Donna Vita Libertà. Sull’attentato contro i curdi a Parigi

Share on FacebookTweet about this on TwitterShare on LinkedInEmail to someone
Print Friendly

di Hevi Dilara

Ci sono momenti in cui la tua mano non va ai tasti del computer. Una rabbia profonda si accumula dentro di te, vuoi uscire in strada, non parlare, ma gridare; le parole non bastano più.

I cuori dei curdi di tutto il mondo sono stati ancora una volta spezzati. Di nuovo Parigi, tre vite prese di nuovo! Viviamo tutti il dolore delle tre anime che abbiamo perso nei nostri cuori con tutte le nostre anime.

La vita ha messo alla prova i curdi con dolore per quasi cento anni. Se volessimo elencarli uno per uno, sono sicura che dovremmo scrivere intere pagine. Ci sono alcune città e alcuni luoghi in quelle città. Queste città e luoghi hanno un significato speciale nella storia delle persone e delle società.

Queste città e luoghi hanno un significato speciale nella storia delle persone e delle società. A Parigi il Centro Culturale Ahmet Kaya è diventato uno dei luoghi che i curdi non dimenticheranno mai.

Quando si parla di Parigi, le persone pensano alla Torre Eiffel, agli Champs-Elysées, a Gar de Nord, la Bastiglia e a musei di fama mondiale.

I curdi, oltre queste cose, pensano anche al nome del centro culturale di Ahmet Kaya e l’importanza storica del suo nome. Ahmet Kaya era un cantante famosissimo in Turchia. Quando annunciò il suo nuovo disco e disse che ci sarebbero state canzoni in lingua curda subii un linciaggio terribile dai suoi colleghi artisti turchi. Dovette lasciare la sala e poi il paese. Andò in esilio, il 16 giugno 1999, a Parigi. Soffrendo molto la sua condizioni di esule, perdendo la vita il 16 novembre 2000. Ecco perché per il popolo curdo questo luogo è un simbolo importante.

Alle menti di tutti i curdi, legate a questo luogo, vengono i nomi di Sakine Cansız, Fidan Doğan e Leyla Şaylemez. Furono uccise nella notte tra mercoledì 9 e giovedì 10 gennaio 2013. Qualche giorno fa a loro si sono aggiunti Evin Goyi (Emine Kara), Mir Perwer e Abdurrahman Kizil. Il caso vuole che anche Mir Perwer fosse un cantante, anche lui era rifugiato politico. Aveva scontato 4 anni di carcere nelle galere turche ma aveva una condanna a 20 anni che pesava su di lui.

Il 23 dicembre in Francia, a Parigi, nell’attacco al Centro culturale curdo Ahmet Kaya, Emine Kara (Evin Goyi), una delle leader del movimento delle donne curde, Mîr Perwer (Mehmet Şirin Aydın) del Movimento Culturale e Abdurrahman Kızıl sono stati uccisi.

Lo stesso giorno nelle prime ore del mattino, qualche ora prima del massacro, in Turchia si era varificata un’operazione che aveva portata agli arresti di alcuni difensori dei diritti umani e esponenti politici curdi del Partito Democratico dei Popoli (HDP) e Partito delle Regioni Democratiche (DBP).

Parigi è ora la città della tristezza e della rabbia per i curdi.

Nessuno dovrebbe pensare ai curdi come a un popolo con le mani legate e in attesa di essere massacrato. Questo popolo, con le sue donne, uomini, giovani e anziani, è un popolo onorevole che è completamente dedito alla propria libertà. I curdi, che sono il popolo più oppresso ma resistente del Medio Oriente.

Le autorità francesi dovrebbero dare una risposta alle domande che pone l’opinione pubblica curda, ma non solo. Se questo attacco è davvero solo un attacco “razzista” come è possibile che un assassino sotto controllo giudiziario vada in giro con pistole e arsenali? Come può entrare in una strada monitorata dalle telecamere 24 ore su 24? Se non si tratta davvero di un attacco organizzato, come può questa persona di 69 anni agire in modo così deliberato? Perché vengono prese di mira solo le istituzioni e le imprese curde in quella strada, dove la maggior parte dei commercianti sono di origine straniera?

Una persona mentalmente instabile (come è stata definita dalle autorità) può davvero organizzare da solo un attentato di questo tipo, identificando l’associazione e i luoghi di lavoro curdi e prendendo di mira solo loro in maniera così sistematica?

Se non si vuole una nuova strage in queste terre, bisogna fare chiarezza su quanto avvenuto anche nella strage del 9 gennaio 2013, revocando la decisione di riservatezza su quel fascicolo. La Francia dovrebbe prendere sul serio questa richiesta e questa aspettativa di giustizia, per evitare che questo e gli altri paesi Europei non vivano in casa loro la guerra contro i curdi.

Jean-Luc Mélenchon, leader del principale partito di opposizione francese, ha dichiarato: “Coloro che sono stati assassinati ieri erano militanti politici. Ricordo il loro impegno nella nostra lotta comune. Tra loro c’era la nostra compagna Evin, a capo delle donne curde in Francia e eroina della guerra contro l’ISIS che fu ferita al fronte. Ci inchiniamo alla sua memoria”.

Evîn ha contribuito notevolmente allo sviluppo della rivoluzione del Rojava. Prendendo parte alla guerra contro l’ISIS e svolgendo un ruolo decisivo nella sua sconfitta, rendendo un grande servizio non solo al popolo curdo ma a tutta l’umanità. Emine Kara era rimasta ferita in questa guerra ed era venuta in Europa per curarsi.

Le dichiarazioni del movimento curdo fa riflettere molto. E ci pone tante domande che necessitano delle risposte dalla Francia: “È chiaro che Evîn era l’obiettivo principale di questo attacco. Evîn è stata presa di mira perché ha combattuto contro l’ISIS e ha svolto un ruolo decisivo nella sconfitta dell’ISIS”.

Evîn ha combattuto contro l’ISIS con convinzione e lo ha fatto per tutta l’umanità. Ha rischiato la propria vita per proteggere anche l’Europa. Ha vissuto ed è sopravvissuta. Ma sfortunatamente la Francia non ha potuto proteggerla.

La magistratura francese non dovrebbe ripetere ciò che ha fatto 10 anni fa e dovrebbe perseguire il caso fino in fondo, per rispondere alle domande poste e che abbiamo visto sopra.

Mentre il motto dei Francesi è “Liberté, Égalité, Fraternité,” invece il motto dei curdi è “Jin Jiyan Azadî”, Donna Vita Libertà.

 

[Copertina: Foto di Levi Meir Clancy su Unsplash]