e picchiata, Maysoon era fuggita con il fratello nel Kurdistan iracheno, dove ha continuato il proprio attivismo in seguito all’uccisione di Mahsa Amini, nel settembre 2022.
Dopo essere arrivata in Italia, invece di trovare tutela e protezione è stata accusata di un reato – quello previsto dall’articolo 12 del Testo Unico Immigrazione (TUI) – che spesso colpisce persone che non hanno niente a che fare con il traffico di esseri umani.
Tuttavia, ripercorrendo la vicenda giudiziaria di Maysoon Majidi sono emersi elementi dubbi che hanno indebolito la posizione dell’accusa, dato che l’attivista iraniana non ha guidato materialmente l’imbarcazione, condotta da un cittadino turco. L’altro elemento fondamentale da tenere in considerazione è che le due persone che hanno reso la testimonianza hanno successivamente smentito le dichiarazioni registrate dai pm di Crotone sostenendo che la traduzione delle loro parole fosse stata distorta.
Nel frattempo non si è ancora concluso il processo di Marian Jamali, un’altra donna iraniana che era sbarcata insieme a Majidi ed era stata accusata dello stesso reato. Marjan era fuggita da un marito violento e dal regime degli Ayatollah in cerca di una nuova vita per lei e per il figlio di otto anni, ma è stata arrestata appena arrivata in Italia. A indicarla come “colei che aveva preso i cellulari delle persone a bordo” sono stati tre uomini presenti nell’imbarcazione, adesso scomparsi, denunciati da Jamali per tentativi di violenza sessuale. Come riportato da Pressenza, quello che è emerso dalla quinta udienza del suo processo tenutasi il 20 gennaio 2025 è “la totale impossibilità di portare in aula altri testimoni tra i migranti presenti sull’imbarcazione naufragata”, compresi gli aggressori. La sua prossima udienza si terrà il 10 febbraio, e l’augurio è che le accuse verso di lei, piene di debolezze, incongruenze ed elementi generici, cadano e portino ad una piena assoluzione come avvenuto per Maysoon.
Donna vita e libertà è il motto utilizzato dai movimenti femministi curdi a partire dagli anni ‘90, ma è stato adottato da tutto il popolo iraniano sceso in protesta contro il regime, un inno all’emancipazione, all’autodeterminazione e alla resistenza contro l’oppressione di genere. Queste parole dovrebbero valere anche in Italia e nell’Unione Europea, ma le nostre politiche migratorie e le nostre leggi negano certi principi, comportando una caccia forzata allo scafista che somiglia di più ad una caccia alle streghe verso persone che sono loro stesse migranti, mentre i veri responsabili delle violazioni dei diritti umani restano impuniti.