Diritti negati, abusi e violenze: ecco cosa succede nei Cpr italiani
Di Oiza Q. Obasuyi
I Centri di Permanenza per il Rimpatrio (Cpr) continuano a essere dei non-luoghi in cui avvengono gravi violazioni dei diritti umani ai danni delle persone straniere che vengono trattenute tra scarsa trasparenza, diritto all’assistenza legale negato e assistenza sanitaria quasi del tutto assente.
Nel mese di ottobre, Gabriella Stramaccioni, garante per i detenuti di Roma, dopo aver visitato il Cpr di Roma (Ponte Galeria) ha denunciato l’ennesima violazione dei diritti umani ai danni delle persone trattenute. In questo caso, un 27enne originario del Gambia aveva ingoiato un pezzo di vetro ed era rimasto a terra, con la bocca sanguinante e senza che nessuno lo aiutasse. Il giovane, spiega Stramaccioni in un articolo pubblicato su Domani dal giornalista Nello Trocchia, non solo era semi paralizzato e non riusciva a camminare, ma non avrebbe dovuto trovarsi lì. “Il suo ingresso è datato fine settembre, ma il medico che giudica le incompatibilità non lo aveva ancora visitato. Quel centro bisogna chiuderlo subito”, ha affermato Stramaccioni.
Le irregolarità all’interno del Cpr di Roma vengono puntualmente denunciate da tempo, eppure questo Centro – così come gli altri 9 presenti in Italia, anch’essi non privi di denunce su irregolarità, maltrattamenti e violazione dei diritti -, continua a rimanere aperto. Su questo, LasciateCIEntrare, campagna nazionale contro la detenzione delle persone migranti – che ricordiamo essere imposta alle persone straniere prive di documenti, senza che queste ultime abbiano commesso alcun reato – ha pubblicato un rapporto dal titolo “Dietro le mura. Abusi, violenze e diritti negati nei cpr d’Italia”. Il rapporto si divide in due parti: la prima racconta i casi seguiti dalle attiviste e dagli attivisti nei Cpr di tutta l’Italia. Da quello di Macomer a Gradisca d’Isonzo, da Pian del Lago a San Gervasio. Si tratta di “centri che hanno causato la morte di persone come Wissem Ben Abdel Latif e di tanti altri migranti che avevano la sola colpa di aver raggiunto l’Europa alla ricerca di una vita migliore”, si legge sul sito di LasciateCIEntrare. Mentre la seconda si focalizza su approfondimenti giuridici “di una detenzione amministrativa realizzata al solo scopo di colpevolizzare il migrante e favorire le multinazionali del malaffare che gestiscono questi centri dove non solo gli attivisti, ma anche i giornalisti e i parlamentari non possono entrare liberamente per informare l’opinione pubblica di quanto avviene al loro interno”.
Partendo proprio dalle testimonianze, colpiscono le storie dei giovani stranieri – talvolta anche minori, nonostante, secondo la Legge Zampa, la loro detenzione ed espulsione sia illegale – che si sono ritrovati rinchiusi senza tutele all’interno dei Centri. A proposito di minori trattenuti, nel rapporto viene presentata la storia di Hassan, un 17enne tunisino che nel mese di marzo 2021, dopo la permanenza in una delle navi quarantena, è stato trasferito nel Cpr di Palazzo San Gervasio. “Qui diventa positivo [al Covid 19] e viene recluso in isolamento per circa tre settimane. Non può comunicare con la sua famiglia, perché gli hanno sottratto il cellulare”, viene spiegato nel rapporto. Nonostante le denunce effettuate con il fine di tutelare i diritti di Hassan in quanto minore illegalmente trattenuto in un Cpr, agli attivisti della campagna è stato riferito che, nonostante avesse già un posto presso un centro minori della zona, non poteva uscire dal Cpr perché quest’ultimo non era attrezzato per la quarantena. Hassan è quindi rimasto nel Cpr di Palazzo San Gervasio per un mese, nonostante l’illegittimità del suo trattenimento.
Anche alle navi quarantena viene dedicato un capitolo per via delle violazioni e dell’illegittimità della privazione della libertà personale al loro interno: “le navi quarantena hanno messo insieme più soggetti che ne hanno con forza richiesto la chiusura fin dalla loro nascita, ma hanno prevalso “le ragioni di emergenza” determinando numerosi abusi e violazioni dei diritti di base […]”. Molti di coloro che sono scesi dalle navi quarantena sono poi finiti nel Cpr di Trapani e tra questi una donna magrebina ha affermato di essere stata tradotta nella sezione maschile, nonostante anche questo rappresentasse un’irregolarità. “Non ho avuto problemi con nessuno, anzi hanno tutti cercato di tranquillizzarmi, perché eravamo in un carcere e non sapevamo perché” ha affermato la donna che è finita in una spirale di marginalizzazione per via delle leggi discriminatorie in materia di immigrazione – dall’ingresso con permesso per motivi familiari, fino alla perdita del lavoro e l’acquisizione di un permesso di soggiorno per disoccupazione. Quest’ultimo però non l’ha salvata dalla spirale discendente che l’ha portata a una situazione di irregolarità e di disagio fino a un’espulsione nel suo paese. Il suo ritorno però è stato messo sotto la fattispecie di “reato di reingresso”, ma grazie al supporto dell’avvocata Stella Arena, è riuscita a essere inserita in un luogo protetto, anche per via della storia di abusi e violenze che ha dovuto subire.
Per quanto riguarda la seconda parte non mancano le testimonianze anche di psichiatri che hanno lavorato con le persone trattenute. Tra queste viene presentato lo psichiatra Ugo Zamburru che restituisce un quadro fatto di violenze e assistenza negata all’interno dei Centri. “Una percentuale stimata tra il quaranta e il sessanta per cento dei migranti racconta di dormire male, di avere pensieri intrusivi, di sentirsi sempre sul ‘chi va là?’ È come se la loro vita fosse stata spezzata. E non serve la laurea in psichiatria per capire come mai si sentano così. Un’altra patologia è quella legata al corpo. Molti migranti segnalano malesseri vari che non trovano riscontro nell’indagine medica. Anche questo si spiega con le violazioni fisiche che hanno subito nel loro viaggio, dagli stupri alle torture”, afferma Zamburru. A ciò si aggiunge la completa negligenza nei confronti della salute mentale e fisica dei trattenuti, tra il sovradosaggio degli psicofarmaci che vengono somministrati a questi ultimi – soprattutto per sedare eventuali atteggiamenti aggressivi o rivolte – alla presenza di persone con gravi problematiche psichiche che nemmeno dovrebbero trovarsi in un centro di detenzione.
Infine, nel rapporto vengono ricordati i nomi di chi ha perso la vita nei nei Cpr: “Moussa, Wissem, Anani, Arhad sono i nomi delle persone decedute a causa della detenzione amministrativa nell’ultimo anno e mezzo, mentre erano sotto la tutela dello stato italiano”, ricordando, inoltre, non solo che in Italia almeno 40 persone sono decedute in detenzione ma che “molte di queste morti sono rimaste senza spiegazione, senza responsabili. A volte i testimoni sono stati rapidamente rimpatriati prima di potere giungere alla verità”.
Non rimane che aggiungere che è necessario un totale superamento di questo sistema non solo inutile e costoso, come abbiamo già avuto modo di spiegare nel rapporto Buchi Neri, ma che soprattutto contribuisce all’annullamento della dignità, oltre che della salute fisica e mentale, delle persone che continuano a essere sistematicamente rinchiuse.
Foto via Twitter/LasciateCIEntrare, Cpr di Macomer