Niente diritti in detenzione. Aperta una nuova inchiesta sul Cpr di Milano

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di Oiza Q. Obasuyi

Cibo scadente, servizi sanitari e legali non pervenuti. Queste sono solo alcune delle criticità denunciate da anni da associazioni e giornalisti e che ora emergono in una nuova inchiesta avviata dalla Guardia di Finanza sul Cpr di Milano, su cui sono indagati anche il gestore della struttura Alessandro Forlenza e l’amministratrice della società Martinina Srl, Consiglia Caruso.

Le indagini della Guardia di Finanza

Frode nelle pubbliche forniture e turbativa d’asta per mano della società – Martinina srl – che gestisce il Cpr di Milano sono le ipotesi di reato formulate dalla Guardia di Finanza che ha effettuato sopralluoghi e perquisizioni nella struttura. Tra gli indagati il gestore del Cpr, Alessandro Forlenza, e l’amministratrice di Martinina srl, Consiglia Caruso. 

“Secondo gli inquirenti chi gestiva il centro lo faceva al risparmio non adempiendo alle condizioni dell’appalto aggiudicato il 10 ottobre del 2022”, riportano i giornalisti Youssef Hassan Holgado e Marika Ikonomu su Domani. E ancora, “secondo i finanzieri, Forlenza e Caruso simulavano la presenza di una serie di servizi pattuiti in sede contrattuale con la prefettura di Milano per gestire il Cpr, che in realtà erano assenti o comunque eseguiti in maniera insufficiente. Era assente, per esempio, il servizio di mediazione culturale e di supporto legale”. Ancora una volta è emersa la grave carenza di assistenza sanitaria, fino alla gestione della mensa e alle pulizie. Inoltre, riporta Milano Today, per aggiudicarsi la gestione del Cpr – vinta, per altro, lo scorso anno con un appalto di oltre 4 milioni di euro -, secondo la Guardia di Finanza, da parte della società sarebbe stata presentata documentazione falsa. Già nel mese di novembre, l’Asgi (Associazione per gli studi Giuridici sull’Immigrazione) aveva segnalato inadempimenti contrattuali nel Cpr di Milano. Infatti, analizzando il contratto d’appalto, riporta l’Asgi, si legge che nel centro sarebbero state previste una vasta gamma di attività: servizi di mediazione linguistico-culturale, orientamento legale, laboratori teatrali e musicali, cineforum e attività ludico-motorie-sportive e ricreative. Niente di tutto questo si è rivelato essere vero secondo l’Asgi che nel mese di settembre aveva effettuato un’ispezione all’interno della struttura. A ciò si aggiunge il fatto che dalle visite di controllo della Prefettura di Milano – denuncia sempre Asgi che ne ha visionato i verbali in seguito a un accesso civico generalizzato – non emerge alcuna verifica sul rispetto dei diritti fondamentali delle persone trattenute nel Cpr, un’altra grave mancanza che si accumula sulle altre.

In un’inchiesta giornalistica di novembre di Altreconomia, realizzata dal giornalista Luca Rondi e dal policy advisor di Action Aid Italia, Lorenzo Figoni, è emerso che diverse delle cooperative e associazioni a cui la società Martinina srl si sarebbe appoggiata per l’erogazione di tali servizi non avevano mai firmato alcun protocollo d’intesa con quest’ultima. Il Vis (Volontariato internazionale per lo sviluppo), la cooperativa sociale Be Free, la Milano Onlus, la Dianova Onlus sono solo alcune delle associazioni contattate da Altreconomia che hanno affermato di non aver siglato alcun protocollo – alcune hanno affermato di esserne perfino estranee – a differenza di quanto sostiene Martinina Srl.

Condizioni inumane e degradanti

Tra inadempimenti burocratici, appalti aggiudicati e servizi mancanti, a rimetterci sono sempre e comunque le persone migranti che vengono trattenute nei Cpr italiani. Per il caso di quello di Milano, l’associazione Naga e la rete No Cpr hanno recentemente pubblicato un rapporto, dal titolo “Al di là di quella porta”, in cui emerge la totale disumanizzazione delle persone costrette a entrarci. Basti pensare che, si legge nel rapporto, mentre le visite di idoneità al trattenimento dovrebbero essere effettuate dai medici del Servizio Sanitario Nazionale (Ssn) in luoghi pubblici, molte delle persone trattenute hanno invece affermato di non essere mai state visitate al di fuori del Cpr di Milano. Inoltre, dicono di essere state visitate in Questura: in effetti, si legge nel rapporto, “nel protocollo in essere tra Prefettura e Ats Milano è prevista la presenza di un apposito locale ambulatorio in Questura, oltre ovviamente a quello del Cpr. Questi due ambulatori però non garantiscono alcuna possibilità di eseguire eventuali esami diagnostici strumentali”. Alla “visita preliminare” segue quella all’interno del Cpr che non è affidata al Ssn ma all’ente gestore: si tratta di vera e propria extraterritorialità sanitaria per cui il diritto alla salute è totalmente affidato a privati – a differenza di quanto avviene, ad esempio, negli istituti penitenziari veri e propri. Dalle testimonianze raccolte nel rapporto emerge l’esperienza di persone ex trattenute totalmente umiliate: “i neo arrivati, spogliati completamente nudi alla presenza del personale medico e degli agenti di polizia, vengono obbligati a fare flessioni per espellere eventuali oggetti nascosti nell’ano. Un trattamento umiliante dalla dubbia utilità pratica, stigmatizzato in infinite occasioni dai tribunali perché riservato, per legge, ai soggetti più pericolosi solo in caso di estrema necessità”. E ancora “[…] raccontano di essere stati spogliati e obbligati a flettersi davanti a un pubblico di agenti armati. Trattamento che ha la funzione di stabilire fin da subito la gerarchia e le regole del Cpr”. Una volta spogliate, alle persone trattenute viene assegnato un numero identificativo con cui vengono chiamate, private quindi anche del loro nome.

Nel rapporto emergono gravi carenze anche nei moduli abitativi: armadietti a vista murati senza ante, lenzuola di carta, assenza di coperte, bagni e docce senza porte, cartelli di “acqua non potabile” che ogni tanto compaiono sui rubinetti – a volte la stessa è solo gelida o solo bollente -, vaschette con poco cibo preconfezionato da giorni, che emana cattivo odore, in cui spesso vengono trovati vermi; sedie e tavolo di metallo inchiodati a terra; piccioni che pasteggiano sul pavimento tra gli avanzi di cibo in sala mensa, sbarre in ogni dove. In un contesto simile – che, è bene ricordarlo, è di privazione della libertà personale non per dei reati commessi, ma per una semplice irregolarità amministrativa che riguarda l’assenza di documenti di soggiorno – avviene quello che nel rapporto viene descritto come “zombizzazione”. Infatti, le persone che stanno male – o che sviluppano disturbi mentali proprio nei Cpr – non vengono curate: non sono rari gli episodi di autolesionismo ed esasperazione che a volte culminano in proteste per via delle condizioni inumane e degradanti all’interno della struttura. “Se serve una medicina, la risposta è che non c’è, o che non c’è più, “ma prendi questa, intanto”. Se serve un medico la risposta è che è stato richiesto, ma ancora non è arrivato. E così si soffre e ci si trasforma”, si legge nel rapporto. Infine, non mancano le deportazioni coatte: diverse persone ex trattenute hanno affermato che la polizia usa spesso violenza e inganno, portando avanti procedure di rimpatrio nella notte, immobilizzando e, se serve, sedando la persona destinata a essere rimpatriata. 

Persone irregolarizzate, criminalizzate e detenute

Negli ultimi 5 anni, secondo quanto riferito all’associazione Naga e alla rete No Cpr dal dipartimento di Pubblica Sicurezza, sono decedute 14 persone all’interno dei Cpr italiani, l’età media è di 33 anni. Nei nostri rapporti Buchi Neri e L’Affare Cpr abbiamo ampiamente parlato dei profili di irregolarità e violazione dei diritti umani basilari che emergono dalla gestione dei Cpr italiani. Da un lato emerge un business sempre più remunerativo che punta unicamente alla massimizzazione dei profitti da parte degli enti gestori a discapito delle persone trattenute. Dall’altro troviamo la deresponsabilizzazione di uno Stato che legittima il razzismo istituzionale e sistemico nei confronti di persone automaticamente criminalizzate poiché non possiedono un permesso di soggiorno. L’Italia naviga a vista tra Sanatorie in stallo e leggi che di fatto impediscono l’accesso ai documenti adeguati per poter rimanere in Italia.

 

Foto copertina via Twitter/Melting Pot Europa